Gaza è il canarino nella miniera di carbone che ci avverte del pericolo in agguato
Rania Hammad*
Questa frase è diventata la metafora che descrive Gaza come il luogo che avverte il mondo della catastrofe imminente, o meglio la catastrofe che già c’è, catastrofe umanitaria, e ambientale, ma soprattutto una catastrofe nel senso del fallimento della civiltà giuridica mondiale, del diritto internazionale e delle sue istituzioni.
Gaza è il canarino che ci dice di salvare il salvabile, di reagire, resistere.
Stiamo assistendo a uno dei genocidi più violenti e cruenti della storia, e allo stesso tempo stiamo assistendo alla caduta dei valori democratici e liberali, alla caduta dei valori occidentali. Assistiamo all’avvento della peggior forma di repressione, censura e criminalizzazione nonché violazione dei diritti umani, non solo dei diritti umani degli altri, ma anche dei nostri diritti umani, e civili. Tutto per difendere l’indifendibile.
Il genocidio programmato
Pur di nascondere, coprire, mascherare le atrocità, i crimini di guerra e le gravissime violazioni del diritto internazionale, si stanno calpestando i diritti civili delle persone nei paesi complici del genocidio stesso. Pur di proteggere i criminali, e ripulire l’immagine del carnefice, lo Stato colonizzatore di Israele – che occupa e pratica l’apartheid – si stanno violando le costituzioni e le leggi dei nostri stati “civili e democratici” a partire dagli Stati Uniti, il maggior finanziatore e sostenitore del genocidio del popolo palestinese, per arrivare alla maggior parte degli stati dell’Unione Europea.
Ascoltando e cogliendo l’avvertimento che ci sta mettendo in guardia contro potenziali pericoli, indicandoci una situazione allarmante, o l’aggravarsi della situazione, ci si potrebbe salvare. Non cogliere l’avvertimento, non è solo pericoloso; è un fallimento catastrofico del nostro tempo.
Dopo quasi venti mesi di bombardamenti sui civili palestinesi e oltre 50 mila uccisi (il numero reale sarà molto più alto, come scritto dalla rivista “The Lancet”), molti dei quali donne e bambini, oggi assistiamo all’utilizzo della fame come strumento del genocidio. Israele ha programmato e pianificato una carestia per fare il maggior numero di vittime. Una carestia che avrà un effetto devastante sulle future generazioni e che sta uccidendo i soggetti più fragili e i bambini. Nessuno è stato capace di fermare le atrocità e la barbarie. Sconvolgente e scioccante, e inaspettato.
Basta con il negazionismo
Ancora adesso molti negano che si tratti di un genocidio. Sono negazionisti perché ci sono, senza alcuna ombra di dubbio, tutte le prove per dichiararlo. Non solo per il numero di vittime o per le tattiche brutali utilizzate, ma perché loro stessi – gli israeliani– lo hanno ammesso di loro spontanea volontà; non dall’ottobre 2023, ma da decenni, e sin dalla creazione dello Stato di Israele, con la Nakba, il primo genocidio del popolo palestinese.
Sono cento anni che il Sionismo, ideologia suprematista, mette in atto il suo piano diabolico di colonizzare e occupare tutta la Palestina, senza palestinesi. I palestinesi da sempre hanno avvertito il mondo intero della possibilità di uccisioni di massa e di genocidio, della pericolosità per la Palestina, la regione, e il mondo.
La loro storia è piena di massacri perpetrati da Israele e piena di colpi di scena e tradimenti, anche prima della creazione dello Stato, con lo scopo ultimo di fare l’inverosimile, rubare una intera nazione, sterminando il popolo nativo, proprio loro che hanno subito l’Olocausto.
Non ci sono dubbi, si tratta di genocidio, perché c’è l’intento, e lo sappiamo appunto dalla Nakba del 1948, e non dal 2023. Perché, di fronte a un genocidio trasmesso in mondovisione e ben più documentato di qualsiasi altro nella storia, nessuno agisce? Nessuno ferma il genocidio?
La Palestina è la cartina di tornasole per il mondo: lì dove un popolo chiede giustizia e dove vengono commessi i crimini più efferati, crimini che non si possono assolutamente ignorare, né si possono mai giustificare.
La nostra libertà è incompleta senza quella dei palestinesi
Nelson Mandela dichiarava che “la nostra libertà è incompleta senza quella dei palestinesi” e non lo diceva per vicinanza e solidarietà, ma perché quello che succede altrove impatta noi, sempre, in un modo o nell’altro.
Questo è diventato più che evidente con l’attuale tragedia in corso a Gaza, che ha generato tanta indignazione e fatto nascere il movimento di solidarietà più grande che il mondo abbia mai visto. Gaza si è letteralmente riversata sul mondo intero, e con l’alta attenzione e mobilitazione, in poco tempo si sono fatte sentire anche le risposte e le politiche repressive per soffocare Gaza e chi la sosteneva nelle sue rivendicazioni e per i suoi diritti.
Aveva ragione Martin Luther King, che diceva che “l’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque”, e mai prima d’ora si era verificato un così palese collegamento tra una ingiustizia in un posto, la Palestina, che poi si è manifestata come ingiustizia ovunque, sotto forma di criminalizzazione della solidarietà, censura dei mass media, violazione dei diritti civili negli Stati Uniti come in Europa.
Gaza sta avvertendo che se non fermiamo il genocidio, la pulizia etnica e la deportazione del popolo palestinese dalla propria terra, il pericolo in agguato e che minaccia tutto il mondo, si ripercuoterà su tutti quanti noi, perché la violazione dei diritti umani dei palestinesi porterà con sé una repressione inaspettata e spietata nei confronti dei cittadini che rivendicano i diritti umani, quella dei palestinesi e i propri, quelli della libertà di espressione, di stampa, di aggregazione e manifestazione.
Quello che permettiamo ora, oggi, se sarà normalizzato e condonato, potrà avvenire ovunque, e metterà in pericolo il nostro futuro come civiltà.
Cosa rimane della civiltà?
Gaza ha smascherato l’inadeguatezza del sistema internazionale e delle Nazioni Unite, i suoi doppi standard, la sua inefficacia, la sua debolezza e forse il suo ruolo nel mantenimento dello status quo, che non ha saputo finora rispondere alla tragedia in atto a Gaza. Questo porterà a un deterioramento e forse allo smantellamento dell’unico mezzo che abbiamo a nostra disposizione (le Nazioni Unite e il diritto internazionale) per prevenire le guerre e i conflitti, e per far rispettare le leggi internazionali, anche attraverso le sue corti, le sue trattative e convenzioni.
Se le Nazioni Unite non hanno il modo di agire, fermare, sanzionare e punire chi perpetra i peggiori crimini, ma consentono l’impunità a chi perpetra crimini di guerra e contro l’umanità, anche con un organo inadeguato e ipocrita quale il Consiglio di Sicurezza, che permette agli Stati Uniti di mettere il suo veto, e bloccando qualsiasi risoluzione, il mondo è davvero lasciato allo sbaraglio allora.
Ma anche qualora non ci fosse il potere di veto degli Stati Uniti, complice e protettore di Israele, o se anche valessero qualcosa (e non fossero solo carta straccia) le risoluzioni dell’Assemblea Generale all’ONU, quali strumenti abbiamo per fermare l’impunità di uno Stato canaglia e garantire la fine delle barbarie e salvaguardare un ordine mondiale basato sulla legalità e non sulla legge del più forte?
Se la volontà politica non c’è, perché gli interessi, il profitto, l’egoismo, e il cinismo hanno preso il sopravvento, cosa ci rimane a noi? Cosa rimane della civiltà?
Gaza non è solo un campo di concentramento e di sterminio, un laboratorio per testare gli armamenti o una terra ambita da coloni per poterci creare un resort o la riviera sopra i corpi dei palestinesi e non è solo una striscia di terra parte della Palestina storica. E’ l’emblema di ciò che è più orripilante e spaventoso del sistema capitalista, diventato sempre più aggressivo e violento e che sembra nutrirsi di sangue per rafforzarsi e rubare terre fertili e risorse. A capo di questo capitalismo sfrenato e disumano, ci sono gli Stati Uniti.
Gaza sta resistendo al disegno terrorizzante che vuole normalizzare l’uccisione di massa per il profitto, e l’assassinio per il furto della terra, come auspicato dal presidente americano Donald Trump.
Stati Uniti e Israele sono impero e colonia
Come tutti gli imperi gli Stati Uniti consolidano ed espandono la loro posizione di supremazia ed egemonia nel mondo attraverso la loro schiacciante forza militare.
Gli Stati Uniti considerano Israele un alleato fondamentale perché contribuisce a promuovere la supremazia globale degli Stati Uniti in un momento in cui quest’ultima si trova ad affrontare un inevitabile declino. La sopravvivenza di Israele nella sua attuale forma coloniale è strettamente legata al mantenimento della supremazia statunitense.
Gli Stati Uniti sostengono Israele perché Israele ha sempre servito gli interessi americani come colonia e presenza in Medio Oriente, e questo si sa ed è ben documentato. A causa di questa dipendenza di Israele dal sostegno materiale degli Stati Uniti, gli Stati Uniti sono di fatto quelli che colonizzano e occupano militarmente la Palestina, sebbene attraverso le forze ed i coloni israeliani. È impossibile dissociare il coinvolgimento statunitense dall’occupazione israeliana, perché in realtà questa è un’estensione dell’imperialismo americano e del colonialismo di insediamento in Palestina. La solida alleanza tra Stati Uniti e Israele inizia più o meno dopo la Guerra del 1967 e le successive occupazioni militari e costruzione di insediamenti illegali sul territorio palestinese. Non dimentichiamo che nelle colonie illegali abitano anche ebrei statunitensi: di fatto, lì dove si uccidono e deportano famiglie palestinesi, si insediano ebrei americani. Impero e colonia si autosostengono, non solo con il capitale, ma anche fornendo i coloni ebrei americani che poi si trasferiscono nella colonia, dove abitano, combattono e partecipano attivamente al genocidio e alla colonizzazione. Gli Stati Uniti generano coloni che mantengono la colonia.
A causa di questa strategica alleanza e relazione pericolosa, i palestinesi non hanno mai considerato gli Stati Uniti come forza positiva nel mondo, o come difensori di un ordine mondiale basato sul diritto internazionale, o come forza benefica nella politica, o come egemone che porta stabilità. Al contrario, gli Stai Uniti sono da sempre stati visti, da sempre e non solo con la presidenza di Joe Biden, o di Donald Trump, come coloro che hanno di fatto dato luce verde e finanziato in pieno il genocidio, anche attraverso propaganda sensazionalistica, pur di aver consenso dall’opinione pubblica. Sono causa di instabilità e violenza, guerre e colpi di stato. Nella regione mediorientale, oltre alla loro colonia Israele, gli USA sostengono alleati antidemocratici. Basta guardare alla visita di Donald Trump in Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti, dove sono stati messi al centro dei colloqui, gli accordi commerciali ed economici. Dove si è parlato di Siria e di fine delle sanzioni, senza discutere dell’occupazione israeliana del territorio siriano del Golan o degli attacchi israeliani subiti dalla Siria, o dal Libano, mettendo l’economia e il business al di sopra della più tragica catastrofe mai vista, il genocidio e la minaccia di deportazione del popolo palestinese, questione molto più grave e urgente.
Gli Stati Uniti non sono mai stati parte neutrale né mediatori onesti nella regione mediorientale. Nemmeno durante il processo di Oslo. Infatti, gli Stati Uniti non hanno mai premuto su Israele per far rispettare gli accordi siglati a Washington D.C. alla Casa Bianca dove si sono stretti la mano Yasser Arafat, Yitzhak Rabin e Bill Clinton nel 1993. Gli USA hanno permesso che continuasse la colonizzazione e l’espansionismo di Israele, facendo cadere noi tutti nella trappola mediatica del processo di pace e dei suoi finti slogan, che tutt’ora vengono ripetuti.
Non è mai interessato agli Stati Uniti risolvere la questione palestinese, anzi. In realtà non hanno fatto nulla, se non far perdere tempo, o meglio, prendere tempo, per la prosecuzione del massacro e l’insediamento in Palestina.
Il ruolo del complesso militare-industriale statunitense
Questo è avvenuto perché alla base di tutto c’è l’industria bellica statunitense, che fornisce all’esercito israeliano gli armamenti più avanzati, dà sostegno economico e sovvenziona di fatto Israele, che è il principale beneficiario degli aiuti militari statunitensi. Gli Stati Uniti non solo finanziano Israele con almeno tre miliardi di dollari all’anno, ma poi questi stessi soldi vengono utilizzati da Israele per acquistare armi e attrezzature militari dalle aziende di difesa statunitensi. Un giro di soldi, e una economia che si auto alimentano e sostengono.
Israele, dunque, svolge un ruolo cruciale nel promuovere la supremazia militare statunitense, e il complesso militare-industriale statunitense è in grado di vendere più armi e continuare a innovarsi e crescere, permettendo agli Stati Uniti un vantaggio militare sui rivali. Israele è una delle componenti cruciali della macchina imperialista statunitense, e senza di esso, gli Stati Uniti avrebbero difficoltà a mantenere il loro potere in Medio Oriente. Sono disposti a tutto pur di mantenere la loro supremazia e la loro colonia, anche rompendo il patto con i loro stessi cittadini, violando i loro diritti.
Collegare imperialismo e colonialismo all’estero, con la repressione interna è fondamentale; infatti, è ciò che più sciocca di questo particolare momento storico.
La svolta repressiva in occidente
Le tattiche che si stanno usando in USA come in Europa non sono altro che una replica delle politiche, strumenti e mezzi che gli israeliani utilizzano contro i palestinesi in Palestina. Tattiche finalizzate ad intimidire e passivizzare le popolazioni, colpendo chi dissente e chi si esprime per difendere i propri diritti: pratiche antidemocratiche che minacciano ognuno di noi, perché nemmeno la cittadinanza protegge più.
La libertà di parola, e il diritto di parlare senza timore non sono più garantite e l’identità stessa del palestinese è diventata una minaccia.
Mai prima d’ora un governo aveva represso così brutalmente la libertà di parola e la libertà accademica dei propri cittadini per proteggere un altro paese, cioè reprimere il dissenso non sul proprio paese, ma su quello altrui.
È importante riconoscere la natura senza precedenti di ciò che stiamo vivendo.
La campagna intimidatoria di persecuzione e violenza che sta devastando i campus universitari negli Stati Uniti, non viene presentata come un modo per salvaguardare il governo o il sistema politico americano, ma viene attuata per proteggere, anche dalla critiche, un regime straniero, un altro paese, distante anche se alleato.
La repressione dell’amministrazione Trump per proteggere Israele e punire chi si batte per i diritti dei palestinesi, ha causato revoche di visti, detenzioni ed espulsioni di studenti internazionali. Nessuno degli studenti perseguitati o detenuti oggi è accusato di criticare gli Stati Uniti o il loro sistema di governo. In realtà non avrebbero subito arresti, se si fossero fermati con un megafono in mezzo a qualsiasi campus universitario americano, a criticare Donald Trump o il governo americano, mentre criticare Israele, porta al rischio di essere rapiti dallo Stato.
Le università, minacciate dalla perdita di finanziamento da parte del governo, hanno risposto consegnando liste di nomi di studenti e docenti coinvolti nelle manifestazioni pro Palestina, e poi espellendo studenti e sospendendo membri di gruppi solidali con la Palestina.
Non stiamo assistendo al ritorno del maccartismo, ma piuttosto a qualcosa di completamente nuovo e più pervasivo. Nonostante questa minacciosa e dilagante repressione e censura che attanaglia i campus negli Stati Uniti, il movimento degli studenti e di solidarietà con la Palestina, cresce, e non si arresta e questo mette in evidenza la debolezza del sionismo e la sua perdita di legittimità.
Gaza, continua ad obbligarci ad ascoltarla e ci costringe a reagire. La nostra risposta contro il genocidio e contro la conseguente repressione, avranno l’effetto boomerang e alla fine riusciremo a salvare Gaza e noi stessi.
Voglio chiudere questo mio articolo con le parole che Susan Abulhawa ha pronunciato in un discorso alla Oxford Union:
“Un giorno, la vostra impunita’ e la vostra arroganza avranno fine. La Palestina sara’ libera; sara’ restituita alla sua gloria plurale, multireligiosa e multietnica; noi ripristineremo ed estenderemo i percorsi dei treni che viaggiano dal Cairo a Gaza, a Gerusalemme, Haifa, Tripoli, Beirut, Damasco, Amman, Kuwait, Sana’a e via dicendo; metteremo fine alla macchina da guerra sionista-americana di dominio, espansione, estrazione, inquinamento e saccheggio….e voi ve ne andrete, oppure imparerete finalmente a vivere con gli altri da pari a pari.”
*Rania Hammad, scrittrice, attivista e membro del Global Network Question of Palestine della Organizzazione ARDD (Arab Renaissance for Democracy and Development).