Governo Trump, sfide e opportunità per l’America Latina e i Caraibi.

Elìas Jaua Milano*

Gli orientamenti e le azioni che Donald Trump ha intrapreso a partire dal suo secondo giuramento come Presidente degli Stati Uniti nel gennaio 2025, e soprattutto negli ultimi giorni, rivelano un nuovo schema nell’esercizio della supremazia geopolitica. Uno schema basato sul tentativo di recuperare il potere economico interno e su una politica internazionale intimidatoria, attraverso l’esercizio del “potere duro”.  Questo approccio aggressivo alle relazioni internazionali risponde alla lotta antagonista delle élite economiche e finanziarie, alcune da posizioni globaliste e altre in difesa della produzione e dei mercati nazionali dei principali Paesi capitalisti. 

La concezione del mondo di Trump.

Nel pensiero politico di Donald Trump e dei suoi seguaci è evidente la preoccupazione per la cosiddetta anarchia nelle relazioni internazionali che la globalizzazione ha generato negli ultimi quattro decenni, diminuendo il peso specifico degli Stati Uniti come potenza egemone. 

Si intenda la definizione di anarchia, secondo la Teoria delle Relazioni Internazionali, come l’assenza di un’autorità riconosciuta, sia de facto, con uno o più Stati nazionali con potere militare e/o economico, sia de jure, con organizzazioni multilaterali, che garantiscano un ordine internazionale.

Non è una novità che alcuni dei cosiddetti “Paesi potenza” siano di fatto a capo di una sorta di governo internazionale. È stato così dopo la fine della Seconda guerra mondiale, fino alla fine del XX secolo, con le aree di influenza del periodo della Guerra fredda, distribuite principalmente tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Tutto lascia pensare che oggi si cerchi un’architettura internazionale sotto l’egida di Stati Uniti e Russia, secondo la prospettiva di Trump, non necessariamente condivisa dal Cremlino. 

Nel caso della Cina, al di là dell’attuale battaglia commerciale, la strategia definitiva della nuova élite al potere insediata alla Casa Bianca sembra svilupparsi in un orizzonte di medio termine non così lontano.

Le attuali manovre diplomatiche e commerciali guidate da Trump mirano a far riemergere gli Stati Uniti come egemone nei valori culturali e nella potenza economica e militare dell’Occidente, con l’Unione Europea e il resto della NATO che dovranno subordinarsi a questa egemonia o essere esclusi da questo presunto nuovo ordine internazionale.

Trump contro l’America Latina e i Caraibi. 

“Non abbiamo bisogno di loro. Loro hanno bisogno di noi. Tutti hanno bisogno di noi”, questa risposta di Donald Trump, il 21 gennaio 2025, alla domanda di un giornalista su come considerasse le relazioni con l’America Latina e i Caraibi, era un chiaro messaggio ai governi della regione: non hanno carte da giocare con la sua amministrazione. 

Di conseguenza, l’unica relazione possibile in questa prospettiva è la subordinazione incondizionata alla strategia di rafforzamento interno dell’economia e della sicurezza nazionale degli Stati Uniti e la sottomissione assoluta a un governo internazionale di fatto.

L’agenda attuale per determinare le relazioni USA-ALC (le tariffe doganali; il controllo della navigazione attraverso il Canale di Panama; il contenimento della migrazione e l’accettazione di deportazioni forzate di massa dei migranti; l’etichettatura di bande criminali comuni come terroristi con l’obiettivo di giustificare le operazioni di polizia e militari nella regione; una nuova fase di soffocamento del Venezuela e di Cuba) è solo l’inizio di un’escalation di massima pressione sulla regione, con l’obiettivo di raggiungerne l’allineamento, attraverso una sorta di diplomazia da gangster in cui le condizioni delle relazioni sono imposte con una pistola alla tempia.

Dopo più di 100 giorni di mandato, vale la pena passare in rassegna le azioni concrete intraprese finora.  È in corso un processo di deportazione di massa di immigrati legali e illegali; l’imposizione di tariffe doganali tra il 10 e il 25% ai Paesi della regione, compresi gli alleati incondizionati, come i governi di Argentina, Ecuador ed El Salvador; l’imposizione al governo panamense di un aumento delle truppe statunitensi nel Comando Sud e la rottura dei contratti con compagnie cinesi per operazioni in alcuni porti della zona del Canale. Nel caso del Venezuela, è stata sospesa la licenza operativa della compagnia petrolifera statunitense Chevron e sono state annunciate ulteriori tariffe fino al 25%, in aggiunta a quelle già stabilite, per qualsiasi Paese in qualsiasi parte del mondo che commerci con gli idrocarburi estratti in Venezuela, colpendo direttamente gli accordi con Spagna, Italia, India, Cina e altri.  

Sono entrati in vigore ordini esecutivi che dichiarano terroristi i cartelli della droga messicani e una defunta banda criminale venezuelana; quest’ultimo caso è stato usato come pretesto per invocare una legge del XVIII secolo sui nemici stranieri per espellere migranti venezuelani senza processo. L’utilizzo di questa legislazione è stato però bloccato da alcune decisioni giudiziarie negli Stati Uniti.  

Nel caso del Messico, alla Presidente Claudia Sheinbaum è stato chiesto pubblicamente di consentire l’entrata in territorio messicano di commando militari per catturare i signori della droga. “Se il Messico volesse un aiuto con i cartelli, sarebbe un onore per noi entrare e farlo, potremmo entrare e farlo”, ha detto Trump che ha fatto una richiesta telefonica alla degna e coraggiosa Presidente messicana, che ha risposto pubblicamente “Voi state sul vostro territorio e noi sul nostro”.

Da posizioni serie, dignitose e sovrane, i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi possono intraprendere un percorso coraggioso che permetta loro di affrancarsi dalla politica di estorsione della Casa Bianca, la quale, peraltro, mettendo in atto queste politiche di aggressione, dimostra che non è vero che non ha bisogno della regione. La loro sicurezza nazionale, il commercio, la libera navigazione, le materie prime e la manodopera, necessari a raggiungere il loro obiettivo di sviluppo di un’economia endogena, dipendono fortemente dalla regione.

L’opportunità per l’America Latina e i Caraibi.

Questa nuova fase dell’aggressione statunitense contro l’America Latina e i Caraibi potrebbe essere un’opportunità per costruire un’integrazione o un’unione con una maggiore autonomia dall’Impero. Al di là delle differenze, al di là delle realtà politiche di ciascun Paese, si possono compiere progressi pragmatici nel coordinare gli sforzi nei settori del commercio, dell’energia, della lotta al narcotraffico e alla violenza, dell’attenzione alle migrazioni e della cooperazione in materia di sicurezza e difesa.

A nostro avviso, Messico, Cuba, Brasile, Venezuela, Colombia e Uruguay sembrano essere i soggetti chiamati in questo momento a promuovere un’iniziativa che riunisca la maggior parte dei Paesi latinoamericani e caraibici disposti a farlo, idealmente nell’ambito della Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici (CELAC). Attraverso uno sforzo di cooperazione che contribuisca a rispondere alle esigenze della regione, generate da questa nuova situazione, in base alle capacità e alle potenzialità di ciascun Paese.

Questo appello non deve essere inteso come una strategia di scontro con il governo della Casa Bianca, né come una negazione degli sforzi compiuti da ciascun Paese per raggiungere accordi sovrani con quell’amministrazione.

Questa iniziativa dovrebbe proporre un’agenda risolutiva su questioni come le seguenti: collocazione nella regione delle materie prime in eccesso e dei prodotti agricoli e industriali che non possono essere immessi nel mercato statunitense a causa dell’imposizione arbitraria di tariffe e di altre misure coercitive.

Sono molte le proposte elaborate nei primi anni di attività della CELAC, che potrebbero assumere la forma di un mercato energetico complementare, di sforzi congiunti nella produzione di beni necessari, di politiche e di un fondo comune per assistere la popolazione migrante nel suo ritorno ai Paesi di origine.

In particolare, è urgente un coordinamento regionale contro il flusso di narco-capitali e armi provenienti dagli Stati Uniti; la cooperazione deve essere implementata in termini di intelligence preventiva di fronte ad azioni vere o di “falsa bandiera” di bande criminali che potrebbero costituire pretesti per possibili operazioni speciali da parte degli organi di sicurezza statunitensi sotto la bandiera dell’antiterrorismo, all’interno dei nostri Paesi.

Allo stesso modo, la regione dovrebbe difendere diplomaticamente la proprietà del canale di Panama da parte del popolo panamense, come questione di interesse comune ed espandere congiuntamente le relazioni di cooperazione economica con i Paesi BRICS, in particolare con la Cina.

È chiaro che attualmente esistono differenze tra i Paesi chiamati a guidare questo sforzo comune, alcune delle quali sono insormontabili in termini di modelli politici adottati.  Tuttavia, il bene superiore della sovranità, dello sviluppo economico e della sicurezza dei nostri Paesi prevale in questo frangente senza precedenti.

È necessario cambiare gli atteggiamenti da tutte le parti e smantellare gli elementi irritanti che attualmente mettono a dura prova le relazioni tra i Paesi. È tempo di una visione strategica per superare questa fase aggressiva della politica statunitense.

Mai prima d’ora i timori di un dominio assoluto degli Stati Uniti sono stati così veri. Ma è anche vero che mai prima d’ora nella Storia sono stati fatti così tanti progressi nei meccanismi e nelle proposte di integrazione, senza la tutela degli Stati Uniti, come è avvenuto nei primi due decenni del XXI secolo. Ciò che serve è la volontà di agire insieme come regione, e questo momento costituisce una grande opportunità di schiarita di un orizzonte strategico.

Se agissimo come un blocco, potremmo approfittare delle contraddizioni che Trump ha aperto con i suoi alleati europei e trovare punti di accordo con le correnti democratiche di questi Paesi, anche all’interno degli stessi Stati Uniti. 

L’America Latina e i Caraibi devono costruire un percorso verso il resto del mondo che permetta loro di uscire vittoriosi dalla minaccia di questo riordinamento globale a cui stanno cercando di sottometterci.

La sinistra di fronte al riordinamento imperialista.

Al di là dei governi, la sinistra militante deve essere il soggetto che convoca a una grande alleanza democratica internazionale. Dobbiamo prendere sul serio il risorgere della cosiddetta “destra alternativa” nelle sue diverse varianti. Così come capire che, pur conservando l’essenza razzista e suprematista dei fascismi del XX secolo, quella destra ha oggi una concezione più elaborata, un discorso molto raffinato, tratto dal cosiddetto senso comune della popolazione e da un uso sistematico ed efficace delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Una destra, quindi, che non va sottovalutata in nessuna parte del mondo.

Oggi, più che mai, la sinistra deve tornare alla sua essenza, alla lotta contro lo sfruttamento capitalistico e contro ogni forma di dominio, alienazione o crudeltà nei confronti degli esseri umani, da qualunque parte provenga. Dobbiamo continuare a lottare per l’alba di un’umanità che sia umana. Questo è il nostro compito.

Traduzione di Marco Consolo


*Elìas Jaua Milano è sociologo. Ex Vice-Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, direttore del Centro Studi per la Democrazia Socialista (CEDES).

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