Donald Trump e l’Internazionale bruna
Michael Löwy*
La spettacolare vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi del 2025 rappresenta una svolta storica. Si può a lungo discutere se questa vittoria sia il risultato dei fallimenti dei Democratici – la loro mancanza di un programma, la loro adesione al neoliberismo – o di una reazione razzista e misogina contro Kamala Harris. In ogni caso, il risultato è disastroso per i cittadini di tutto il mondo. Il suo governo è la diretta rappresentazione dell’oligarchia borghese e della grande finanza: mai così tanti miliardari – di cui Elon Musk è l’esempio più eclatante – sono stati presenti ai vertici dello Stato americano.
L’elezione di Trump è solo l’ultima manifestazione di un’onda
di estrema destra e reazionaria, autoritaria e/o neofascista in tutto il mondo: governa già molti Paesi in diversi continenti. Esempi noti sono Modi (India), Orban (Ungheria), Erdogan (Turchia), Meloni (Italia), Millei (Argentina) e Netanyahu (Israele). Putin (Russia) non è lontano da questo modello. In altri Paesi europei e latinoamericani questa tendenza non è ancora al potere, ma non è lontana dalla vittoria. Trump è senza dubbio il più pericoloso di questi personaggi, perché è a capo del più potente impero capitalista, sia economicamente che militarmente. La sua vittoria è anche un grande incoraggiamento per l’Internazionale Bruna che si sta formando e che persone come Steve Bannon stanno cercando di organizzare.
Nonostante la loro diversità, alcuni tratti sono comuni alla maggior parte, se non a tutti, questi leader e/o movimenti: autoritarismo, nazionalismo a oltranza (“Deutschand über alles” e le sue varianti locali: “America First”, “O Brasil acima de tudo”, ecc), razzismo, violenza poliziesca/militare come unica risposta ai problemi sociali. La caratterizzazione come fascista o semi-fascista può valere per alcuni, ma non per tutti. Enzo Traverso usa il termine “post-fascismo”, che può essere utile, denotando sia la continuità che la differenza. Io preferisco usare il concetto di “neofascismo” per indicare novità e somiglianza.
D’altra parte, il concetto di “populismo”, utilizzato da alcuni politologi, dai media e anche da alcuni esponenti della sinistra, è del tutto incapace di descrivere il fenomeno in questione e serve solo a seminare confusione. Mentre in America Latina, dagli anni Trenta agli anni Sessanta, il termine corrispondeva a qualcosa di relativamente preciso – varguismo, peronismo, ecc. – in Europa, dagli anni Novanta in poi, è diventato sempre più vago e impreciso.
Il populismo è definito come “una posizione politica che si schiera dalla parte del popolo contro le élite”, il che si applica a quasi tutti i movimenti o partiti politici! Questo pseudo-concetto, applicato ai partiti di estrema destra, porta, volontariamente o involontariamente, a legittimarli, a renderli più accettabili, se non addirittura simpatici: chi non è per il popolo contro le élite?. Evitando accuratamente le parole che provocano offesa: razzismo, xenofobia, fascismo, estrema destra. Il termine “populismo” è anche usato in modo deliberatamente mistificatorio dagli ideologi neoliberali per confondere l’estrema destra e la sinistra radicale, caratterizzate come “populismo di destra” e “populismo di sinistra”, perché si oppongono alle politiche liberali, all'”Europa”, ecc.
CAPIRE LA DISCONTINUITA’
È un ritorno agli anni ’30? La storia non si ripete: possiamo trovare somiglianze e analogie, ma i fenomeni attuali sono molto diversi dai modelli del passato. Soprattutto, non abbiamo, ancora, stati totalitari paragonabili a quelli del periodo prebellico. L’analisi marxista classica del fascismo lo definiva come una reazione del grande capitale, con il sostegno della piccola borghesia, alla minaccia rivoluzionaria del movimento operaio. È lecito chiedersi se questa interpretazione spieghi davvero l’ascesa del fascismo in Italia, Germania e Spagna negli anni Venti e Trenta; in ogni caso, è irrilevante nel mondo di oggi, dove non si vede alcuna “minaccia rivoluzionaria”.
I governi e i partiti neofascisti di oggi differiscono radicalmente da quelli degli anni Trenta, che erano economicamente nazional-corporativi, per il loro estremo neoliberismo. Non dispongono, come in passato, di potenti partiti di massa e di sezioni d’assalto in uniforme. E non hanno la possibilità, almeno finora, di sopprimere totalmente la democrazia e creare uno Stato totalitario.
Mentre il fascismo degli anni Trenta aveva una base prevalentemente piccolo-borghese o rurale, non è così per il neofascismo del XXI secolo, che è radicato in tutti gli strati della società, dall’alta borghesia alla classe operaia.
Come possiamo spiegare l’ascesa dell’estrema destra? Ci sono spiegazioni specifiche per ogni Paese, a seconda della sua storia, delle forze politiche in gioco o del ruolo della religione. Ma questo è un fenomeno globale! Abbiamo quindi bisogno di un’analisi globale. Le spiegazioni avanzate dalla sinistra –il crollo dell’URSS, la crisi economica del 2008, le politiche neoliberiste, la globalizzazione – sono pertinenti, ma insufficienti.
I PUNTI IN COMUNE DELL’ESTREMA DESTRA. COME REAGIRE?
Negli Stati Uniti, Donald Trump sta smantellando lo Stato di diritto e la democrazia. Non possiamo ancora prevedere se ci riuscirà, né fino a che punto si spingerà la sua deriva autoritaria, razzista e xenofoba. Né possiamo prevedere se la resistenza di donne, immigrati, afroamericani, lavoratori e giovani, che è già iniziata negli Stati Uniti, sarà in grado di bloccare la sua offensiva. Ma la sua vittoria significherà un importante cambiamento nell’equilibrio di potere internazionale.
In Europa, l’estrema destra è già al potere in Italia e al governo in Olanda e in altri Paesi. Sempre più influente, è un serio concorrente per il potere in Francia e Germania. In India, Modi perseguita i musulmani, gli Stati musulmani autocratici (Iran, Afghanistan) attaccano le minoranze religiose e le donne. In America Latina, l’asse principale dell’estrema destra neofascista è nel Cono Sud, sotto forma di governi o partiti seri in cerca di potere. I tre esempi principali sono Javier Millei, già al potere in Argentina, Bolsonaro, attualmente neutralizzato, in Brasile, e José Antonio Kast in Cile. Millei è il più fanaticamente neoliberista, Bolsonaro il più attaccato all’eredità della dittatura e Kast quello con radici naziste (la sua famiglia è tedesca).
Nonostante le differenze, queste figure di estrema destra, autoritarie e/o neofasciste dell’Internazionale bruna hanno molto in comune:
- L’autoritarismo, l’adesione a un Uomo Forte, un Leader, capace di “ristabilire l’ordine”.
- L’ideologia repressiva, il culto della violenza poliziesca, la richiesta di ripristinare la pena di morte e di distribuire armi alla popolazione per la sua “difesa dai criminali”.
- In nome di una presunta “difesa della famiglia”, del rifiuto dell’aborto e dell’intolleranza verso le sessualità dissidenti (LGBTI). È un tema agitato, con un certo successo, da settori religiosi reazionari, spesso neopentecostali, ma talvolta anche cattolici. È l’aspetto conservatore della loro ideologia.
- Neoliberismo sfrenato, smantellamento dei servizi pubblici, privatizzazione e commercializzazione generalizzate… .
- Odio per la sinistra, i sindacati e i movimenti sociali, in particolare il femminismo e l’ecologia.
- Negazione della crisi climatica, rifiuto di misure ecologiche minime.
- Razzismo e/o intolleranza religiosa, persecuzione delle minoranze, degli immigrati e spesso delle donne.
Come reagire? All’inizio degli anni Trenta, Leon Trotsky propose la strategia di un fronte operaio unito per resistere all’ascesa del nazismo. L’unità della sinistra rimane, anche oggi, il punto di partenza essenziale per affrontare l’offensiva neofascista.
Ma dobbiamo anche tenere presente che il sistema capitalista, soprattutto in tempi di crisi, produce e riproduce costantemente fenomeni come il fascismo, i colpi di Stato e i regimi autoritari. La radice di queste tendenze è sistemica e l’alternativa deve essere radicale, cioè antisistemica. Nel 1938, Max Horkheimer, uno dei principali pensatori della Scuola di Francoforte, scrisse: “Se non si vuole parlare di capitalismo, non si ha nulla da dire sul fascismo”. In altre parole, l’antifascista coerente è un anticapitalista.
*Michael Löwy, sociologo e filosofo francese, militante nell’ambito della Quarta Internazionale, è nato in Brasile da genitori ebrei viennesi e dal 1969 ha vissuto a Parigi. È stato insegnante all’ École des Hautes Études en Sciences Sociales , Direttore di ricerca al CNRS, è autore di un gran numero di pubblicazioni tradotte in varie lingue che spaziano dalla critica letteraria al marxismo all’ecosocialismo.