I Democratici USA nel ciclone Trump

Alessandro Scassellati Sforzolini*

Senza la presidenza e il potere al Congresso (e anche senza il controllo della Corte Suprema), i Democratici sono stati lenti a reagire all’attivismo di Trump e solo nelle ultime settimane stanno cercando di trovare sempre più modi per farlo. Centinaia di legislatori hanno sottoscritto una mezza dozzina di memorie giudiziarie che contestano gli ordini esecutivi illegittimi e incostituzionali di Trump; altri hanno tenuto udienze “ombra” per evidenziare le mosse dell’amministrazione che hanno calpestato lo stato di diritto e cancellato programmi federali cruciali. Al Senato, hanno utilizzato le regole per rallentare la conferma di alcuni funzionari dell’amministrazione di livello inferiore. Alcuni legislatori democratici sono riusciti a mettere in luce la loro resistenza all’amministrazione. Il senatore progressista Cory Booker del New Jersey ha attirato un’attenzione smisurata con un discorso record di 25 ore in aula al Senato, un’impresa fisica di resistenza e controllo della vescica che ha avuto un’ampia risonanza – accumulando milioni di “Mi piace” su TikTok – anche se in realtà non ha impedito a Trump di fare nulla.

Per ora l’unica vera opposizione al regime di Trump è rappresentata dai giudici federali – nominati sia dai repubblicani che dai democratici, alcuni nominati dallo stesso Trump – che cercano di fermarlo in più di 120 casi ma il regime ignora i loro ordini o fa appello. Nel frattempo, il regime trumpiano continua ad attaccare tutte le istituzioni indipendenti che tradizionalmente fungono da cuscinetto contro la tirannia – università, organizzazioni non profit, avvocati e studi legali, media, scienza e ricercatori, biblioteche e musei, pubblica amministrazione e agenzie indipendenti – minacciandole di interventi punitivi o di perdita di finanziamenti se non si sottomettono al suo controllo e alle sue richieste. Alcuni membri democratici e progressisti al Congresso (Sanders, AOC, Booker, Van Hollen, Murphy) hanno espresso indignazione, ma la maggior parte sembra stranamente silenziosa. Certo, non hanno il potere diretto di fermare ciò che sta accadendo, ma appaiono fin troppo accondiscendenti. 

Nelle ultime settimane, però, in tutto il paese si sono moltiplicate scene di contestazione contro deputati e senatori democratici e repubblicani da parte di cittadini arrabbiati per le politiche di Trump. I mega-eventi Hands Off! (con migliaia di manifestazioni in tutti gli USA) per protestare pacificamente contro Trump e le sue politiche autoritarie, sono stati promossi da Indivisible e dal gruppo 50501 (50 proteste in 50 Stati, un giorno), dando vita ad un “movimento popolare non violento, apartitico e pro-democrazia, pro-costituzione e contro gli eccessi dell’esecutivo”. Affermano di essere organizzazioni grass-roots progressiste e di fatto sembrano opporsi a Trump in un modo che mette d’accordo la maggior parte della sinistra statunitense. Hands Off! mobilita un certo attivismo positivo tra milioni di persone che prima erano inattive e incentiva la costruzione di legami e contatti tra organizzazioni di base. Tuttavia Indivisible è accusato da sinistra di fare solo quello che detta l’establishment: accoglie sul palco persone come la deputata del Massachusetts, Katherine Clark (leader della minoranza democratica alla Camera), una centrista che ha rapporti con i finanziatori delle corporations e dell’Aipac (il comitato di azione politica pro-Israele). 

Gli attivisti democratici vogliono molto di più dalla loro rappresentanza politica. Sostengono che il Partito Democratico (PD) non si è ancora ripreso dallo shock della pesante sconfitta di novembre 2024 e abbia deciso di adottare come posizione quella di lasciare che Trump imploda da solo e perda la fiducia degli americani su una serie di questioni chiave, anche se finché l’economia rimarrà abbastanza prospera, potrà reggere. Il PD è in uno “stordimento confusionale” e non sembra avere una comprensione condivisa della gravità della sua situazione, per non parlare di come affrontarla. Inoltre, la base del partito è praticamente in aperta rivolta contro il suo establishment gerontocratico, con la vecchia guardia parlamentare che si sta preparando a un’ultima resistenza contro i colleghi più giovani che sono sostenuti dai social media. 

Pertanto, manca una resistenza e opposizione sostanziale del PD alle mosse aggressive e autoritarie di Trump che includono l’operazione di deportazione illegale di migranti e studenti internazionali, l’abbandono del giusto processo per centinaia di migranti, i licenziamenti e gli attacchi ai dipendenti federali, all’ambiente, alla libertà di parola, e i tagli alla spesa nell’interesse di arricchire i più ricchi. Per ora i Democratici sono soprattutto occupati a predisporre linee di difesa delle conquiste istituzionali realizzate, a partire dal New Deal negli anni Trenta e Quaranta, quindi la Social Security, Medicare, Medicaid, in pratica lo stato sociale statunitense, che è limitato rispetto a molti welfare europei, ma comunque è una presenza importante per decine di milioni di persone. Medicare è un aiuto fondamentale per le persone con più di 65 anni; la previdenza sociale può essere ottenuta da chi ha più di 62 anni; Medicaid è l’assistenza sanitaria per le persone più vulnerabili e povere. La fase prossima dell’agenda di Trump passa attraverso la Camera, dove i Repubblicani stanno negoziando un disegno di legge di bilancio che estende i tagli fiscali del suo primo mandato, ora in scadenza a fine anno, e che al contempo taglia i programmi sociali, incluso Medicaid. Data la risicata maggioranza repubblicana alla Camera e la probabilità di una vittoria democratica alle elezioni di medio termine, potrebbe essere l’unica nuova legge significativa che Trump riuscirà a firmare.

Bernie Sanders e AOC

Al momento, solo il senatore del Vermont Bernie Sanders (83 anni), ormai alla fine della sua carriera (non si ricandiderà nel 2026) e la deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez (AOC; 35 anni) sembrano in grado di elettrizzare i democratici che vogliono combattere Trump. Sanders e la sua apparente erede, AOC, hanno attirato folle enormi – più di 200 mila in totale, con 36 mila persone a Los Angeles, 34 mila a Denver, 26 mila a Folsom, 30 mila vicino a Sacramento, 20 mila a Salt Lake City, 23 mila a Tucson, più di 12 mila in una contea dell’Idaho, e 9 mila a Missoula in Montana – con il loro tour “Fighting Oligarchy”, dando energia a un PD in difficoltà. Sanders e AOC respingono l’idea di qualsiasi concessione a Trump e ai repubblicani. Si sono attenuti alla semplice argomentazione che ha conquistato milioni di elettori durante le due corse presidenziali di Sanders e lo ha reso caro agli elettori della classe lavoratrice multirazziale e multigenerazionale (si veda il suo libro Sfidare il capitalismo, Fazi Editore, Roma 2024), che in gran parte hanno abbandonato il PD a novembre: il sistema è corrotto, con i ricchi che si arricchiscono mentre altri sopravvivono a fatica. “In tutto il Paese, la gente lotta, ogni singolo giorno, solo per sopravvivere”, ha detto Sanders alla folla. “Fratelli e sorelle, nel paese più ricco della storia del mondo, possiamo fare molto meglio!” “Un’estrema concentrazione di potere, avidità e corruzione sta prendendo il sopravvento sul Paese come mai prima”, ha affermato AOC.

Per Sanders e AOC, il dolore e la rabbia della classe lavoratrice abbandonata dal PD, sempre più concentrato sulle battaglie identitarie (le “guerre culturali”) e incapace di vedere i problemi che avanzano (come l’alta inflazione e i bassi salari insieme a sistemi sanitari e pensionistici costosi ma inadeguati frutto di circa 50 anni di stagnazione dei salari), sono andati a Trump e sono ora rivolti – grazie alla propaganda di ideologi del populismo sociale della destra estrema trumpista, come JD Vance e Steve Bannon – contro gli immigrati, le persone transgender, le minoranze culturali e le persone con un livello di istruzione superiore, tutti bersagli sbagliati, mentre il bersaglio giusto sono le grandi corporations e i miliardari (a cominciare dagli oligarchi di Trump come Musk) la cui avidità non conosce limiti. “Possiamo avere un’estrema disuguaglianza di ricchezza, con la divisione tossica e la corruzione che la rendono necessaria per sopravvivere, oppure possiamo avere un’economia equa per i lavoratori, insieme alla democrazia e alle libertà che la sostengono. Ma non possiamo avere entrambe le cose”, dice Sanders. E sostiene che prima il PD lo capirà, prima il paese inizierà ad affrontare i suoi veri problemi. 

Nei comizi Sanders chiarisce la sua visione ampia e di vasta portata, che pone la classe lavoratrice al centro della politica come parte di un programma volto a migliorare la vita di tutti, tranne che dei ricchi. A differenza dei democratici centristi che vogliono preservare lo status quo mentre si cimentano in riforme marginali, Sanders propone una politica che affronta in modo molto più approfondito la crisi degli Stati Uniti, una crisi di cui Trump è solo un sintomo particolarmente odioso. “Non accettiamo questa assurdità di uno Stato blu contro uno Stato rosso. Siamo gli Stati Uniti d’America, non Stati rossi, non Stati blu. Credo onestamente che questo sia il discorso dei conservatori, dei moderati e dei progressisti, della stragrande maggioranza del popolo americano, che capisce che c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel nostro sistema di finanziamento delle campagne elettorali, dove i miliardari possono comprare le elezioni”.

Protezionismo e salari bassi

I democratici sono in grande difficoltà anche perché Trump ha fatto suo un tema – il protezionismo – che piace a molti elettori della classe lavoratrice di cui il PD ha bisogno per vincere le elezioni. Questo è particolarmente vero per gli Stati della “Rust Belt” indecisi come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. La campagna populista di Trump ha vinto in questi Stati sia nel 2016 che nel 2024 perché le loro industrie sono state devastate dal NAFTA (1992), ora USMCA, e da altri accordi commerciali free trade che sono stati una delle pietre angolari – insieme ai bilanci in pareggio a scapito della spesa sociale (con l’emanazione di un austero pacchetto di contro-riforme del welfare) – del programma di neoliberismo economico attuato dal PD a partire dall’era Clinton negli anni ‘90. Il passaggio al neoliberismo, una rete di politiche correlate che, in termini generali, hanno ridotto l’impatto dello Stato e del governo sulla società e riassegnato il potere economico alle forze del mercato privato, sottraendo il capitale al compromesso di classe con il lavoro che aveva sottoscritto l’ordine politico del New Deal e il Fordismo, ha cambiato radicalmente la società statunitense, fondendo idee di deregulation con libertà personali, frontiere aperte con cosmopolitismo e globalizzazione con la promessa di una maggiore prosperità per tutti. Un nuovo ordine politico che sposava la globalizzazione, la libera circolazione di merci e persone, nonché i legami transnazionali. La disintegrazione improvvisa del socialismo sovietico all’inizio degli anni Novanta ha rimosso l’ultima alternativa universale al capitalismo e alla democrazia liberale e ha aperto il mondo intero alla penetrazione capitalista, per cui ci sono stati sempre nuovi mercati e nuovi lavoratori all’estero. La promessa – non realizzata – era che con la marea “tutte le barche sarebbero salite”. I risultati più eclatanti di queste trasformazioni sono stati la deindustralizzazione della industrial belt del Nord e Midwest (una delle core costituency” della coalizione politica del New Deal), trasformatasi in “Rust Belt”, e la crisi finanziaria nel 2007-2008 che hanno contribuito a distruggere la credibilità dei principi neoliberisti e hanno generato una immensa sofferenza delle classi lavoratrici (in gran parte trasformate in “precariato”) che ha portato alla formazione di una “sottoclasse bianca” e ad una ribellione e rabbia contro le élite al potere. Pertanto, ora il protezionismo di Trump è appoggiato anche dalla governatrice democratica del Michigan Gretchen Whitmer che si è recata alla Casa Bianca per sostenere la politica tariffaria. Ma anche Shawn Fain, il presidente del sindacato United Auto Workers, non certo un ammiratore del trumpismo, insiste sul fatto che i dazi, se opportunamente applicati, possono essere utilizzati per ricostruire una classe lavoratrice forte.

Gran parte della paura e dell’ansia degli americani riguarda il futuro del lavoro. Molti devono fare due o tre lavori: guidano per Uber o Lyft, salgono su biciclette elettriche e portano il cibo alle persone. E poiché i posti di lavoro sindacalizzati, soprattutto nel settore privato, sono così pochi (solo il 6%), il loro posto è precario e i loro salari sono bassi: in decine di milioni sono dei working poor. D’altra parte, persino lavori altamente qualificati nel campo della medicina, come gli anestesisti, vengono assorbiti dall’intelligenza artificiale. Ogni giorno milioni di americani vivono sotto uno stress incredibile, spaventati a morte che se la macchina si guasta, se il figlio si ammala, se il padrone di casa aumenta l’affitto, se divorziano o si separano, se rimangono incinta, se per qualsiasi motivo perdono il lavoro, si ritroveranno nel bel mezzo di una catastrofe finanziaria. Vivere di stipendio in stipendio non lascia alcun senso di sicurezza, nessun cuscinetto su cui ripiegare e nessun tempo di qualità da trascorrere con la propria famiglia in un ambiente rilassato. Non possono permettersi l’assistenza sanitaria né l’asilo per i bambini, non possono mandare i figli al college e hanno il terrore di ricevere una pensione inadeguata. Senza un doppio reddito familiare è di fatto impossibile sopravvivere quando i bisogni primari costano più di un singolo reddito. Questa è la realtà che milioni di americani della classe lavoratrice sperimentano ogni singolo giorno, persone che lavorano sodo e rimangono sempre più indietro. Inoltre, a causa di quelle che i medici chiamano “malattie della disperazione” (cardiopatie, diabete, asma, cancro, depressione, alcolismo, abuso di oppioidi), le loro comunità hanno anche dovuto assistere a un calo dell’aspettativa di vita del 2%. 

Mutazione antropologica degli elettori e politica del PD

Negli ultimi tre decenni, i Democratici sono diventati sempre più il partito degli americani con un’istruzione universitaria (con l’egemonia di un’élite culturale di professori universitari e professionisti delle grandi città che legge il “New York Times” e il “Washington Post”, guarda la Cnn e la Msnbc, ascolta la National Public Radio e vari media liberal), di entrambi i sessi e di tutte le razze. Questa parte rappresenta però solo il 35% della popolazione votante. Abbiamo assistito a un’inversione di tendenza rispetto alla tradizionale base di sostegno del PD, che fino agli anni Cinquanta era costituita dalla classe lavoratrice, in particolare dai bianchi, e poi gradualmente anche dagli afroamericani e dagli ispanici. Negli ultimi decenni, i bianchi della classe lavoratrice non hanno sempre votato in blocco per il PD. Una volta votavano per il PD al Congresso più di quanto non facciano ora, soprattutto nel Sud (almeno fino alla stagione dei diritti civili degli anni ’60 e del programma di riforme della “Great Society” del presidente Lyndon Johnson), ma per la presidenza hanno votato per Richard Nixon nel 1968 e 1972, per Ronald Reagan nel 1980 e 1984 e anche per George W. Bush nel 2004. 

La sociologa Arlie Hochschild, nel libro Strangers in their own land. Anger and mourning on the American right (2016) ha usato una metafora interessante: ha scritto che i lavoratori bianchi della classe lavoratrice della Louisiana con cui ha parlato, molti dei quali lavoravano nell’industria petrolifera, sentivano che altre persone, diverse da loro, immigrati, neri, donne, “tagliavano la fila”, li scavalcavano, passavano loro davanti. Queste persone erano in coda per un lavoro, per un’opportunità, per il sogno americano e hanno visto questi altri gruppi passargli davanti con il sostegno dei Democratici, del governo, di chi sta in alto. 

Alle elezioni del 2016, Hilary Clinton guidava uno schieramento progressista neoliberista e globalizzatore cosmopolita che, come ha segnalato Nancy Fraser (2017), era composto da varie correnti mainstream e metropolitane dei nuovi movimenti sociali identitari – ambientalismo, femminismo, anti-razzismo, multiculturalismo e diritti LGBTQIA+ – da un lato, e settori del mondo del business di fascia alta «simbolica» e creativa basato sui servizi, la knowledge class «globalista» di Wall Street, Madison Avenue, Silicon Valley e Hollywood, dall’altro.

Alle elezioni presidenziali 2024, il 59% degli elettori bianchi della classe media ha votato per Harris, rispetto a solo il 31% della classe lavoratrice bianca. Il sostegno ad Harris è stato maggiore tra i neri e i latinoamericani, ma è diminuito in entrambi i gruppi rispetto a quello di Joe Biden nel 2020. Tra gli elettori neri senza laurea, è sceso di 3 punti percentuali rispetto a Biden nel 2020, e tra coloro che guadagnano meno di 100 mila dollari, la quota di Harris è scesa di 8 punti percentuali. Ancora più sorprendentemente, tra gli elettori latinoamericani senza laurea, la sua quota è scesa di 15 punti percentuali; tra coloro che guadagnano meno di 100 mila dollari, è scesa di 20. Le elezioni del 2024 hanno fornito un’ulteriore prova che la base di sostegno di lunga data dei Democratici nella classe lavoratrice è in uno stato di avanzato decadimento. E la defezione degli elettori della classe lavoratrice dal PD sembra ora essere una tendenza generale, non più limitata ai soli bianchi. Il giorno dopo le elezioni, Sanders ha pubblicato la sua concisa autopsia: “Non dovrebbe sorprendere che un Partito Democratico che ha abbandonato la classe lavoratrice scopra che la classe lavoratrice ha abbandonato loro”.

Alla mutazione sociale dell’elettorato è corrisposta una mutazione del partito. Oggi, il PD rimane disunito in due gruppi principali, non solo sul futuro, ma anche su come affrontare l’attuale catastrofe. Il primo gruppo è quello dell’establishment centrista, ossia dei corporate democrats, che comprende il grosso dei rappresentanti eletti al Congresso federale soprattutto da Stati che sono tradizionalmente repubblicani o in bilico. I corporate democrats fanno solo quello che vogliono i finanziatori di Wall Street e della Silicon Valley, i tradizionali sostenitori sia dei democratici che dei repubblicani, e raccontano agli elettori tante piccole bugie innocue su come si battano per mettere in atto politiche progressiste, che non arrivano mai oppure arrivano in forme non risolutive, per allentare un po’ la pressione, come l’Obamacare o un minimo di Green New Deal con Biden. E, nonostante sulla carta abbiano un programma pro-lavoro e facciano anche affidamento sui finanziamenti dei sindacati, con la totale complicità e protezione dei corporate mainstream media, si giustificano affermando che nonostante si siano battuti duramente non c’è stato verso di ottenere di più. Negli ultimi 40 anni, i democratici alla Casa Bianca non hanno mai anteposto la riforma del diritto del lavoro alle priorità sostenute dalle imprese, come la deregolamentazione, la privatizzazione o la liberalizzazione di finanza e commercio, limitando al minimo la tutela dei lavoratori che ne subiscono l’impatto negativo.

Ora, una parte di questi Democratici centristi si stanno mobilitando sotto lo slogan dell'”abbondanza” – promosso nel nuovo libro Abundance: how we build a better future di Ezra Klein e Derek Thompson. Pur presentandosi come una nuova visione progressista per le politiche economiche volte a ricostruire l’America, funzionalmente la fazione dell’abbondanza (che è ampiamente finanziata dal settore tecnologico) equivale a una nuova iterazione del neoliberismo che promuove la deregolamentazione e politiche favorevoli alle imprese. Nell’attuale dibattito interno sul futuro del PD, la fazione dell’abbondanza rappresenta una ripresa dell’obiettivo di lunga data dei centristi di fare del partito un’icona dei ricchi in alleanza con la classe media professionale, con la classe lavoratrice (sia organizzata che non organizzata) saldamente relegata in secondo piano.

Obama e Biden

Barack Obama viene da molti considerato come parte dell’ala progressista del PD, ma i suoi critici a sinistra ritengono che abbia danneggiato il movimento progressista più di qualsiasi altro politico democratico. Lo accusano di fingere di essere progressista e poi di lavorare giorno e notte per sconfiggere candidati progressisti affilando i coltelli da dietro le quinte. Nel 2020 ha coalizzato l’establishment democratico a favore di Joe Biden esclusivamente perché non voleva Sanders, anche se non lo ha mai detto pubblicamente. Poiché andare contro Sanders significava inimicarsi almeno metà della base democratica, Obama non ha agito apertamente, bensì con telefonate private, come quelle a Buttigieg, Klobuchar e altri candidati affinché si ritirassero dalle primarie e offrissero il loro sostegno a Biden, sostenendo che Sanders (che aveva come avversario anche la senatrice Elizabeth Warren, da tempo identificata con molte cause progressiste) non aveva alcuna possibilità di vittoria (a seguito di questa mossa, non potendo recuperare delegati, anche Sanders si ritirò dalla corsa e poi contrattò un compromesso con Biden sulla piattaforma programmatica). Invece, nel 2020 Sanders era dato vincente su Trump, così come nel 2016, quando era avanti di 12 punti rispetto alla Clinton, nonostante tutte le tv dicessero che solo Hillary poteva vincere, e appariva essere l’unico in grado di contrastare l’attrattiva di Trump nei confronti degli elettori della classe lavoratrice delusi dal solito andamento delle cose (la Clinton poi è diventata la candidata del PD con il cruciale sostegno dei “super-delegati” non eletti della Convention Nazionale Democratica). Inoltre, come Biden, Clinton, Harris e tutta l’élite democratica, anche Obama ama i ricchi donatori più degli elettori. E i donatori non hanno mai voluto Sanders per il terrore delle tasse, dell’espansione dei servizi pubblici nel settore sanitario (“Medicare per tutti” con fondi pubblici), del Green New Deal e della regolamentazione dei settori economici.

Nel 2023-24 tutto il sistema dei media mainstream legato ai democratici ha continuato a sostenere Biden come unico candidato alle elezioni presidenziali del novembre 2024, mentendo spudoratamente sul suo declino mentale fino al dibattito con Trump. Obama, ma anche Nancy Pelosi (all’epoca Speaker della Camera), dopo il disastro di quel dibattito hanno fatto pressioni su Biden perché si ritirasse. Tra l’altro Obama e Pelosi avrebbero voluto cercare di convincere Biden a ritirarsi molto prima, ma non l’hanno fatto proprio per l’alta probabilità che Biden imponesse Harris come sua alternativa. Pensavano che Harris fosse una candidata terribile, un politico retorico e inconcludente, e volevano una convention aperta. Anche Biden aveva la stessa opinione sulla Harris e se le ha dato il suo endorsement nel giorno stesso del suo ritiro è stato per vendicarsi di Obama e Pelosi, sia perché sapeva che sarebbe stato difficilissimo contrastare la sua decisione, sia perché sperava nella sconfitta di Harris per poter dire per il resto della sua vita che lui invece avrebbe vinto. Mentre la propaganda ha subito costruito l’immagine di Harris come candidata perfetta, la realtà era ben diversa. Pelosi ha appoggiato Kamala il giorno dopo, mentre Obama ha aspettato 5 giorni, finché, quando ormai ci si interrogava sul suo silenzio, anche lui ha dovuto unirsi al coro.

La sinistra del PD

Il secondo gruppo del PD è quello progressista che mette assieme i populisti che si focalizzano soprattutto su istanze economiche (aumento del salario minimo e della tassazione di ricchi e corporations; riduzione dei prezzi delle medicine e sistema sanitario pubblico nazionale universale) e sulla guerra in Palestina e Ucraina, e quelli che possono essere definiti far left  (tra i quali anche alcuni marxisti, anche se per molte posizioni che sostengono, in Europa sarebbero considerati di centro-sinistra e socialdemocratici) e che sono focalizzati più su istanze sociali, lotte culturali e wokism in generale (il cosiddetto Dei: Diversity, equity and inclusion). La maggior parte dei membri della sinistra del PD operano in distretti e Stati democratici consolidati (ad esempio, AOC in un distretto di New York e Sanders nel Vermont). 

Questa ala progressista populista e di sinistra vuole combattere Trump praticamente su ogni questione. Alcuni nella far-left potrebbero essere definiti radical left, ma il loro essere radicali non riguarda tanto le idee politiche, quanto l’atteggiamento, il modo di pensare secondo cui non è consentito il dissenso per cui bisogna seguire una certa ortodossia. È un atteggiamento mentale simile a quello dei democratici dell’establishment: devi fare tutto quello che noi diciamo di fare, non puoi dissentire. Insomma, devi essere un purista. E così vogliono andare a combattere su ogni terreno, cosa che spesso non aiuta a vincere.

Molti dei puristi hanno abbandonato il PD perché, dopo la resa di Sanders a Biden nel 2020, non credono nella riformabilità del partito. Per questo, c’è chi parla di formare un terzo partito, ma in tanti ritengono che sia impossibile rompere la struttura bipartitica, per l’enorme quantità di soldi necessaria per l’affermazione consistente di un terzo partito, tant’è che ci è riuscito solo il miliardario Ross Perot negli anni ‘90. 

Populisti e far left pensano che catturare il PD nelle primarie nel 2026 e nel 2028 sia più facile che avviare un terzo partito per vincere un’elezione generale. Del resto è quello che ha fatto Donald Trump con il Partito repubblicano nel 2016, mantenendone il controllo, di fatto, anche dopo aver perso le elezioni nel 2020. Vincere una primaria democratica non è impossibile, in fondo Sanders l’ha quasi fatto per due volte, mentre AOC lo ha fatto nel 2018, 2020, 2022 e nel 2024 (e nel 2028 potrebbe sfidare il senatore democratico di New York Chuck Schumer). È molto complicato, perché per vincere un’elezione la sinistra populista e far left deve saper attirare anche quelli che hanno votato per i Democratici dell’establishment come Clinton, Biden e Harris.

Visto da sinistra Sanders viene altamente considerato per la sua visione politica progressista promossa attraverso un movimento di base, ma anche molto criticato per il suo atteggiamento considerato troppo rispettoso dell’establishment. Viene visto come troppo onesto, educato e perbene, al punto da non essere capace di attaccare i suoi avversari sul piano personale, e se in politica non denunci esplicitamente le colpe e le corruzioni del tuo avversario non puoi vincere. E lui si è sempre rifiutato di farlo sia con la Clinton che con Biden. Avrebbe, ad esempio, potuto sbugiardare la Clinton sul voto della legge sulla bancarotta a favore delle banche. Nei dibattiti del 2020 con Biden, lo staff di Sanders gli aveva preparato una lista di scandali e bugie di Biden con cui avrebbe potuto attaccarlo pesantemente. Sanders ci ha provato ma non ce l’ha fatta ad affondare.

Negli ultimi mesi, con il Fighting Oligarchy Tour AOC è diventata l’ufficiale erede di Bernie Sanders, tanto che si ipotizza una sua candidatura presidenziale nel 2028, anche se già i suoi sostenitori si chiedono quali nuovi trucchi l’establishment ha in serbo contro di lei o un altro eventuale candidato di sinistra. AOC fa parte della Squad, una coalizione informale progressista e di sinistra nella Camera, facente parte del Democratic Caucus. Tutti i membri sono membri del Congressional Progressive Caucus. La Squad era inizialmente composta da quattro membri eletti alle elezioni della Camera del 2018: AOC di New York, Ilhan Omar del Minnesota, Ayanna Pressley del Massachusetts e Rashida Tlaib del Michigan. Il gruppo si è ampliato a sei membri in seguito alle elezioni della Camera del 2020, con l’adesione dei neoeletti Jamaal Bowman di New York e Cori Bush del Missouri. Dopo le elezioni del 2022, la Squad è cresciuta a nove con l’aggiunta di Greg Casar del Texas, Summer Lee della Pennsylvania e Delia Ramirez dell’Illinois. Dopo le elezioni del 2024, il gruppo si è ridotto a sette, poiché Bowman e Bush sono stati sconfitti alle primarie (vittime delle tattiche finanziarie dell’Aipac) e hanno abbandonato il gruppo all’inizio del 119° Congresso. I membri della Squad hanno ricevuto il sostegno del comitato d’azione politica Justice Democrats (un gruppo che recluta giovani progressisti per sfidare gli incumbent dell’establishment) e si collocano nell’ala sinistra del PD. AOC, Pressley, Bush e Bowman sono stati inizialmente eletti al Congresso dopo aver spodestato i candidati in carica nelle primarie. Tutti tranne Lee rappresentano seggi sicuri, con punteggi del Cook Partisan Voting Index di almeno D+20. Geograficamente, tutti tranne il texano Casar provengono dal Midwest o dal Nord-Est degli Stati Uniti. Tutti tranne Omar, Pressley e Ramirez sono attualmente o sono stati affiliati ai Democratic Socialists of America, con Bowman, Tlaib e Bush attualmente ancora appoggiati dall’organizzazione.Oltre al comitato d’azione politica Justice Democrats, ci sono altri networks come The Young Turks, Run for Something e il movimento Populist Takeover of the Democratic Party che si stanno attivando per trovare e sostenere giovani candidati populisti progressisti e far left in tutto il paese. Associabili alle posizioni della Squad o comunque di un populismo economico o far left, tra i politici democratici attualmente in giro, ci sono il deputato della California Rohit Khanna (48 anni) dal 2017, il giovane deputato texano dal 2022, Greg Casar (36 anni), che è da poco diventato presidente del Progressive Caucus della Camera, il deputato Maxwell Frost (28 anni) della Florida, il deputato Chris Deluzio (41 anni) della Pennsylvania, il governatore Tim Walz che in Minnesota ha fatto approvare diverse leggi populiste. Poi, possibili candidati potrebbero essere degli outsider, qualcuno esterno al mondo della politica, come Sean O’Brien, presidente del sindacato International Brotherhood of Teamsters, o Shawn Fain, il presidente del sindacato United Auto Workers, che durante le trattative sul contratto nazionale di due anni fa, ha mobilitato gli iscritti con una trasparenza senza precedenti e una strategia di sciopero selettivo che ha prodotto importanti benefici contrattuali per i lavoratori dell’industria automobilistica, dopo anni di concessioni divisive e demoralizzanti. A New York si segnala il caso di Zohran Mamdani (33 anni), un attivista socialista democratico e membro dell’assemblea statale del Queens, che si è candidato alle primarie del PD per la candidatura di sindaco della città alle elezioni del prossimo novembre, proponendo di congelare gli affitti, rendere gratuiti i trasporti urbani e far nascere dei negozi di alimentari gestiti dal comune – nonché la creazione di un dipartimento per la sicurezza della comunità che investa in programmi di salute mentale e di risposta alle crisi in tutta la città.


*Alessandro Scassellati Sforzolini, ricercatore sociale, si è laureato in Scienze politiche alla Luiss di Roma e ha ottenuto un Ph.D. in Antropologia culturale presso il Graduate Center della City University of New York. Ha condotto numerosi studi e ricerche sul campo. Fa parte di Casa dei Diritti Sociali e scrive sulla rivista online “Transform! Italia” e per “Left”.

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