Giorgio Riolo, La via del classico. Letteratura, società, vita quotidiana, Petite Plaisance, Pistoia, 2025
“Per scrivere un libro nel terzo millennio ci vuole una smisurata superbia. Basta entrare in una biblioteca comunale e guardare le vetrine di un cartolaio per capire che il mondo non ha bisogno di un volume in più”. Sono, queste parole di Luigi Pintor, piene di icastica verità in un’epoca in cui un vecchio romanzo d’appendice risulta essere, a confronto di moltissimi prodotti editoriali, un capolavoro. Eppure esistono ancora i libri necessari, che sfidano la mediocrità. É questo il caso dell’ultimo lavoro di Giorgio Riolo, La via del Classico. Letteratura, società, vita quotidiana, conoscenza. Si tratta di un testo decisamente inattuale e, appunto, doveroso. Inattuale perché, entrando subito in medias res, dichiara di mirare alla “conoscenza di come si sta al mondo, di come si concepisce l’essere umano, nella sfera individuale e nella sfera collettiva, nella società e nella storia”. Un approccio globale allo “sviluppo della personalità”, una vera bestemmia per il mainstream post-moderno che non sopporta “l’avere fermi convincimenti, affermare cose nette, dare definizioni generali”. Doveroso perché, esattamente a partire dalla critica al post-moderno, recupera pienamente il classico come strumento per vivificare quella che Roberto Finelli e Marco Gatto hanno definito come intelligenza critica verticale, quella facoltà umana che qualcuno vorrebbe eliminare a favore dell’esteriorizzazione totale della mente dentro un flusso continuo di informazioni, che però avrebbe precisi padroni.
Giorgio Riolo è arrivato a scrivere questo suo invito alla lettura dei classici, che non sono solo appannaggio della letteratura, ma anche della storia, della filosofia (che spesso ha prodotto grandi testi letterari), della politologia critica, sulla scorta di una passione personale che, citando il suo amato Ernst Bloch, ha saputo mettere insieme la corrente fredda “dell’analisi precisa del reale con la corrente calda, che esprime la volontà, l’impegno attivo, la soggettività, la disposizione interiore, la passione per la vita e per i cambiamenti di varia natura, anche rivoluzionari”. Il suo è stato uno sperimentarsi sul campo, il far vivere attraverso la relazione con altri, uno studio, una passione, un percorso di educazione sentimentale. Lo ha fatto, oltre che in mille altre occasioni, dal 1990 al 2009 conducendo un gruppo di lettura presso la biblioteca comunale di Bollate (Milano) e dal 2009 al 2021 svolgendo cicli di incontri dal titolo “La letteratura come vita e come riflessione sulla vita”. Il classico che è in noi. Egli si muove e scrive su una sorta di registro medio, che, per sua stessa dichiarazione lo tiene lontano sia dall’iper specialismo, sia dalla sin troppo facile banalizzazione; sta dunque, a mio avviso, nel territorio di una raffinata artigianalità in grado di plasmare in modo avvincente la sua idea di ritrovo con gli scrittori e le scrittrici, con l’arte. L’incontro è sempre importante, perché è in grado di orientare le vite, dare loro materiali per sviluppare intelligenza critica. É decisivo quello con le persone, con maestri spesso involontari, così come con i testi, magari fuori da contesti formalizzati. I classici lo sono diventati perché hanno retto al vaglio di vari setacci della storia e hanno le caratteristiche di durevolezza perché assurgono a una universalità che non tramonta. Oltre al criterio generale, però, Riolo ricorda giustamente il fatto che ogni singola persona può costruire il suo personale pantheon di classici; di quei libri che, come ricorda la canzone di Fossati, “ci hanno aiutato a capire”.
I capitoli del libro sono scanditi da brevi e sapidi inviti alla lettura corredati da una bibliografia minima. Si va dall’antichità classica iniziando da Omero, Platone, risalendo al medioevo sino all’età moderna, vedendo sfilare tra gli altri Dante, Machiavelli, Shakespeare. C’è spazio poi per la grande stagione del romanzo realistico con Balzac, Dostoevskij o Thomas Mann, sino a Manzoni, Leopardi, Verga. Si passa, nella parte conclusiva del testo, a vedere la letteratura italiana del secondo dopoguerra (tra gli altri: Vittorini, Pavese, Sciascia, Milani), un focus su Marguerite Yourcenar, per giungere a una disamina di grandi contributi di storci e di maestri del pensiero critico (Carr, Bloch, sino a Marx, Lukács, Ernst Bloch, Simone Weil, Fanon).
Così come per il Calvino di Perché leggere i classici, anche per Giorgio Riolo ci sono valutazioni profonde che implicano una tensione positiva verso la letteratura, i classici, che come abbiamo ben visto vengono trovati a diverse latitudini del pensiero umano. Tra i nove potenti cardini su cui egli fonda tale ragionamento, è forse il primo che restituisce il valore complessivo della sua opera piena di passione: “la letteratura, quando è grande, coglie la vita nella sua totalità”. Il vero è l’intero diceva Hegel. Significativamente, questo intero a volte fa vedere l’abisso e ci fa paura. Eppure, ben sapendo con Leonardo Boff che l’uomo è sia sapiens che demens, continuiamo a lavorare per far venire fuori il meglio da tutte e tutti noi. É proprio questo che un libro come quello di Riolo ci aiuta a fare.
Roberto Cabrino