Trump e il declino degli Stati Uniti, con la Cina sullo sfondo

Vincenzo Comito*

“Si può avere fiducia sul fatto che gli Stati Uniti faranno sempre la cosa giusta una volta che tutte le altre possibilità siano esaurite”

                                                                Winston Churchill

“La fine di un mondo non è la fine del mondo”

                                                                Corine Pelluchon

Il mondo cambia

Questo testo si sofferma su alcuni aspetti della crisi degli Stati Uniti e soprattutto sulle sue relazioni con il resto del mondo e accenna invece soltanto ad alcuni aspetti della pur grave dimensione delle difficoltà interne al paese. 

Persino la grande stampa italiana si va accorgendo da qualche mese che negli Stati Uniti c’è ormai qualcosa che non marcia nella giusta direzione sia all’interno del paese che nei rapporti internazionali. E in effetti i segni evidenti della progressiva crisi del paese, in atto da molto tempo, sono venuti alla luce clamorosamente con l’elezione di Donald Trump alla presidenza, espressione di un grave malessere interno.

Ma la percezione della crisi degli Stati Uniti è già evidente da relativamente lunga data sulla pubblicistica internazionale. 

“l’Occidente non è più egemonico; demografia, economia, tecnologia, arsenale nucleare, tutti i criteri concordano nel fissare una carta della potenza a livello mondiale sempre più frantumata. L’Occidente deve ormai dividere ricchezza, potere militare, narrazione della Storia, capacità di dettare quella che deve essere la norma nei settori più diversi con molti altri attori” (Frachon, 2023). I valori che le potenze occidentali continuano a considerare come universali non riescono più ad imporsi né militarmente, né politicamente, né culturalmente (Billion, Ventura, 2023). Tali valori sono sempre più percepiti ormai come “dei codici dell’Occidente, fatti dall’Occidente, per l’Occidente” secondo la formula di un ricercatore di origine australiana, Bobo Lo. 

Un’altra cosa che trova quasi tutti d’accordo, collegata alla precedente, è il fatto che in particolare la potenza commerciale, economica, finanziaria, tecnologica, militare degli Stati Uniti, sino a ieri paese di gran lunga dominante, si stia progressivamente riducendo almeno in maniera relativa rispetto al resto del mondo. Ora, l’ascesa al potere di Trump sembra accelerare i mutamenti annunciati da tempo ed esserne anche in qualche modo il segno.

Gli Stati Uniti costituiscono ormai un fattore di destabilizzazione dell’ordine internazionale che pretendono invece di difendere (Billion, Ventura, 2023). Una destabilizzazione che appare ormai sempre più grave nel 2025.

Per altro verso, i paesi del Sud del mondo, anche se non costituiscono un complesso omogeneo, sono comunque ormai in grado di disporre dei mezzi commerciali, tecnologici, finanziari per opporsi sempre di più alle decisioni unilaterali delle potenze occidentali (Ominami, 2024).

Alcuni aspetti recenti del declino occidentale in generale, degli Usa in particolare

Dei brevi testi apparsi di recente ci aiutano a capire meglio alcuni aspetti del declino Usa e più in generale di quello occidentale (Jones, 2024; Kasonta, 2024; Masseguin, 2024).

Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, come scrive Jones, le élites occidentali si sono cullate in un prematuro trionfalismo. Per esse il modello di capitalismo senza regole che era diventato dominante a partire dagli anni Ottanta del Novecento, poteva ormai essere considerata come la fase finale dell’esperienza umana. Inoltre gli Stati Uniti e i suoi alleati godevano ormai apparentemente di un potere senza limiti e potevano operare come un servizio di polizia a livello mondiale.

La hubris così scatenata porterà presto ai disastri delle avventure militari in Iraq, Afganistan, Libia e alle operazioni contro la Serbia. Verrà poi la crisi economica del 2008 da cui l’Occidente non si è più veramente ripreso, afferma Jones. Nel resto dell’umanità si svilupperà intanto progressivamente un grande disprezzo per la pretesa di superiorità morale dell’Occidente. Dopo l’Ucraina, che ha mostrato tra l’altro i limiti della forza militare degli Usa, Gaza, con i crimini israeliani sostenuti nella sostanza da tutto l’Occidente, rappresenterà il culmine sanguinoso della sua perdita di legittimità. 

Più o meno sulla stessa linea tende a collocarsi un’intervista al politologo statunitense Michael Bremmer (Kasonta, 2024). Anch’egli sottolinea come Ucraina e Gaza accelerino il declino politico, economico e morale dell’Occidente (come si registra ancora, ad esempio, in un’intervista a Béligh Nabli (Masseguin, 2024). Bremmer sottolinea in effetti come l’Ucraina umili l’Occidente e Gaza lo riempia di vergogna. 

Su di un altro piano, la reazione statunitense alle manifestazioni del suo declino è quella della negazione. La sua politica appare ancora oggi quella messa a punto in un noto memorandum di Paul Wolfowitz del 1991; l’autore è stato vicesegretario della Difesa degli Stati Uniti.

Ricordiamo i principi di base di tale importante documento: gli Stati Uniti devono usare tutti i mezzi a loro disposizione per stabilire un dominio globale; a questo fine essi devono essere pronti ad agire preventivamente per ostacolare l’emergenza di qualsiasi potere che potrebbe sfidare tale egemonia e mantenere la dominazione totale in ogni regione del globo. O ricordiamo ancora più in dettaglio quanto dichiarava Zbigniew Brzezinsky, consigliere per la sicurezza nazionale con Johnson e Carter, già nel 1997: noi faremo entrare nella Nato tutti i paesi dell’Europa Orientale, compresa l’Ucraina e la Russia non potrà farci niente.

I mutamenti recenti nella struttura dell’economia degli Stati Uniti

Naturalmente l’elezione di Trump non viene fuori per caso; essa è anche da collegare, tra l’altro, ad una e più aggressiva forma di capitalismo affermatasi nell’ultimo periodo prima nel paese a poi da lì nel resto dell’Occidente. 

Si può, ad esempio, fare riferimento all’analisi che dell’attuale situazione fa un importante economista francese, Michel Aglietta (Aglietta, 2019). Per lo studioso il capitalismo ha oggi al suo centro la finanza, che, lungi dall’occuparsi in via prioritaria dell’economia reale, ha come preoccupazione centrale e ultima ratio quella di fare del denaro con del denaro. La dominazione della finanza sull’insieme della società, afferma l’autore, è amplificata oggi dal potere di monopolio dei giganti di internet ed ora dell’Intelligenza Artificiale ed essa è, tra l’altro, responsabile della grande crisi finanziaria del 2008-2009. Il sistema, regolarmente scosso dalle crisi, fa pesare, scrive l’autore, una minaccia permanente di instabilità sulle nostre società. Esso è poi soprattutto responsabile dell’esplosione delle diseguaglianze sociali e della distruzione delle risorse planetarie, in particolare di quelle climatiche; si tratta di gravi rotture che mettono in pericolo la stessa sopravvivenza delle generazioni future. 

Ancora più devastante, anche se in sostanziale sintonia con quella di Aglietta, l’analisi che della situazione attuale del capitalismo Usa fa Yanis Varoufakis nel suo libro più recente (Varoufakis, 2023). L’autore sottolinea, tra l’altro, come i proprietari dei gruppi del big tech siano diventati i padroni feudali del mondo, tendendo a sostituire il capitalismo tradizionale con un nuovo sistema che schiavizza le nostre menti, distrugge la democrazia e cerca di riscrivere le regole del potere globale. Dal punto di vista tecnico, al profitto si sostituisce la rendita, al mercato le piattaforme digitali.

La sfida economica Cina-Stati Uniti

Il campo in cui il declino degli Stati Uniti è forse più evidente è quello del confronto con la Cina; tutto l’establishment Usa è d’accordo su di una sola cosa, combattere il paese asiatico. Il fatto è che esso è spaventato: un paese come gli Usa, che si crede eccezionale, comunque superiore a tutti gli altri per volontà divina (e questa credenza è alla base stessa dell’identità collettiva del paese), si trova ora a dover fare i conti con la dura realtà, con un altro paese che tende ad essere uguale, se non superiore (Michael Bremmer). Ma non sembra che almeno l’establishment politico sia pronto ad affrontare i fatti; siamo ancora alla loro negazione. Da qui nascono molti gravi problemi. 

Cerchiamo di fornire un quadro sintetico del confronto tra i due paesi su diversi piani.

-il commercio

Sul piano commerciale è da tempo che la Cina ha superato gli Stati Uniti. Per esempio 144 paesi avevano nel 2022 maggiori scambi commerciali con essa piuttosto che con gli Stati Uniti e soltanto 60 con gli Stati Uniti rispetto al paese concorrente. Pensare dunque, come Trump, che per togliere i dazi ai vari paesi essi dovrebbero accettare di ridurre sostanzialmente i loro scambi con quello asiatico sembra abbastanza assurdo, tranne certo in alcuni casi. Peraltro negli ultimi decenni la capacità degli Usa di rifare il sistema commerciale globale si è molto indebolita nei confronti della Cina (Beattie, 2025, a). 

-il pil e l’economia

Sul piano del pil, considerando il criterio della parità dei poteri di acquisto, a la Cina ha superato gli Stati Uniti da diversi anni. La Banca Mondiale valuta che l’economia del paese asiatico sia pari nel 2024 a circa il 125 per cento di quella del suo rivale; in sostanza la Cina peserebbe per il 19% del pil totale globale e gli Stati Uniti per il 15%. Le stime di chi scrive porterebbero il divario sino almeno a circa il 140%. 

Ricordiamo ancora che ormai i paesi in via di sviluppo controllano circa il 60% del pil mondiale e che si prevede che nel 2030 i due terzi delle classi medie saranno collocate in Asia, che è oggi la regione del mondo con i più elevati tassi di sviluppo economico. I sette paesi del Sud del mondo con il pil più elevato superano ormai quelli del G7 su tale misura, sempre considerando il criterio della parità dei poteri di acquisto.

Per quanto riguarda in particolare il settore industriale le stime valutano che la Cina pesi per il 31% del valore aggiunto sul totale mondiale e gli Stati Uniti per il 16% (Feizi, 2025); una previsione dell’Unido riferita al 2030 valuta che i rapporti potrebbero essere allora del 45% e dell’11%.

-le tecnologie

Sul piano tecnologico la Cina, partendo sostanzialmente da zero alcuni decenni fa, ha ormai raggiunto il paese rivale, mentre la dinamica appare nettamente in suo favore. 

Le domande di brevetti presentate ogni anno nel mondo vedono ormai da tempo la Cina al primo posto; lo stesso di può dire per il numero degli articoli pubblicati in riviste di prima fascia. Oggi si laureano in Cina ogni anno circa 11.800.000 giovani, mentre negli Stati Uniti circa 3 milioni (Feizi, 2025). Secondo la classifica stilata dalla rivista Nature e relativa ai primi 20 centri di ricerca universitari 14 risultano essere cinesi, 4 Usa, 1 britannico e 1 giapponese. Secondo infine un rapporto dell’istituto coreano per la scienza e le tecnologie dell’informazione considerando dieci importanti campi di ricerca la Cina è al primo posto nel mondo in sette di essi e gli Stati Uniti in tre (Feizi, 2025).

-il campo militare

Sul piano militare gli Stati Uniti non appaiono più possedere la forza di un tempo. Molti indicatori lo mostrano. Dalla fine della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti hanno perso tutte le guerre. Quella in Ucraina ha mostrato come la Russia, pur spendendo circa un decimo degli Stati Uniti nel settore militare, raggiunga l’altro paese nella qualità degli armamenti e riesca a produrne in quantità più elevata, almeno in certi casi. Infine un autore come Jeffrey Sachs indica come un’eventuale guerra del Pacifico sarebbe vinta dalla Cina; e qualcuno suggerisce che questo avverrebbe in dieci minuti. 

-la finanza

La forza Usa risiede per la gran parte nel fatto che il dollaro è la moneta di riserva mondiale e quella più usata negli scambi internazionali, poi sul controllo del sistema dei pagamenti interbancari Swift, dal fatto infine di avere il mercato dei capitali di gran lungo più importante del mondo. Di questa posizione dominante gli Usa hanno abusato fortemente, di recente in particolare con il congelamento delle riserve valutarie in dollari della Russia dopo quelle dell’Iran e con l’esclusione di tale paese dal circuito Swift

Ma anche sul fronte finanziario la Cina sta avanzando sicuramente e prudentemente ma potrebbe accelerare il processo. In particolare, poi, sono ormai molti i paesi che stanno sviluppando sistemi alternativi allo Swift, mentre Trump sta accelerando un declino del dollaro già in atto, sia pure lentamente, da tempo. Tra l’altro, molte grandi istituzioni finanziarie anche statunitensi, molti ricchi asiatici, stanno riducendo i loro investimenti in attività denominate in dollari, segno di gravi potenziali problemi per la moneta. 

-la demografia

Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione in cui i paesi del Nord del mondo contengono al loro interno qualcosa di più di un miliardo di abitanti, mentre quelli del Sud circa sette miliardi. Nei prossimi decenni, poi, mentre la popolazione dei paesi ricchi tenderà a diminuire, in quelli del Sud essa continuerà a crescere. 

Per altro verso un paese come gli Stati Uniti, che conta 350 milioni di abitanti (circa il 4,3% del totale mondiale), pretenderebbe ancora di guidare un mondo che ha ormai più di otto miliardi di abitanti. 

Gli Stati Uniti cercano di resistere in tutti i modi

Ma gli Stati Uniti, come già accennato, non vogliono riconoscere le nuove realtà in atto. Graham Allison, professore ad Harvard, riassume così la situazione: “Gli americani sono scioccati dall’idea che la Cina non resti al posto che gli era stato a suo tempo assegnato in un ordine internazionale diretto dagli Stati Uniti” (Bulard, 2023). Si può pensare, come fa qualcuno (Todd, 2024), che il paese abbia in qualche modo perso il contatto con la realtà. Per altro verso le analisi di Todd appaiono in generale spietate sugli Usa e sull’Occidente.

Si è sviluppata da tempo un’offensiva economica, tecnologica, finanziaria, militare, politica, tout azimut, rivolta contro tutte le iniziative e le mosse di Pechino, cercando di coinvolgere nella stessa quanto più paesi possibile in tutti i continenti, su tutte le questioni e in tutti i modi. Ma tutte tali misure sono ad oggi del tutto fallite. Ora il secondo mandato di Trump tende ad aggravare fortemente le cose.   

La guerra economica del secondo Trump con la Cina appare secondo molti un errore di proporzioni storiche (Feizi, 2025). In particolare nel gioco globale del poker commerciale Trump ha ereditato delle carte cattive e sta poi giocandole in maniera estremamente sbagliata (Beattie, 2025). Come commenta infine il giornalista più autorevole del Financial Times, Martin Wolf (Wolf, 2025), “nessun paese sano di mente dovrebbe scommettere il suo futuro puntando su tale partner (Trump), specialmente contro la Cina”.

La guerra dei dazi

-un quadro generale

Può darsi che gli obiettivi che Trump mira a raggiungere con la sua campagna dei dazi non siano del tutto chiari, ma forse si può ricorrere a quanto scrive Arthur Kroebler (Kroebler, 2025) in proposito: “lo scopo della sua guerra commerciale è quello di rimuovere i vincoli imposti dall’attuale ordine economico internazionale sull’esercizio del potere unilaterale statunitense ed in particolare l’esercizio del potere da parte del presidente…quello che Trump vuole soprattutto, almeno apparentemente, è di mostrare la sua dominazione sul mondo e di ottenere sottomissione. I paesi che non resistono attivamente ai suoi dazi verranno graziosamente risparmiati dall’imposizione di dazi troppo elevati, il paese che osa resistergli è selvaggiamente punito…”

In tale quadro un paese in particolare è sotto tiro, la Cina, ai voleri da parte di chi si crede, a torto o a ragione, il padrone del mondo. 

Intanto i mercati finanziari tengono metaforicamente una pistola alla tempia del Governo e ci si chiede di credere che si tratti di un piano molto astuto (Beattie, 2025, a).

Diversi esperti suggeriscono inoltre che tra gli obiettivi che il presidente Usa si propone con le sue iniziative ci sia quello di arrivare a mettersi d’accordo su di una nuova spartizione del mondo tra Usa, Russia, Cina. Ci sembra che non si possa forse escludere che la Russia si possa trovare in sintonia con un tale eventuale progetto, ma la Cina si rifiuterebbe invece plausibilmente di rispondere positivamente all’ipotesi; la sua visione del mondo appare assolutamente contraria in tuta la sua storia a governare politicamente degli altri paesi. 

Per altro lato, come suggerisce di nuovo Kroebler (Kroebler, 2025), se lo scopo della nuova guerra di Trump con la Cina fosse quello di costringere Pechino ad inginocchiarsi di fronte al potere degli Stati Uniti, il risultato sarà soltanto quello di frustrazione e delusione. 

Le mosse di Trump stanno sconcertando anche i mercati finanziari e la tenuta del dollaro, come già accennato, in un quadro in cui l’indebitamento pubblico del paese ha raggiunto livelli enormi. In effetti la più grande sfida al dominio del dollaro viene dall’interno degli Usa; Trump non ha avviato il suo declino, ma egli fungerà molto probabilmente da potente acceleratore dello stesso (Rogoff, 2025). Molti, come ad esempio il già citato Martin Wolf, pensavano sino a ieri che la moneta Usa avrebbe continuato ad avere un ruolo dominante, ma ora tendono a ricredersi. 

Incidentalmente va ricordato che è vero che gli Stati Uniti registrano ogni anno un forte deficit nello scambio di merci con il resto del mondo, ma, d’altro canto, esso è per una parte almeno coperto da un surplus Usa nello scambio dei servizi e poi soprattutto esso è più che compensato da un forte afflusso di lunga data di capitali esteri nel paese, in particolare con l’acquisto di strumenti di debito pubblico e privato. Tra l’altro i paesi asiatici, Cina e Giappone tra tutti, hanno in portafoglio enormi quantità di buoni del Tesoro Usa. E’ riuscendo ad aspirare sino ad oggi il risparmio mondiale, vivendo a debito, al di là dei loro mezzi per decenni, che in effetti gli Stati Uniti sono riusciti sino ad oggi a mantenersi a galla. Ma ora sembra avvicinarsi un redde rationem.

Come suggerisce un articolo apparso sul New York Times (Cohen, 2025), anche se Trump terminasse in qualche modo la guerra dei dazi e le minacce di acquisizioni territoriali, alcuni danni gravi non potrebbero più essere riparati. Tra questi, l’erosione della fiducia negli Stati Uniti; intanto il mondo va avanti e reimposta le catene di fornitura senza gli Stati Uniti. Il disprezzo delle istituzioni internazionali mostrato dalla nuova amministrazione rafforza poi inevitabilmente l’influenza della Cina che, con la sua posizione calma e stabile, si presenta come il difensore del libero commercio internazionale. Ancora, l’attacco di Trump alle agenzie governative minaccia poi l’eccellenza scientifica e i vantaggi competitivi degli Stati Uniti; il settore pubblico finanzia in effetti circa il 40% della ricerca di base del paese.

Un aspetto particolare della politica del presidente riguarda la situazione dei gruppi del big tech del paese. I boss di tali imprese hanno fatto di tutto per ingraziarsi Trump, anche perché durante la campagna elettorale egli li aveva trattati molto duramente. Ma, ciononostante, l’atteggiamento della nuova amministrazione appare ancora parecchio ostile. 

-la reazione di Pechino

Dunque Trump ha alzato in dazi nei confronti della Cina sino al 145% in generale, ma con tassi ancora più elevati in certi casi. Ma la reazione della Cina non si è fatta attendere, rispondendo a Trump colpo su colpo e duramente. Per altro verso essa non è stata quella di panico, ma è risultata improntata alla fiducia nelle proprie forze (The Economist, a, 2025).

In generale appare evidente come il paese sconti certo in prospettiva qualche difficoltà sul fronte economico, magari con la possibilità di ritrovarsi con qualche milione di disoccupati, ma fiduciosa di uscirne con una vittoria politica e di immagine, apparendo il paese come un’oasi di tranquillità e di affidabilità rispetto al caos scatenato dagli Stati Uniti. La Cina afferma che stringerà le mani, non i pugni, per battere le tariffe di Trump, butterà giù i muri invece di costruire delle barriere, collegherà invece di separare, come ha dichiarato un portavoce del ministero degli esteri (Asia Financial, 2025, a).

Plausibilmente Trump sperava che la Cina si sarebbe inclinata e domandato clemenza. In realtà, secondo molti osservatori, saranno gli Stati Uniti che saranno alla fine più ansiosi di terminare il conflitto (Kristof, 2025). Si veda meglio in proposito ai paragrafi seguenti.

Intanto la Cina minaccia contromisure contro i paesi che negoziano con gli Stati Uniti nel caso in cui stringessero un accordo a sue spese. Comunque un’ondata di patriottismo la sta toccando e non sarà facile smontarla (Asia Financial, 2025, b).

Va segnalato incidentalmente che l’8 maggio 2025 la Gran Bretagna ha firmato un accordo commerciale con gli Usa; ma da una parte esso somiglia più al pagamento di una taglia ad un boss della mafia che ad un patto tra paesi sovrani e che, d’altra parte, esso è provvisorio e contiene delle clausole sui rapporti con la Cina che sono fortemente ambigui e potrebbero portare ad un conflitto con il paese asiatico. Peraltro, come suggerisce Alan Beattie (Beattie, 2025, b), una volta pagata una taglia non ci si libera più di un mafioso. Il patto mette anche un cuneo tra la Gran Bretagna e l’UE, rafforzando in sostanza la Brexit. In questo caso Trump ha vinto, m si trattava di una vittoria facile.

Nel 2024 la Cina ha registrato un surplus commerciale con gli Stati Uniti di quasi 300 miliardi di dollari, il 13-14% delle sue esportazioni. La Cina può sostituire la gran parte delle sue importazioni dagli Usa più facilmente di quanto possano fare questi ultimi, sia pure con qualche eccezione; quelle degli Stati Uniti sono molto concentrate in agricoltura, prodotti a basso valore aggiunto e molte di tali produzioni possono essere sostituite con quelle brasiliane, mentre le esportazioni cinesi, elettronica, macchine, minerali lavorati, sono per una parte molto consistente ad alto valore aggiunto e difficilmente sostituibili (Foster ed altri, 2025). 

Per molti Trump ha delle carte in mano più deboli di quelle di Xi e più a lungo Trump tarderà a riconoscere tale fatto più gravemente gli Usa perderanno. L’assunzione del presidente è che gli Usa esportano in Cina molto meno di quanto essi non importino. Ma gli americani vogliono i prodotti cinesi. Così se essi diventeranno più cari o scompariranno dagli scaffali gli americani ne soffriranno. Essi devono sperare che l’estate non sia troppo calda, perché l’80% dei condizionatori e il 75% dei ventilatori vengono dalla Cina. E i prodotti di Natale, le bambole, gli arredi degli alberi e la biciclette lo stesso. Essa produce il 50% degli ingredienti che vanno negli antibiotici e diversi armamenti richiedono le terre rare cinesi (Rachman, 2025). Di più, nei prossimi mesi larghe parti dell’industria Usa dovrebbe chiudere, con i prezzi dei beni intermedi che salgono e la fornitura delle terre rare e di altri input che si prosciugano (Feizi, 2025). Insomma, sembra che negli Stati Uniti si prepari nei prossimi mesi una crisi abbastanza grave.

Per altro verso lo shock di Trump sta spingendo la Cina a riallocare ancora più velocemente le risorse verso le tecnologie a più alto valore, più avanzate; in effetti l’innovazione e il controllo delle tecnologie chiave è alla fine la miglior difesa contro i dazi. Così la Cina sta mettendo a punto un nuovo modello di catene di fornitura: produzione su base regionale, sovranità tecnologica (Keyu Jin, 2025).

Comunque è stato anche varato a Pechino, nei primi giorni del maggio 2025, un pacchetto di misure di stimolo all’economia. Esso comprende un taglio dei tassi di interesse e dei livelli delle riserve obbligatorie delle banche, l’immissione sul mercato di liquidità, nonché dei fondi per il consumo e per l’innovazione tecnologica. Intanto nell’aprile del 2025 le esportazioni della Cina verso il resto del mondo sono cresciute dell’8,1% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; sono fortemente diminuite quelle verso gli Stati Uniti (-21,0%), ma anche altrettanto fortemente aumentate quelle verso il Sud-Est asiatico, il Medio Oriente e, in misura minore, verso l’UE.  

-le terre rare

I cinesi hanno in mano un’arma potente nelle loro mani, quella delle 17 terre rare, di cui essi controllano l’estrazione e ancora di più la lavorazione. Il paese è come l’OPEC delle terre rare (Kristof, 2025; The Economist, 2025, b). Esse sono elementi essenziali per la produzione di batterie, energie rinnovabili, smartphone, prodotti medicali, armi. Si tratta di produzioni che trovano molto difficilmente dei prodotti sostitutivi e di cui il paese, come ritorsione ai dazi, sta bloccando la fornitura. Ora le imprese e le altre organizzazioni occidentali posseggono certo delle riserve accumulate nel tempo, ma esse potranno durare soltanto qualche mese. Un solo aereo F_35 Usa contiene circa 450 chili di terre rare e un sottomarino più di quattro tonnellate. La messa al bando cinese colpirà gli Stati Uniti duramente. 

Inoltre la Cina ha bloccato le consegne alle compagnie cinesi di nuovi aerei Boeing, mentre potrebbero anche arrestare la collaborazione sui narcotici e l’esportazione di medicine contro il cancro e i problemi cardiovascolari.

Alla fine una recessione appare più probabile negli Stati Uniti piuttosto che in Cina. 

In ogni caso il 10 e l’11 maggio si sono tenuti in Svizzera, su richiesta Usa, degli incontri preliminari tra rappresentati di Usa e Cina sul tema dei dazi; essi sembrano aver dato qualche risultato positivo, con il taglio sostanziale del livello dei dazi tra i due paesi almeno per 90 giorni. Ma se si arriverà ad un accordo sarà sostanzialmente nei termini di Pechino, anche se Trump fingerà di cantare vittoria. Comunque il mondo non può sopportare a lungo le montagne russe di Trump.

Le fantasie relative alla reindustrializzazione

Un importante obiettivo dichiarato dallo stesso Trump con la guerra dei dazi è quello di far crescere fortemente la produzione industriale del paese e la relativa occupazione, obbligando tra l’altro le imprese straniere a localizzarvi nuovi importanti investimenti produttivi.

Ma, al di là di qualche caso in atto di sbarco di imprese straniere con insediamenti negli Stati Uniti, un recente articolo apparso su The Economist (The Economist, 2025, c) ci aiuta a ricordare le grandi difficoltà che ostacolano il raggiungimento di un tale obiettivo.

Intanto è difficile reperire i lavoratori ed in particolare, ma non solo, quelli specializzati, saldatori, elettricisti, operatori alle macchine. Poi va registrata la difficoltà di costruire nuovi stabilimenti nel paese; negli ultimi quattro anni il costo delle costruzioni è raddoppiato, mentre si registra un rilevante calo di produttività nel settore e di nuovo ci sono mancanze di manodopera addetta. Infine ci si trova di fronte ad una rilevante carenza di infrastrutture, con reti elettriche e di trasporto per una parte consistente decrepite. Trump sta poi aggravando la situazione con la lotta all’immigrazione.

Si potrebbe anche aggiungere che i continui mutamenti nelle decisioni del presidente frenano le imprese, in mancanza di un quadro preciso, dall’investire nel paese. Infine bisogna ricordare che i livelli di occupazione nell’industria tendono comunque a ridursi in Occidente, mentre aumentano quelli nei servizi. 

Verso un nuovo ordine multipolare?

Certamente Cina e Stati Uniti saranno i due massimi protagonisti della scena mondiale ancora almeno per un lungo periodo. Ma la rivalità tra i due paesi non sembra poter esaurire il quadro del nuovo ordine (o disordine) internazionale in via di formazione. Molti prevedono l’affermazione di un mondo pluralista, in cui si affermeranno anche una serie di potenze intermedie che tenderanno comunque ad affermare la propria autonomia e a pesare in maniera consistente sui destini del mondo. E in effetti, accanto alla sbalorditiva ascesa della Cina, bisogna considerare anche la volontà di emancipazione delle potenze regionali. Paesi come l’Arabia Saudita, l’Indonesia, l’India, il Brasile, mirano a una crescita economica molto forte e scommettono molto, a tale fine, sulla globalizzazione. In sostanza, per altro verso, tutti tali paesi rifiutano la lettura delle crisi del mondo contemporaneo fatta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (Kauffmann, 2023).  

Gli stessi cinesi non sembrano mirare – come invece suggeriscono una miriade di testi occidentali -, all’egemonia mondiale e all’imposizione del suo modello economico e politico ai vari paesi, ma anche essi sembrano auspicare la costruzione di un mondo multipolare. In effetti, in tutta la sua storia, il paese ha sempre manifestato piuttosto tendenze politiche isolazioniste e non mai cercato di avviare guerre di conquista. 

Qualcuno ha correttamente parlato, a proposito di questi nuovi sviluppi recenti, di “disoccidentalizzazione” del mondo, qualcun altro ha sottolineato come questo tenda ad essere il “secolo dell’Asia”(Khanna, 2019), mentre infine qualcun altro ha invece messo l’accento sul fatto che quella che abbiamo davanti si configuri come l’“età delle potenze intermedie”, sia nel senso di un loro peso economico e politico piuttosto consistente, che in quello di una posizione di mezzo tra le due grandi potenze. C’è anche chi, ad esempio lo storico Franco Cardini (Cardini, 2023), vede peraltro delinearsi, correttamente secondo noi, un “multipolarismo imperfetto”, “confuso, slabbrato, pieno di labilità e di incognite”. 

Bisogna comunque sottolineare che mentre i processi di disoccidentalizzazione in atto mostrano correttamente la ricomposizione della gerarchia mondiale degli Stati e delle loro alleanze, non si sa invece molto né della natura dei progetti che i paesi nuovi portano avanti, né in quale misura essi tendono a rifiutare di aderire alla logica di accumulazione predatoria delle potenze occidentali (Billion, Ventura, 2023). Bisognerà attendere parecchio per saperne di più.

Conclusioni

Come già affermato, le continue mosse di Donald Trump non fanno che accentuare il declino almeno relativo degli Stati Unti come centro dell’ordine economico, tecnologico, finanziario, militare mondiale che invece il presidente vorrebbe fermare. Come già accennato, il declino Usa non dovrebbe presumibilmente lasciare il posto di leadership globale ad un nuovo egemone, che potrebbe essere in astratto la Cina, anche se comunque essa dovrebbe uscire più forte dalla contesa in atto. Il declino Usa dovrebbe invece presumibilmente essere sostituito da un mondo pluralista i cui contorni precisi non emergono peraltro ancora chiaramente. 

Questo non significa certo che gli Stati Uniti usciranno di scena; essi rappresenteranno ancora a lungo, in particolare con la loro forza scientifica e tecnologica e forse anche finanziaria, uno dei poli più importanti del nuovo assetto globale in formazione. Ma il problema è quello di come conciliare gli Stati Uniti con la nuova realtà del mondo come si va delineando in questi anni, in particolare quella di non essere più il paese eccezionale, ma un paese normale.

*Nel presente testo sono inseriti dei brani già compresi in un altro articolo pubblicato dall’autore su “Su la Testa” nel numero 21-22 del giugno 2014; tali brani sono in particolare inseriti nei primi due paragrafi del testo e nel penultimo.

Testi citati nell’articolo

-Aglietta M. (a cura di), Capitalisme, le temps des ruptures, Odile Jacob, Parigi, 2019 

-Asia Financial, China says it will «shake hands not fists» to beat US tariffs, www.asiafinancial.com, 15 aprile 2025, a

-Asia Financial, Chinese exporters bank on discount, patriotism amid US tariffs, www.asiafinancial, com, 16 aprile 2025, b

-Beattie A., Trump discovers the US is no longer indispensable, www.ft.com, 24 aprile 2025, a

-Beattie A., Britain trade deal with Trump may not be good news for the world, www.ft.com, 8 maggio 2025, b

-Billion D., Ventura C., Désoccidentalisation, repenser l’ordre du monde, Agone, Marsiglia, 2023

-Bulard M., Quand le Sud s’affirme, Le Monde diplomatique, ottobre 2023

-Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza, Bari-Roma, 2023

-Cohen P., Why Trump’s economic disruption will be hard to reverse, www.nytimes.com, 28 aprile 2025 

-Feizi H., Trump trade war: it’s worse than a crime, it’s a blunder, www.asiatimes.com, 21 aprile 2025

-Foster P. ed altri, Trade, tech and Treasury: China holds cards in the Us tariff stand-off, www.ft.com, 15 aprile 2025

-Frachon A., Le monde post-1945 s’efface, Le Monde, 6 ottobre 2023

-Jones O., Blood, chaos and decline : these are the fruits of unbriddled western hubris, www.theguardian.com, 11 aprile 2024

-Kasonta A., This is the way the West ends, www.asiatimes.com, 29 marzo 2024

-Kauffmann S., 2023, l’année du Sud global, Le Monde, 21 dicembre 2023

-Keyu Jin, If Trump is trying to suppress China, he’s going about all wrong, www.ft.com, 10 aprile 2025 

-Khanna P., The future is Asian, Simon & Schuster, New York, 2019

-Kristof N., What Trump isn’t telling you about his strade war wirh China, www.nytimes.com, 19 aprile 2025

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*Vincenzo Comito è economista. Ha lavorato a lungo nell’industria, nel gruppo Iri, alla Olivetti, nel Movimento Cooperativo. Ha poi esercitato attività di consulente ed ha insegnato finanza aziendale prima alla Luiss di Roma, poi all’Università di Urbino.
Autore di molti volumi.


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