A quarant’anni dalla strage di Bologna:
la regia della P2 con i dollari del Banco Ambrosiano a finanziare fascisti e depistaggi*
Saverio Ferrari
Le conclusioni della nuova inchiesta sui mandanti e altri esecutori
Molte e rilevanti sono state le novità di questi ultimi mesi sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, la più grave e sanguinosa nella storia della Repubblica: 85 morti e 200 feriti. Prima, il 9 gennaio scorso, è arrivata, dopo 52 udienze e due anni di dibattimento, la sentenza in primo grado emessa dalla Corte d’assise di Bologna di condanna all’ergastolo per l’ex NAR Gilberto Cavallini, per concorso in strage con Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già sentenziati in via definitiva.
Poi, il 10 febbraio, l’avviso di conclusione delle indagini da parte della Procura generale di Bologna per la nuova inchiesta apertasi sui possibili mandanti, seguito, il 18 maggio, dalla richiesta di rinvio a giudizio per Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, quale ulteriore esecutore, per l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel e l’ex capo del Sisde (il servizio segreto interno) di Padova, Quintino Spella, entrambi accusati di aver ostacolato le indagini.
In questo ambito, sono stati individuati come mandanti e finanziatori della strage Licio Gelli, Umberto Ortolani, Umberto Federico D’Amato (per 20 anni al vertice dell’Ufficio affari riservati) e Mario Tedeschi (ex senatore missino e direttore di “Il Borghese”), tutti iscritti alla P2, non più perseguibili in quanto defunti.
L’udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 27 novembre in tribunale a Bologna.
Cavallini, i Carabinieri, la NATO
Già nel processo a Gilberto Cavallini, 68 anni, detenuto in regime di semilibertà, già condannato a otto ergastoli per altrettanti omicidi, tra cui quello del giudice Mario Amato (23 giugno 1980), accusato di aver partecipato alla preparazione dell’eccidio, oltre ad aver fornito supporti e nascondigli per la latitanza in Veneto di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, erano stati riscontrati alcuni fatti di notevole importanza. Tra questi, il possesso daparte dei NAR di decine di tesserini ufficiali dei carabinieri (uno dei quali trovato addosso allo stesso Cavallini), provvisti di timbro a firma del comandante Giuseppe Montanaro, risultato affiliato alla P2 (tessera 906). O la disponibilità, da parte dello stesso Cavallini, di numeri telefonici in uso all’ufficio Nato presso la sede della Sip di Milano: numeri “riservati e non rintracciabili”, a disposizione esclusiva dei servizi segreti, che proverebbero il collegamento dell’ex NAR con questi ambienti, in particolare con Adalberto Titta, il cui nome è legato alla storia di quel servizio parallelo denominato ‘Anello’, fondato nel 1944 da ufficiali della Repubblica di Salò e sopravvissuto con vari adattamenti fino agli inizi degli anni Novanta. D’altro canto Valerio Fioravanti, nella testimonianza al nuovo processo, disse di non “mettere la mano sul fuoco” per Cavallini in merito a suoi possibili rapporti con i servizi segreti.
Rilevante in questo dibattimento fu inoltre l’emergere di prove fattuali circa i rapporti intercorsi tra le nuove leve del terrorismo nero, segnatamente i NAR, con esponenti di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo.
Rapporti confermati anche dal recupero di un biglietto spedito a suo tempo da Carlo Maria Maggi (‘Reggente’ di Ordine Nuovo per il Triveneto), condannato all’ergastolo per la strage di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974, dove si parlava di detonatori ed esplosivo T4 da consegnare proprio ai NAR.
Una girandola di versioni diverse e contraddittorie
Nel processo in questione, Gilberto Cavallini si è sottoposto a tre lunghi interrogatori (il 30 gennaio, il 6 febbraio e il 6 marzo), sostenendo che il 2 agosto del 1980 si trovava a Padova con Fioravanti, Mambro e Ciavardini, e di essersi poi spostato al Lido di Venezia per “incontrare un conoscente, detto “il Sub”, a cui dovevo far filettare delle armi”. “Non intendo rivelare il nome”, ha dichiarato in questi interrogatori, negando che si trattasse di Carlo Digilio, detto “zio Otto”, l’armiere di Ordine Nuovo, segretario del poligono di tiro del Lido di Venezia. “Tornai da loro dopo un’ora, un’ora e mezza o due”. Una ricostruzione diversa da quella fornita da Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che dissero che Cavallini aveva incontrato un certo “zio Otto” il 2 agosto. Da parte sua, comunque, l’ex NAR ha confermato come Digilio e “zio Otto” fossero la stessa persona, mentre, secondo Fioravanti, Cavallini lo aveva sempre negato. Parlando del “Sub”, Cavallini ha anche aggiunto: “Andai da lui una prima volta, forse non c’era, e ritornai dopo. Ci andavo in media una volta a settimana. Non ricordo se quella volta lo trovai oppure no”. Non è una novità, questa girandola di versioni diverse. Così è stato, di volta in volta, nei diversi processi, con il rilascio da parte di Cavallini, Fioravanti, Mambro e Ciavardini di deposizioni sempre fra loro palesemente contraddittorie.
Per una breve sintesi, nei dibattimenti precedenti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro sostennero di essersi trovati il 2 agosto a Treviso, ospiti di Gilberto Cavallini e della sua compagna Flavia Sbrojavacca. Mambro affermò di aver passato la giornata a Padova, Fioravanti a Treviso. Cambiarono versione solo nel 1984, raccontando di aver accompagnato Cavallini a un appuntamento a Padova. “Con noi c’era Luigi Ciavardini”, sostenne la Mambro. Fioravanti inizialmente lo escluse. Ciavardini, a sua volta, solo nel 1984 si allineò, ricordando di essere stato a Padova con i due, dopo aver affermato di essersi trovato ai primi di agosto a Palermo. Anche le vetture di questo viaggio da Treviso a Padova non combaciarono mai: una Bmw per Fioravanti, una Opel Rekord per la Mambro.
Il conto 525779-X.S.
Ora, da ciò che è trapelato dalla documentazione raccolta nell’ultima inchiesta dalla Procura generale di Bologna, si sarebbe arrivati alle prove dell’avvenuta regia da parte della P2 nell’organizzare la strage e gli innumerevoli successivi depistaggi, architettando false piste, soprattutto internazionali, per proteggere i NAR. In questo ambito sono stati acquisiti i riscontri dei finanziamenti dell’intera operazione, prima e dopo il 2 agosto, elargiti a più riprese a partire dal febbraio 1979. Milioni di dollari (quasi 15) che, scandagliando gli atti del processo per il crac del Banco Ambrosiano, la Guardia di finanza ha accertato essere provenienti dai conti correnti svizzeri di Licio Gelli. Solo da uno di questi, presso la Banca UBS di Ginevra (conto 525779- X.S.), rintracciato grazie a un manoscritto sequestrato allo stesso Gelli al momento del suo arresto in Svizzera, il 13 settembre del 1982, e significativamente denominato ‘Bologna’, sarebbero usciti cinque milioni di dollari. Uno di questi sarebbe stato addirittura consegnato in contanti dallo stesso Gelli in persona, pochi giorni prima della strage, ai neofascisti.
Un commando numeroso, tra loro anche Paolo Bellini
I soldi sono quelli del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, la ‘cassa’ della P2, che sarebbero dunque serviti a finanziare anche i fascisti che eseguirono la strage, un commando più numeroso del solo gruppo di Fioravanti e Mambro, composto da elementi provenienti anche da Terza Posizione e Avanguardia Nazionale: tra loro Paolo Bellini, sicario della ‘ndrangheta, nonché collaboratore di giustizia e reo confesso dell’assassinio, 12 giugno 1975, del militante di Lotta continua Alceste Campanile. Il volto di Bellini è rimasto impresso in un filmato amatoriale in Super 8 girato da un turista svizzero pochi istanti dopo l’esplosione della bomba collocata nella sala d’aspetto. Un filmato che, fin dal 1985, è in possesso dell’ufficio istruzione di Bologna. A riconoscerlo nelle immagini, nel novembre scorso, è stata anche l’ex moglie.
I NAR: il braccio armato
La nuova inchiesta e le conclusioni del processo a Cavallini dimostrerebbero che i NAR furono tutt’altro che un gruppo spontaneista, come solitamente descritti, ma letteralmente il braccio armato della P2, interno a quell’intreccio eversivo rappresentato dalla loggia segreta di Gelli, dai vertici dei servizi segreti e di alcuni apparati, con coperture nell’ambito dell’Alleanza atlantica. A riprova della loro natura, il rinvio a giudizio, per “false dichiarazioni al fine di ostacolare le indagini”, anche di Domenico Catracchia, l’amministratore per conto del Sisde delle palazzine di via Gradoli, dove al civico 96, interno 11, scala A, si trovava il covo BR affittato dall’ingegner Borghi, alias Mario Moretti. Si è appurato che, tra il settembre e il novembre 1981, esattamente in quella palazzina, a quel civico, fosse installata una base segreta dei NAR. Catracchia avrebbe detto il falso negando di aver affittato l’appartamento a un prestanome degli stessi NAR.
Inappuntabile il manifesto dell’Associazione dei familiari delle vittime per il 2 agosto scorso, nel quarantesimo anniversario, che recita: “La strage è stata organizzata dai vertici della loggia massonica P2, protetta dai vertici dei servizi segreti italiani, eseguita da terroristi fascisti”.
* Il 1 agosto scorso “Su la Testa” ha organizzato il convegno “2 agosto 1980: noi non dimentichiamo le stragi fasciste. Contro i tentativi di riscrivere la storia italiana”, diffuso via social. Cadeva, infatti, quest’anno il quarantennale della strage della stazione di Bologna, e ci è sembrato necessario e doveroso costruire un’occasione pubblica di riflessione e approfondimento in proposito. Pubblichiamo qui di seguito gli interventi di coloro che hanno partecipato all’iniziativa coordinata da Nando Mainardi: Saverio Ferrari, dell’Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre e tra i principali conoscitori e studiosi del neofascismo a livello italiano ed europeo; Dino Greco, che tra le altre cose è componente della redazione di “Su la testa” e che, anche attingendo alla propria esperienza diretta, ha ricostruito la vicenda dellastrage di Piazza della Loggia; Stefano Grondona, segretario della Federazione di Bologna di Rifondazione Comunista; Mauro Collina, presidente dell’Associazione “Francesco Lorusso” e dirigente bolognese della Federazione di Bologna; Paolo Ferrero, direttore della nostra rivista, a cui erano affidate le conclusioni dell’incontro. Sottolineiamo infine che per la prima volta, quest’anno, non si è tenuto il corteo ufficiale della commemorazione: si è trattato senza dubbio di una rottura voluta dalle istituzioni con una modalità che ha sempre raccolto un’ampia partecipazione e adesione, e dato grande visibilità anche simbolica al 2 agosto. Una ragione in più, per quanto ci riguarda, per ricordare e ribadire – anche con iniziative come quella qui riportata – la nostra più ferma opposizione ai revisionismi espliciti e spudorati, ma anche a quelli più striscianti.
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