Alle origini della cultura di destra: la Konservative Revolution
Riccardo Cavallo
1. Gli incerti albori
Le origini del concetto di Konservative Revolution sono piuttosto vaghe e incerte, essendo lo stesso rinvenibile dapprima a livello giornalistico nel quotidiano berlinese Die Volksstimme (1848); a livello letterario, nel milieufrancese, nelle pagine di Enquête sur la Monarchie (1900) di Charles Maurras: a distanza di qualche decennio, nel panorama tedesco, nelle pieghe dell’opera Betrachtungen eines Unpolitischen (1921) di Thomas Mann, e infine, nella prolusione di Hugo von Hofmannsthal, Das Schrifttum als geistiger Raum der Nation (1927). Ciononostante, esso irrompe nel dibattito politico e storiografico, solo nel 1950[1] con la pubblicazione del controverso volume di Armin Mohler Die Konservative Revolution in Deutschland (1918-1932), il quale costituisce la rielaborazione della sua tesi di dottorato condotta anche sotto l’autorevole guida del filosofo Karl Jaspers. Esso rappresenta, ancora oggi, un libro di culto per la cultura di destra, come si evince dalla sua ultima versione curata dallo storico Karlheinz Weißmann, considerato l’erede spirituale di Mohler e intellettuale di punta della nuova destra tedesca tanto da essere autore di un saggio dedicato proprio all’ex segretario di Ernst Jünger intitolato Armin Mohler. Eine politische Biographie (2011), il cui titolo, tra l’altro, non dovrebbe generare alcun dubbio sulle reali intenzioni dell’autore.
Nel suo provocatorio libro, Mohler si sofferma su quella variegata galassia denominata Rivoluzione Conservatrice (oMovimento Tedesco), attorno a cui gravitano studiosi appartenenti al movimento politico-ideologico, sviluppatosi in Germania durante la tormentata storia della Repubblica di Weimar, cioè tra la fine della Grande guerra e l’ascesa al potere di Hitler e che lo studioso svizzero divide in cinque gruppi (i Völkischen [Popolari]; gli Jungkonservativen [Giovani Conservatori]; i Nationalrevolutionäre [Nazionalrivoluzionari]; i Bündischen [Confederati]; la Landvolkbewegung [Contadini])[2], accomunati dal fatto di voler combattere i presupposti del secolo del progresso ma, nello stesso tempo, di non voler tornare all’Ancien Régime. In questo gruppo eterogeneo di intellettuali rientrano, oltre il poco conosciuto Arthur Moeller van den Bruck, suicidatosi a Berlino nel 1925 e autore dell’opera Das dritte Reich (un littérateur di gran vaglia, secondo Franz Neumann), al più noto Ernst Jünger ideatore di seducenti quanto pericolose figure (come l’Arbeiter oppure il Waldgänger)[3], o ancora, Oswald Spengler autore della monumentale opera Der Untergang des Abendlandes (1918-1923), anch’essa al centro di polemiche, mai del tutto sopite. Non a caso, Mohler sceglie di ricorrere non tanto ad astratte costruzioni concettuali quanto ad alcune, ben più concrete, immagini-guida al fine di individuare gli elementi caratterizzanti di tale movimento, tra cui l’unidirezionalità logica del tempo; la differenza tra la concezione sferica e quella lineare della storia; l’interregno; il nichilismo-attivo e la contrapposizione tra Kultur germanica e Zivilisation occidentale. Al di là dei distinguo, gli strali di coloro che Mohler apostrofa provocatoriamente e non senza forzature “trotzskisti del nazionalsocialismo”, mediante un improprio e affrettato paragone con il regime bolscevico-stalinista, si appuntano, contro gli ideali della Rivoluzione francese e, in generale, dell’illuminismo europeo reo di aver fatto pericolosamente breccia nel mondo intellettuale tedesco cercando di distruggere l’autentico spirito germanico.
2. Un concetto dal fascino ambiguo
Il concetto di Konservative Revolution non è rimasto confinato nell’ambito della cultura di destra, ma già da tempo alcuni dei più significativi esponenti della cultura di sinistra, riconducibili, per lo più, all’operaismo, di fronte all’eclissi dell’hegelo-marxismo, hanno subito il fascino di alcune delle figure-chiave del modernismo reazionario (secondo un’efficace espressione coniata dallo storico americano Jeffrey Herf), tra cui quella di Carl Schmitt valorizzandone alcune tematiche (la critica del liberalismo, del parlamentarismo, dei diritti dell’uomo) e, al contempo, sottolineando la centralità della lotta nella storia, o addirittura riproponendo la dialettica amico/nemico (il nemico di classe, lo straniero). Basti pensare a Mario Tronti, padre nobile dell’operaismo italiano, il quale non risulta immune da tale fascinazione quando si avventura guardingo nell’accampamento nemico, nel tentativo di carpire nottetempo a Schmitt il segreto dell’autonomia del politico, una micidiale arma sconosciuta, per farne, come confesserà egli stesso in seguito, un’arma offensiva del partito della classe operaia. In altri luoghi della sua riflessione, lo stesso Tronti, si spinge ancora più in là, azzardando un paragone tra la rivoluzione bolscevica e la rivoluzione conservatrice in quanto entrambe, malgrado la loro sconfitta e i loro esiti del tutto contrastanti, hanno svolto una funzione frenante nei confronti della volontà di potenza della modernità. Se la prima ha provato a fermare, sia pur disperatamente, l’incedere violento della guerra e ovviare alla fame dei contadini e allo sfruttamento degli operai; la seconda, invece, ha cercato, anch’essa, di trattenere, per quanto possibile, il demone nazista. Anche in questa ipotesi, Tronti ricorre a un’altra categoria mutuata dalla riflessione del giurista renano, il katéchon, cioè quella forza che dovrebbe trattenere la manifestazione dell’Anticristo, le cui origini sono rintracciabili in un passo paolino considerato, tra l’altro, di dubbia autenticità e alquanto enigmatico. Com’è facile intuire, il concetto di Konservative Revolution è stato pertanto oggetto di equivoci e malintesi che ne hanno reso i confini estremamente mobili e incerti. Pur tuttavia, esso ha ormai acquisito diritto di cittadinanza nel dibattito politico e intellettuale, tant’è che sarebbe un’inutile fatica di Sisifo volersene sbarazzare senza proporne una serie alternativa, come ha scritto il sociologo tedesco Stefan Breuer che, nel suo Anatomie der Konservative Revolution (1993), procede alla decostruzione delle ardite e spesso strumentali tesi mohleriane, cercando di rispondere a un interrogativo che fa da sfondo all’intero volume e può essere riassunto nei termini seguenti: “se esista davvero un nucleo comune ai diversi pensatori rivoluzionario-conservatori e se essi abbiano un’identità specifica che li differenzi da altre correnti dell’epoca”.
3. Alcuni nodi irrisolti
Ma tra i diversi nodi problematici ancora irrisolti emerge soprattutto quello del rapporto tra la rivoluzione conservatrice e il nazionalsocialismo. In altre parole, se gli esponenti di tale movimento, hanno alimentato, anche indirettamente, la sciagura nazionalsocialista, oppure se esse sono del tutto avulse da questa perversa ideologia, i cui elementi caratterizzanti, malgrado alcune affinità, si presentano del tutto diversi non avendo, tra l’altro, gli stessi rivoluzionari conservatori aderito in maniera compatta al nazionalsocialismo e, in alcuni casi, schierandosi apertamente contro il regime hitleriano. Su questo punto, purtroppo, la scelta di Mohler appare del tutto superficiale e liquidatoria, poiché egli sceglie volutamente di glissare su tale problema – al quale, di fatto, dedica poche decine di righe – con il pretesto dell’eccesiva complessità del fenomeno nazionalsocialista e l’impossibilità di dare pertanto una risposta esauriente, schivando così possibili critiche di un eccessivo coinvolgimento da parte degli esponenti di tale movimento e, dall’altro, operando a priori una cesura netta tra il nazionalsocialismo e la rivoluzione conservatrice. Allo stesso modo, la ricostruzione di questo movimento che, ai suoi occhi, si presenta alquanto omogena, appare non priva di evidenti forzature ermeneutiche e, per certi aspetti, eccessivamente schematica e unilaterale, sotto il profilo sia storico sia ideologico poiché Mohler inserisce nelle fila di un’ipotetica “resistenza tedesca alla deriva della modernità”, come abbiamo visto, gli autori più disparati ed eterogenei. Pur tuttavia, la sua intenzione rimane quella di individuare una sorta di minimo comune denominatore all’interno di questa “comunità di combattenti” (Kampfgemeinschaft), la cui forma mentis si era forgiata nelle trincee della Grande guerra che “aveva scavato un abisso profondo nelle loro vite e nelle loro coscienze” (T. Mann), da cui trasuda un odio profondo nei confronti del liberalismo nelle sue diverse declinazioni e un altrettanto viscerale antimarxismo che non si traduce – come avviene in Moeller van den Bruck – necessariamente in un disprezzo verso la Russia quanto nella valorizzazione di una forma di socialismo nazionale.
Ne deriva una spasmodica ricerca di figure in grado di incarnare nell’epoca del dominio planetario della tecnica i valori aristocratici e anti-borghesi, tra cui spicca, soprattutto l’Arbeiter jungeriano fortemente intriso di elementi nietzschiani. Non a caso, il filosofo nichilista e le sue idee rappresentano il nucleo attorno a cui orbitano, malgrado le differenze, quasi tutti i pensatori appartenenti a questa composita e eclettica realtà. Attraverso la paziente scomposizione delle diverse tessere che compongono il mosaico abilmente costruito da Mohler si scopre che la rivoluzione conservatrice e il nazionalsocialismo tendono spesso a sovrapporsi senza però confondersi del tutto. Anche se dovessimo accettare l’ipotesi che le idee dei rivoluzionari conservatori non abbiano trovato terreno fertile, se non in casi sporadici, nell’ideologia nazionalsocialista, essi non sono stati, però, in grado di elaborare delle idee autenticamente democratiche e del tutto alternative a questa perversa e aberrante ideologia. Sarebbe del tutto vano e illusorio altresì assolvere questi ultimi dall’accusa di aver aderito senza remore al nazionalsocialismo o sminuire del tutto la loro responsabilità adducendo giustificazioni di tipo moralistico.
Riccardo Cavallo
insegna Legal Theory e Didattica del diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania; il suo ultimo volume è “L’Europa tra nomos e polemos” (Utet, 2020).
Bibliografia minima
Oltre ai testi citati nel saggio, di cui si riportano le traduzioni italiane, qui di seguito, si indicano altri saggi indispensabili per conoscere più a fondo la rivoluzione conservatrice e i suoi esponenti più significativi:
Azzarà S., Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d’egemonia?, Mimesis, Milano-Udine, 2018;
Azzarà S., Friedrich Nietzsche. Dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice, Castelvecchi, Roma, 2014;
Azzarà S., L’imperialismo dei diritti universali. Arthur Moeller van den Bruck, la rivoluzione conservatrice e il destino dell’Europa, La Città del Sole, Napoli, 2011;
Azzarà S., Pensare la rivoluzione conservatrice. Critica della democrazia e grande politica nella Repubblica di Weimar, La Città del Sole, Napoli, 2000;
Benedetti A., Rivoluzione conservatrice e fascino ambiguo della tecnica. Ernst Jünger nella Germania weimariana (1920-1932), Pendragon, Bologna, 2008;
Breuer S., La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di destra nella Germania di Weimar, Donzelli, Roma, 1993;
Cacciari M., Il potere che frena, Adelphi, Milano, 2013;
Cattaneo F., Gentili C., Marino S., Nietzsche nella rivoluzione conservatrice, Il Melangolo, Genova, 2015;
Cangiano M., Cultura di destra e società di massa, Nottetempo, Roma, 2022;
Cavallo R., L’antiformalismo nella temperie weimariana, Giappichelli, Torino, 2009;
Cavallo R., Il katéchon nella teologia politica di Carl Schmitt: forza che frena o forza che trasforma?, in “Democrazia e diritto”, n. 3-4, 2008, pp. 203- 214;
Chiantera-Stutte P., Julius Evola dal dadaismo alla rivoluzione conservatrice (1919-1940), Aracne, Roma, 2002;
Herf J., Il modernismo reazionario. Tecnologia, cultura e politica nella Germania di Weimar, Il Mulino, Bologna, 1988;
Hofmannsthal H., Gli scritti come spazio spirituale della nazione, in Id., L’Austria e l’Europa, Marietti, Casale Monferrato, 1983;
Jesi F., Germania segreta. Miti nella cultura tedesca del ‘900, Nottetempo, Roma, 2018;
Jesi F., Cultura di destra, a cura di A. Cavalletti, Nottetempo, Roma, 2011;
Jünger E., L’Operaio. Dominio e forma, a cura di Q. Principe, Guanda, Parma, 1991;
Jünger E., Trattato del ribelle, Adelphi, Milano, 1990;
Losurdo D., Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, Torino, 2002;
Losurdo D., La comunità, la morte, l’Occidente. Heidegger e “l’ideologia della guerra”, Bollati Boringhieri, Torino, 1991;
Mann T., Considerazioni di un impolitico, saggio introduttivo, traduzioni e note di M. Marianelli, Adelphi, Milano, 2005;
Milanesi F., Ribelli e borghesi. Nazionalbolscevismo e rivoluzione conservatrice (1914-1933), Aracne, Roma, 2011;
Mohler A., La Rivoluzione Conservatrice. Una guida, Akropolis/La roccia di Erec, Napoli, 1990;
Neumann F.L., Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, a cura di M. Baccianini, Bruno Mondadori, Milano, 1999;
Nolte E., Rivoluzione conservatrice nella Germania della Repubblica di Weimar, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009;
Nolte E., Heidegger e la rivoluzione conservatrice, SugarCo, Milano, 1997;
Romualdi A., Correnti politiche ed ideologiche della destra tedesca. La rivoluzione conservatrice, Settimo Sigillo, Roma, 2013;
Spengler O., Il tramonto dell’Occidente, a cura di G. Raciti, Aragno, Torino, 2017 (vol. I) e 2019 (vol. II);
Tronti M., Dello spirito libero. Frammenti di vita e pensiero, Il Saggiatore, Milano, 2015;
Tronti M., Noi operaisti, DeriveApprodi, Roma, 2009;
Tronti M., Sull’autonomia del politico, Feltrinelli, Milano, 1977.
[1] Occorre ricordare che, qualche anno prima, era apparso il testo di Hermann Rauschning, Die Konservative Revolution. Versuch und Bruch mit Hitler (1941), il quale, a detta di Mohler, trova la sua fonte di ispirazione nella citata prolusione di von Hofmannsthal e introduce l’espressione rivoluzione conservatrice nel lessico politico.
[2] Nel testo si riporta la traduzione italiana utilizzata in A. Mohler, La Rivoluzione Conservatrice. Una guida, Akropolis/La Roccia di Erec, Napoli, 1990. Gli ultimi due gruppi sono stati espunti nella terza edizione edita nel 1989.
[3] Rispettivamente l’Operaio e il Ribelle, o meglio letteralmente colui che va nel bosco.