“Austerità” o “sacrifici”? Il bivio degli anni Settanta

Guido Liguori*

Partito e sindacato in Italia negli anni Settanta. Per intenderci meglio: Pci e Cgil. Rapporti non semplici, dopo la grande stagione delle lotte dell’“autunno caldo”1, la nascita (o rinascita) dei Consigli di fabbrica nel 1968-1969, la forza dimostrata dal movimento dei lavoratori in quella fine degli anni Sessanta e negli anni successivi. Anche grazie a questa forza del movimento operaio sono raggiunte importanti conquiste: dallo Statuto dei diritti dei lavoratori all’accordo sulla nuova scala mobile; dalla riforma delle pensioni a quella della sanità, alla riforma della casa (per le case di edilizia popolare)2.

Dalla “cinghia di trasmissione” all’incompatibilità fra incarichi politici e sindacali”

Nei sindacati, nel marzo 1970, entra in vigore la regola dell’incompatibilità di appartenenza agli organismi dirigenti dei partiti3, a cui è legata la sostituzione di Agostino Novella con Luciano Lama alla guida del più grande sindacato italiano. Nel maggio 1972, poi, nasce la Federazione Cgil-Cisl-Uil, con organismi dirigenti paritetici: ai comunisti vanno solo 20 dirigenti su 90 (10 ai socialisti della Cgil), una notevole sottorappresentazione, vista la presenza comunista tra i lavoratori. Tale prezzo pagato all’unità sindacale (mai organica e sempre barcollante, soprattutto ai vertici, nei rapporti tra le confederazioni) appare eccessivo al Pci4. Si determina una situazione nuova, che il partito guidato da Berlinguer rispetta, iniziando però pian piano a trarne tutte le conseguenze: se la Cgil è autonoma dal Pci, anche il Pci può considerarsi autonomo dalla Cgil e intervenire autonomamente nelle fabbriche e nel mondo del lavoro.  

Del 1973 è la proposta berlingueriana del compromesso storico. Seguono i grandi successi elettorali comunisti, ma non riesce lo sperato “sorpasso” sulla Dc: i risultati elettorali del 20 giugno 1976 portano alla soluzione, inedita e quasi obbligata, di un governo di “solidarietà nazionale”, un monocolore democristiano guidato da Andreotti, senza un programma comune definito, senza una maggioranza parlamentare esplicita, reso possibile dalla “non sfiducia” dei partiti in parlamento.

Questa è la complessa situazione in cui inizia a palesarsi una divaricazione non tanto tra partito e sindacato, quanto sia nel partito, sia nel sindacato, anche se queste linee politiche verranno impersonificate da Luciano Lama e da Enrico Berlinguer. A fronte di una situazione economica grave giungono le prime misure rigoriste del governo Andreotti, comprendenti l’aumento di imposte e tariffe dei consumi essenziali. Il dato della disoccupazione giovanile diventa sempre più drammatico: si inizia a parlare dei “sacrifici” necessari per salvare il Paese.

Nel Pci e fra il Pci e la Cgil: due linee diverse e inconciliabili

Emergono nel Pci e nella Cgil due linee politiche diverse. In un Comitato centrale dell’ottobre 1976 Berlinguer parla di «austerità» (termine diffusosi dalla crisi petrolifera del 1973, a partire dall’inglese austerity), chiarendo che essa deve avere come fine quello di avviare “misure trasformatrici delle strutture economiche e dell’assetto sociale”. Solo in questo modo si può rendere “questa austerità accettabile dalla maggioranza dei lavoratori”. Il Segretario comunista sostiene la necessità di una “programmazione democratica” tramite cui la “mano pubblica” costringa il mercato e le imprese a quelle “scelte necessarie” che da soli non sono capaci di fare5.

Ben diversa è la posizione di Giorgio Amendola, che afferma senza mezzi termini che i lavoratori devono essere disposti a “sacrifici senza contropartite”6. È la “politica dei due tempi” (prima il risanamento economico, poi occupazione e aumenti salariali). 

Luciano Barca – influente collaboratore di Berlinguer – nelle sue memorie ricorda invece la preparazione di quella relazione berlingueriana per il Comitato centrale di ottobre: “sul termine austerità in luogo del termine sacrifici, avevamo discusso a lungo nel lavoro preparatorio. Austerità come risposta immediata alla crisi e come freno ad un deterioramento che va oltre la crisi economica”7

Tutta questa discussione torna alla ribalta nel 1977-’78, anni di crisi economica e occupazionale, e di crescente scollamento del Pci da quella parte del Paese che a esso aveva guardato con fiducia prima del governo Andreotti. A inizio 1977 vi sono i due famosi discorsi berlingueriani sull’austerità, a Roma davanti a una platea di intellettuali e a Milano in un’assemblea di operai comunisti. Nel clima politico del ’77, l’austerità di cui parla Berlinguer è scambiata (in parte maliziosamente) per la “politica dei sacrifici” di Amendola e, come vedremo, di Lama. Un nesso esiste: la situazione è grave, richiede necessariamente delle rinunce. Ma Berlinguer è mosso dalla preoccupazione che esse non riguardino solo e tanto i lavoratori, propone per questo un generale cambiamento dei valori, dei fini, delle priorità su cui orientare la società, introducendo quelli che definisce “elementi di socialismo”: vuole fare dell’”austerità” una “occasione per trasformare l’Italia”8, accettando le ragioni dei Paesi produttori di materie prime e abbandonando “l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario”9. In definitiva il Pci propone “forme di vita e rapporti fra gli uomini e fra gli Stati più solidali, più sociali, più umani, e dunque tali che escono dal quadro e dalla logica del capitalismo”10

Si tratta di un’impostazione che ha pure dei limiti, a partire forse dal termine “austerità”. E soprattutto alla sottovalutazione del fatto che la crisi è sempre per il capitalismo occasione per ristrutturazioni e modificazioni funzionali alla sua perpetuazione e al suo sviluppo. Ma si tratta anche – come si vedrà negli anni seguenti, gli anni del “secondo Berlinguer” – di un progetto radicalmente antieconomicista, che non perde di vista la centralità dei bisogni materiali, ma che intorno a un loro soddisfacimento egualitario e sobrio auspica valori del tutto diversi da quelli della società capitalistica, valori per uno sviluppo qualitativo e non solo quantitativo.

Lo scontro dentro il Pci e la “rottura” tra Berlinguer e Lama

Proprio nel suo partito Berlinguer trova però i primi forti ostacoli. Nelle posizioni “amendoliane” del leader sindacale più prestigioso, Luciano Lama. Che nel gennaio 1978 sostiene, in una intervista a Eugenio Scalfari su “la Repubblica”: “Il sindacato propone ai lavoratori una politica dei sacrifici, sacrifici non marginali, ma sostanziali”, poiché, per avere occupazione, “la politica salariale nei prossimi anni dovrà essere contenuta… un sistema economico non sopporta variabili indipendenti”13. Ha commentato Barca nel suo diario: “24 gennaio 1978. Duro e inatteso colpo di Luciano Lama a tutta l’azione di Berlinguer… Con una lunga intervista [a] Scalfari… Lama, forzando ed esplicitando al massimo quanto più vagamente elaborato dal direttivo delle Federazione unitaria (in pratica da Lama, Carniti e Benvenuto) offre al governo che non esiste tre anni di tregua nelle rivendicazioni sindacali, la revisione della cassa integrazione, il ‘diritto di licenziare’ le ‘parecchie decine di migliaia di lavoratori che sono di fatto in esubero rispetto alle necessità delle fabbriche’». E aggiunge che difficilmente Lama avrebbe “compiuto un tale atto politico senza avere avuto talune assicurazioni all’interno del partito… Ovviamente l’intervista è destinata a deteriorare ancor più i rapporti tra Lama e Berlinguer [che già] sono gelidi”14.

La svolta dell’Eur

Secondo quanto dichiarato dallo stesso Lama un decennio dopo, le critiche più dure alla sua intervista vengono dall’interno della Cgil15, ma poche settimane dopo una grande assemblea della Federazione Cgil-Cisl-Uil all’Eur di Roma ne ratifica la sostanza. Diviene “la politica dell’Eur”. Benché una parte minoritaria del gruppo dirigente comunista condivida le parole di Lama (Amendola e gli amendoliani, i futuri “miglioristi”)16, le reazioni nel Pci sono soprattutto “di sconcerto”, poiché – affermerà Lama – c’è “la preoccupazione di perdere il consenso della parte essenziale della nostra base tradizionale, gli operai”17. Non credo sia solo questo il punto. Ma certo vi è, giustamente, anche questa preoccupazione. Quando nel 1980 Berlinguer andrà ai cancelli della Fiat in lotta contro migliaia di licenziamenti, lo farà per questo motivo, per riconquistare la “connessione sentimentale” dei comunisti con la classe operaia, incrinatasi durante gli anni della solidarietà nazionale e del governo Andreotti. Lama, coerentemente, manifesta il suo disaccordo profondo e radicale anche con questo atto politico berlingueriano18. Come ugualmente critica la decisione di andare quattro anni dopo al referendum contro la decisione del governo Craxi di ridurre d’imperio l’efficacia della scala mobile19.

Lama è da decenni iscritto al Pci, è il capo del più grande sindacato italiano, il sindacato dei comunisti: le sue posizioni non possono essere senza conseguenze. Molti pensano che le sue siano la posizione del Pci. Ma così non è. Vi sono, nel Pci e nella Cgil del tempo, come si è detto, due linee diverse e opposte – che le regole del centralismo democratico a lungo contribuiscono a celare. Non è quella di Berlinguer, come vuole un certo senso comune ancora oggi, la linea dei sacrifici, sostenuta invece da Lama e Amendola. Al contrario. E ora, dopo l’apertura degli archivi, questo fatto è evidente a chiunque voglia leggere, studiare, informarsi e, forse, non restare fossilizzato alle convinzioni di cinquant’anni fa. 

Berlinguer muore nel 1984 mentre è impegnato a riscrivere nella prassi e nella lotta politica una sorta di “programma fondamentale” del Pci. Anche se viene bocciata l’ipotesi di fare di Lama il suo successore, nel Pci finiranno per prevalere invece le posizioni che non hanno mai condiviso la prospettiva politica del Segretario comunista.


1 Cfr. B. Trentin, Autunno Caldo. Il secondo biennio rosso 1968-1969, intervista di G. Liguori, Introduzione di M. Landini, Roma, Editori Riuniti, 20192.

2 Sul 1969 operaio e le sue positive ripercussioni negli anni successivi cfr. D. Greco, “La lotta di classe in Italia negli anni Settanta”, in G. Capelli, Passare con il semaforo rosso, quasi un romanzo, Milano, Mimesis, 2022.

3 M. L. Righi, “Il «partito della classe operaia» e la Cgil”, in S. Pons (a cura di), Il comunismo italiano nella storia del Novecento, Roma, Viella, 2021, p. 361.

4 Ivi, p. 363-4.

5 E. Berlinguer, Elementi di socialismo (18-20 ot- tobre 1976), ora in A. Tatò (a cura di), Berlinguer. Attualità e futuro, supplemento a “l’Unità” dell’11 giugno 1989.

6 Cfr. F. Barbagallo, Enrico Berlinguer, Roma, Ca- rocci, 2006, p. 285. Il libro di Barbagallo è parti- colarmente prezioso perché basato sui verbali a lungo inediti della Direzione del Pci, oggi consulta- bili nell’Archivio del partito, presso la Fondazione Gramsci.

7 L. Barca, Cronache dall’interno del vertice del Pci, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, p. 658.

8 È il titolo del libretto in cui sono pubblicati i due discorsi: E. Berlinguer, Austerità occasione per trasformare l’Italia, Roma, Editori Riuniti, 1977. Ma vedi ora E. Berlinguer, Un’altra idea del mondo. Antologia 1969-1984, a cura di P. Ciofi e G. Liguori, Roma, Editori Riuniti, 2014.

9 Ivi, p. 115.

10 Ivi, p. 164-5.

11 Cfr. G. Liguori, Berlinguer rivoluzionario. Il pen- siero politico di un comunista democratico, Roma, Carocci, 2014, pp. 93 ss.

12 Ivi, pp. 114 ss.

13 L. Lama, I sacrifici che chiediamo agli operai, intervista a E. Scalfari, in “la Repubblica”, 24 gennaio 1978

14 L. Barca, Cronache…, cit., pp. 711-2

15 L. Lama, Intervista sul mio partito, a cura di Giampaolo Pansa, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 77. 

16 Ivi, p. 77.

17 Ivi, p. 75.

18 Ivi, pp. 96 ss.

19 Ivi, pp. 131 ss.


* Guido Liguori, docente presso l’Università della Calabria, è presidente dell’International Gramsci Society e fa parte del direttivo di Futura Umanità (Associazione per la storia e la memoria del Pci). Suoi oggetti di studio sono: il marxismo, in particolare il pensiero di Antonio Gramsci e Rosa Luxemburg, e la storia teorico-pratica del comunismo italiano, argomenti su cui ha pubblicato libri, saggi, antologie, tra cui: “Dizionario gramsciano 1926- 1937”(con P. Voza), “Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche 1922-2012”; “La morte del Pci”; “Berlinguer rivoluzionario”.

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