Caso Alex Saab, una vicenda che ci riguarda

Geraldina Colotti

Pubblichiamo qui la prefazione, scritta da Geraldina Colotti, del libro Alex Saab. Lettere di un sequestrato, uscito quest’anno, edito da Multimage e di cui vi consigliamo la lettura. Colotti ne è anche la curatrice.  

Ci sono figure che, in alcune circostanze storiche, finiscono per portare il peso, concreto e simbolico, delle contraddizioni espresse dal conflitto di classe a livello globale. È senz’altro il caso del diplomatico venezuelano Alex Saab, sequestrato e deportato negli Stati uniti in spregio alle convenzioni internazionali. Una reddition in piena regola, nel solco di quelle attuate dagli Stati uniti dopo l’11 settembre contro i cosiddetti “combattenti nemici”. Un pericoloso precedente, che spinge più in alto l’asticella dell’illegalità e della sopraffazione da parte di chi, sventolando la retorica dei diritti e della democrazia, si considera esente dal dovere di rispettarle. 

Calpestare l’immunità di un diplomatico, accreditato come ambasciatore plenipotenziario del Venezuela in Africa, non è proprio un atto corrente. Gli Stati Uniti se lo sono permessi nel quadro dell’assedio internazionale al Venezuela, che Saab ha cercato di spezzare, importando alimenti e medicine nonostante le misure coercitive unilaterali imposte dagli Usa e dai loro alleati. 

Imprenditore di origine palestinese, Saab ha aiutato il Venezuela a costruire una strategia di sopravvivenza.  Ha rifornito a proprio rischio e pericolo le borse di alimenti dei Clap (Comités Locales de Abastecimiento y Producción), gli organismi ideati da Maduro nel 2016, che hanno portato direttamente nelle case alimenti e prodotti di prima necessità, per evitare speculazioni. In questo modo, il governo bolivariano ha cercato di far fronte alla crisi creata dalla drastica caduta degli introiti. A causa delle “sanzioni”, il paese – che custodisce le prime riserve al mondo di petrolio -, ha visto diminuire le proprie entrate del 99%. 

Approfittando della subalternità del governo di Capo Verde, incurante dei pronunciamenti degli organismi internazionali, ma molto attento ai voleri di Washington, durante una sosta per il rifornimento di carburante, la Cia ha fatto scendere a forza dall’aereo il diplomatico e l’ha portato in un carcere. Lì, a dispetto del suo status giuridico che gli garantiva l’immunità, è stato isolato e torturato, e infine portato nottetempo negli Usa anche se l’iter dei ricorsi messo in campo dalla difesa non era ancora terminato. 

Bisognava dare un messaggio preciso: guai a spezzare l’assedio al Venezuela. Come provano i documenti e come gli Stati Uniti dimostrano di sapere perfettamente, Saab aveva ricevuto l’incarico diplomatico di inviato speciale, nel 2018. Gli Usa mentono sapendo di mentire quando affermano che Saab non aveva presentato le proprie credenziali a Washington, dando per inteso che nessun atto internazionale può essere valido se non è “riconosciuto” da loro. 

Quale sia il criterio per “validare” o meno un governo o un incarico, è stato dimostrato dalla farsa dell’autoproclamato “presidente a interim” del Venezuela, Juan Guaidó, inscenata dall’allora amministrazione Trump e dai suoi alleati internazionali (Unione Europea e governi neoliberisti latinoamericani). Il vero obiettivo era quello di mettere le mani sulle risorse del Venezuela, sottraendole al legittimo proprietario: il popolo venezuelano, che ha eletto i propri rappresentanti in numerose tornate elettorali. 

In concreto, si è trattato di impossessarsi dell’oro e degli attivi all’estero della Repubblica bolivariana del Venezuela mediante operazioni di vera e propria pirateria internazionale. Al riguardo, è ancora in corso una battaglia legale tra la giustizia bolivariana e le banche del Regno Unito, che continuano a trattenere l’oro venezuelano (e a incamerarne gli interessi) con il pretesto che il governo britannico non “riconosce” come presidente del Venezuela quello legittimo, Nicolas Maduro, ma quello virtuale unto dagli Usa, Juan Guaidó.

È andata nello stesso modo per le imprese venezuelane con sede all’estero: come la Citgo negli Stati uniti, grande succursale della petrolifera di Stato, Pdvsa, o come la Monomeros, che produce fertilizzanti ed è basata in Colombia. Entrambe sono state saccheggiate dalla banda dell’autoproclamato, tanto incapace quanto impresentabile ormai persino per i suoi stessi padrini. 

E se, dopo l’elezione del progressista Gustavo Petro alla presidenza della Colombia, la Monomeros sembra poter ritornare ai suoi legittimi proprietari, la Citgo resta al centro del gigantesco piano di estorsione messo in atto dagli Usa mediante le misure coercitive unilaterali imposte al Venezuela. Un piano ideato per “torcere il braccio” al paese, come dichiarò a suo tempo il democratico Obama approvando il primo decreto esecutivo che avrebbe messo in moto il meccanismo, nel quale considerava il Venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria” per la sicurezza degli Stati Uniti. 

Un piano che i think tank imperialisti attualizzano costantemente, valutandone gli effetti, per passare a una fase ulteriore. Avviene così per Cuba da oltre sessant’anni, ma anche per il Nicaragua e per tutti quei paesi del Sud che, dal secolo scorso a oggi, hanno voluto decidere il proprio destino senza tutele, o risultano d’ostacolo all’imperialismo Usa. 

Pertanto, si saggia la resistenza di Alex Saab come si saggia quella del popolo venezuelano e del suo governo, che ha ripetutamente messo al centro la liberazione del suo diplomatico, anche cercando di scambiarlo con alcuni mercenari Usa detenuti nelle carceri venezuelane. Finora, però, anche se la montatura giudiziaria contro il diplomatico si è sgretolata e sono cresciute le autorevoli prese di posizione in sua difesa a livello internazionale, la magistratura statunitense continua a procrastinare la decisione sull’immunità diplomatica di Alex Saab, che porterebbe alla sua liberazione. 

Alex Saab è un ostaggio e un monito. Come nella più classica delle estorsioni, si “torce il braccio” a qualcuno affinché ti consegni i suoi averi, o ti procuri quel che ti conviene. In questo caso, come hanno più volte dichiarato i funzionari dell’amministrazione Usa, occorreva imporre sofferenza al popolo venezuelano, affinché si rivoltasse contro il governo, e consentisse di ripristinare il modello di sfruttamento gradito a Washington, che guida la globalizzazione capitalista. 

Per raggiungere i propri obiettivi, dopo la morte di Hugo Chávez gli Usa hanno intensificato gli sforzi, e stretto il cappio intorno al Venezuela per soffocarne l’economia e chiuderle gli spazi di agibilità a livello internazionale, mediante l’imposizione di oltre 900 “sanzioni”. Basti ricordare che sono stati sanzionati anche esponenti di opposizione, “colpevoli” di volersi presentare alle elezioni.

In un crescendo isterico e con la complicità dei loro alleati occidentali, gli Stati Uniti sono arrivati al punto di imporre una taglia sulla testa di Maduro e dei dirigenti bolivariani, mostrando come non la democrazia ma il far west sia il vero obiettivo di politica estera dell’amministrazione Usa nei confronti di chi non accetta di corrisponderle i tributi del suddito.

Dalla loro, hanno un formidabile meccanismo: il lawfare, l’uso della magistratura a fini politici, supportato dagli organismi internazionali che gli Usa controllano, e che serve a raggiungere con altri mezzi i propri obiettivi. E facendosi beffe dell’Onu, l’unica organizzazione internazionale deputata a emettere “sanzioni”. 

A preparare il terreno, pensano le grandi concentrazioni mediatiche, che spianano il campo alle aggressioni, minando la credibilità di governi e di persone, mediante accuse di narcotraffico, di corruzione o di riciclaggio di denaro sporco. In questo modo, quando gli Usa decidono di esportare con le bombe e con l’invasione mercenaria la propria “democrazia”, quando decidono di calpestare le leggi internazionali e di sequestrare un ambasciatore, nessuno li ferma. Il sottinteso è: in fondo, se l’è cercata. 

L’obiettivo è quello di impedire che si ricostituisca un fronte del rifiuto, forte e organizzato nei paesi capitalisti, capace di opporsi ai propri governi in una lotta comune con i popoli che, in altre latitudini, mostrano la possibilità di una prospettiva diversa, ossia del socialismo. Da qui l’importanza del movimento Free Alex Saab, che si è costituito anche in Italia, e si va costituendo in altri paesi d’Europa, e che ha al centro la lotta contro le misure coercitive unilaterali come armi da guerra, micidiali e silenziose, contro i popoli decisi a essere liberi.

Contro Alex Saab e la sua famiglia, si è scatenata una campagna denigratoria per presentarlo sotto le vesti peggiori e impedire che emergesse la gravità della violazione compiuta, e le sue implicazioni future sul piano delle garanzie internazionali. Ma è su quest’ultimo punto, e non solo sulla necessaria indignazione per le sorti di un singolo destino, che occorre porre l’attenzione. 

Occorre tornare a riflettere sul fatto che la relazione tra legittimità dei diritti e legalità imposta dalla borghesia è determinata dai rapporti di forza tra le classi, e dall’asimmetria esistente a livello geopolitico dopo la caduta dell’Unione Sovietica e l’imposizione di un mondo unipolare retto dagli Usa e dai loro alleati che ne è seguita. Ogni elemento che ne smascheri il meccanismo, dev’essere allora soffocato, com’è accaduto con il giornalista Julian Assange, fondatore del sito Wikileaks, che ha rivelato il vero interesse che muove le guerre imperialiste. 

Una considerazione superflua per le generazioni del secolo scorso, abituate a guardare in faccia la vera natura dell’imperialismo e a prendere partito, ma resa nebulosa in questo secolo dagli apparati ideologici di controllo delle classi dominanti, che mirano a cooptare o paralizzare i loro potenziali oppositori.

Mobilitarsi per la liberazione del diplomatico Alex Saab significa allora ricominciare a situarsi e a prendere partito, non solo per gli “innocenti”, ma anche per quei combattenti, per quei rivoluzionari e rivoluzionarie che hanno scelto consapevolmente di combattere il sistema capitalista e che – come Simon Trinidad o Ilich Ramirez – continuano a essere ostaggi nelle galere imperialiste, simbolo di una resistenza che deve tornare a essere patrimonio prezioso delle classi popolari.

Geraldina Colotti

Movimento Free Alex Saab-Italia

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