Come cambia l’industria

Paolo Ferrero

V. Comito, Come cambia l’industria, Futura editrice, Roma, 2023

Il libro di Vincenzo Comito, uscito da pochi mesi, posa le sue solide basi sull’esperienza nel settore dell’autore: economista che ha lavorato molti anni nella grande industria ed è stato poi consulente aziendale e docente di finanza aziendale presso la Luiss di Roma e l’Università di Urbino. Ha pubblicato molti volumi su temi aziendali, economici e finanziari. Per altro verso, ha collaborato per molti anni con “Il manifesto” e collabora attualmente con diversi siti (sbilanciamoci.it, fuoricollana.it, la newsletter del CRS), oltre che con la nostra rivista.

Questo utilissimo volume affronta in maniera sistematica il tema dei grandi sviluppi in atto a livello mondiale nel sistema industriale e le sue connessioni con quello geopolitico.

Sono in atto in effetti delle trasformazioni senza precedenti. Esse sono spinte da molteplici fattori, che poi interagiscono anche tra di loro in maniera complessa. Dalle innovazioni tecnologiche all’aggravamento della crisi ambientale, ai processi di ri-globalizzazione (o, per alcuni aspetti, ai tentativi di deglobalizzazione), con il passaggio progressivo del centro dell’economia dall’Occidente all’Oriente, il crescente conflitto Usa-Cina, indotto dal tentativo degli stessi Stati Uniti di frenare l’ascesa del paese asiatico, il nuovo ruolo dello Stato, i mutamenti indotti da tali trasformazioni sul mondo del lavoro, le grandi dinamiche demografiche, oltre ad alcune motivazioni di tipo più congiunturale.

In particolare vengono prese in esame nel testo le grandi trasformazioni tecnologiche, che hanno assunto di recente un carattere tumultuoso e che non sono, come è noto, un fattore di trasformazione pienamente autonomo, ma legato nei suoi indirizzi da chi ne ha in mano le chiavi, in particolare alcuni gruppi mono-oligopolistici (il cui potere è sempre più minaccioso) e alcuni grandi Stati. Le questioni ambientali giocano anch’esse un ruolo cruciale nelle trasformazioni e le preoccupazioni relative spingono molti paesi a introdurre regolamentazioni più o meno efficaci che dovrebbero obbligare le imprese ad abbattere le emissioni inquinanti. Ma tale spinta si scontra da una parte soprattutto contro forze molto potenti, in primis i grandi gruppi dell’energia, ma anche per certi versi, un’opinione pubblica non sempre favorevole, come testimoniano ad esempio i recenti casi dell’Olanda o quelli delle grandi resistenze contro l’auto elettrica. 

Si verifica contemporaneamente, come già accennato, una spinta sempre più evidente al trasferimento del centro dell’economia mondiale da Occidente ad Oriente. Citiamo solo poche cifre in proposito. Se consideriamo il criterio della parità dei poteri di acquisto, nel 2022 il PIL cinese è pari ormai al 19% di quello mondiale, mentre quello degli Stati Uniti si colloca soltanto al 15%; inoltre, si prevede che nel 2030 i due terzi delle classi medie del mondo sarà concentrato in Asia.

Di fronte ai grandi mutamenti nelle tecnologie e nello spostamento verso Oriente dell’asse del mondo quali le conseguenze sul mondo del lavoro, a livello quantitativo e qualitativo? Sul primo punto, esistono come è noto due scuole di pensiero, la prima di tipo ottimistico, secondo la quale se la tecnologia distrugge il lavoro in alcuni settori, ne crea di nuovo in altri; l’altra, più pessimista e maggioritaria tra gli studiosi, che pensa che ci sarà una progressiva riduzione dei posti di lavoro. L’autore appare incline ad essere d’accordo piuttosto con la seconda ipotesi. Si pensa anche che sul piano qualitativo si vada verso una crescente polarizzazione tra una fascia ridotta di lavori qualificati ed una molto larga di lavori che lo saranno invece molto poco. Si nota peraltro in controtendenza una spinta almeno parziale al ritorno di molti lavori dai paesi in via di sviluppo verso quelli avanzati grazie allo sviluppo delle tecnologie dell’automazione, mentre il calo demografico in particolare nei paesi avanzati potrebbe in parte, ma solo in parte, compensare la tendenza alla disoccupazione tecnologica.

Il volume analizza i grandi mutamenti in atto attraverso l’esame dettagliato di tre settori industriali in particolare: i chip, l’auto e la carne. 

I chip rappresentano il settore industriale più avanzato e che costituisce ormai la base tecnologica di tutte le altre attività. Il testo descrive in particolare il dominio su questo settore esercitato dall’Asia e, d’altro canto, il tentativo feroce degli Stati Uniti di bloccare l’ascesa della Cina in tale campo cruciale e di riportare le tecnologie relative negli Stati Uniti. Quello dell’auto, che sino a ieri era considerato ormai un settore maturo, ma che comunque costituisce ancora oggi la base industriale ed occupazionale più importante di molti paesi, in particolare europei, è ora soggetto a delle grandi trasformazioni che lo stanno portando alla punta dell’innovazione tecnologica, sotto la spinta in particolare della necessità della riduzione dei danni ambientali; intanto anche in questo settore assistiamo parallelamente al passaggio del centro di gravità dall’Occidente alla Cina. In tale quadro, Stellantis appare piuttosto smarrita, senza una qualche presenza in Asia, che rappresenta oggi più del 50% del mercato mondiale e senza una leadership di rilievo nelle nuove tecnologie. Infine quello della carne, che era già considerato un settore che aveva poco a che fare con l’industria, si vede sempre più diventare invece uno dei campi privilegiati di una nuova ondata di industrializzazione mirata tra l’altro a ridurre il suo impatto ambientale, mentre anche in questo caso i paesi emergenti aumentano fortemente il loro peso a livello mondiale.

Il testo si chiede alla fine: di fronte a tali grandi trasformazioni come reagisce l’Europa e cosa bisognerebbe fare? 

Intanto i mutamenti nel quadro appena descritto richiedono un nuovo e più importante ruolo dello Stato e delle istituzioni internazionali per farvi in qualche modo fronte e volgerli a proprio vantaggio. Ma sappiamo che la stessa espressione “politica industriale” era bandita sino a non molti anni fa dal linguaggio a Bruxelles. Ora, se da qualche tempo ci troviamo di fronte ad un parziale ripensamento della UE, occorre sottolineare come i progetti avviati su vari fronti, non solo arrivino in ritardo ma appaiano piuttosto modesti di fronte alle sfide in atto e poco in grado di inserirsi efficacemente nel gioco in atto tra Cina e Stati Uniti per il dominio dell’economia. Il testo, mentre registra la debolezza dell’Europa soprattutto nel campo delle nuove tecnologie, registra anche come il nostro paese sia il fanalino di coda della stessa Europa.

A questo punto si apre più in generale il capitolo del che fare, tema cui il testo dedica qualche pagina. Si parte dalla constatazione delle possibili rilevanti minacce a livello tecnologico, tra l’altro con il consolidarsi di pochi gruppi monopolistici in grado di controllare la società; su quelle che gravano sul mondo del lavoro; sul pesante deperimento del quadro ambientale, persino con la minaccia della scomparsa dell’umanità; sulla perdita di peso dell’Europa nel campo tecnologico, economico, politico. Il testo raccomanda che si arrivi a sottoscrivere un nuovo contratto sociale internazionale che affronti tali pericoli; esso dovrebbe prevedere in particolare il controllo dell’inquinamento, il miglioramento della condizione dei lavoratori, la messa in opera di un nuovo ordine politico mondiale, mentre per l’Europa si tratta di risalire la china dell’innovazione tecnologica ed economica. 

Il libro, denso di fatti e di cifre, si fonda sulla consultazione soprattutto di articoli anche brevi piuttosto che non su quella di altri volumi, è quindi un indispensabile strumento per capire come sta cambiando il mondo. Di questo vogliamo ringraziare l’autore che con il suo lavoro di compagno “rosso ed esperto” ci permette di comprendere le dinamiche concrete della ristrutturazione del capitale e di individuare possibili percorsi di azione per farvi fronte. Scusate se è poco….

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