Cultura e resistenza contro l’oblio

Alessandra Mecozzi*

La cultura è per i Palestinesi, come per altri popoli oppressi, un’ arma di resistenza. I campi di intervento, autori e autrici, artisti e artiste sono molto numerosi, spesso sconosciuti. Dal cinema al teatro, alla musica, alla pittura, all’archeologia… Qui mi limito a qualche considerazione e qualche esempio nel campo della letteratura e della musica augurandomi di invogliare chi legge a saperne di più!

Edward Said (1935 – 2003) studioso, critico, saggista amatissimo in Palestina, ritiene che la cultura sia uno “strumento” per resistere ai tentativi di cancellazione e rimozione, quando l’identità di un popolo si trova sotto minaccia: “La cultura è una forma di memoria contro l’oblio”,  Per noi è necessario far conoscere la Palestina attraverso il desiderio di vivere e creare del suo popolo e la forza della sua resistenza al “politicidio”, come lo ha definito in un suo libro lo storico israeliano Baruch Kimmerling, e il “memoricidio”, definizione di un altro storico israeliano Ilan Pappè.

Mantenere, sviluppare una identità non immobile, che la colonizzazione violenta israeliana intende estirpare, insieme alla popolazione, appropriandosi della sua terra, è percorso essenziale per il popolo palestinese. Per noi, è una cultura che vale la pena di conoscere e promuovere, anche perché l’ Italia, diversamente da altri paesi europei, fa molto poco, anzi spesso vi oppone ostacoli. Dobbiamo a una piccola casa editrice, le Edizioni Q, diretta da Wasim Dahmash, se possiamo leggere le traduzioni italiane di preziosi autori e autrici palestinesi, altrimenti invisibili ai nostri occhi.

Far conoscere la cultura palestinese serve a smantellare la narrativa costruita da Israele, e le rappresentazioni occidentali (il libro Orientalismo di Edward Said ne parla magistralmente) e gli stereotipi mediatici correnti, di “vittime” o “terroristi”.

Il pensiero critico di uno dei più grandi scrittori palestinesi, Ghassan Kanafani, è proprio l’opposizione al vittimismo e all’autocommiserazione palestinesi, che riduce il discorso sulla Palestina a “una conversazione sulla povertà e la guerra di Israele contro i palestinesi”.

La cultura è la più alta forma di resistenza alla disumanizzazione dei Palestinesi, sempre più necessaria contro l’oblio che affligge l’Occidente che sembra infatti ricordarli solo quando scorre il sangue di innumerevoli vittime.  

Una delle popolazione arabe più colte e aperte al mondo vuole, anche sotto i colpi dell’estrema violenza dello Stato di Israele e dei coloni, riuscire a trasmettere  alle nuove generazioni, immerse nella brutalità e nell’umiliazione, chiuse in campi profughi, assediate da 16 anni dentro Gaza o disperse in vari paesi, il senso della propria identità attraverso la ricchezza multiforme di una cultura come spina dorsale della lotta per il diritto ad avere dei diritti, alla dignità e alla libertà.

David Ben Gurion (1886 – 1973), il primo ministro di Israele che ne dichiarò la nascita, disse una volta: “I grandi moriranno, e i piccoli dimenticheranno”. Ma finché c’è cultura, finché c’è resistenza culturale, il mondo non potrà dimenticare.

Come per ogni popolo la cultura palestinese abbraccia un vasto arco di terreni, dal suo modo di vivere alle sue tradizioni, dalla creazione artistica alle influenze dei popoli circostanti, del Mediterraneo in particolare. Per questo l’ulivo vi occupa un posto rilevante.

L’ulivo

Non sembri strano quindi se comincio con la coltura e la cultura dell’ulivo. La cultura palestinese ha la forza di questi alberi centenari, simbolo di resistenza. “Gli israeliani tagliano gli alberi per costruire insediamenti, noi li ripiantiamo: questa è eco-resistenza” dice Jawad Zawahra. Con altri volontari e attivisti, Jawad aiuta l’agricoltore palestinese Abou Dia a coltivare i suoi terreni. “Restare sulle nostre terre, e preservare le nostre terre, è una forma di resistenza all’occupazione,” (Elena Colonna sul sito www.micromegaedizioni.net)

Essenziale nell’agricoltura ed economia palestinese – ragione per cui gli israeliani ne distruggono o sradicano, appropriandosene, migliaia – l’ulivo è centrale nella cultura della Palestina che, come terra degli ulivi, è spesso presente nella poesia e nella letteratura palestinesi. La prima raccolta di poesie, inclusa la famosa Carta di identità del grande poeta e scrittore Mahmoud Darwish, si chiama Foglie d’ulivo (1964), ed è del 2000 il cortometraggio L’Ulivo della scrittrice e regista Liana Badr.

Letteratura come resistenza

“Creare è resistere, resistere è creare” diceva Stephan Hessel, estensore con altri della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ebreo, combattente della resistenza, notissimo autore di Indignatevi (Add editore, 2011),

In tempi recenti Isabella Camera d’Afflitto, studiosa di letteratura araba moderna e contemporanea, introducendo il suo Cento anni di cultura palestinese (2007, Carocci Ed.) dice:  “Non si tratta tanto di “letteratura della resistenza”, quanto piuttosto di ‘letteratura come resistenza’: alla violenza del nemico, ma anche ai poteri interni e ai dogmatismi legati alla ‘causa’, alla cancellazione della memoria, alle censure e alle forme di oppressione esercitate in seno alla società palestinese da leader politici, da strutture patriarcali e da strumentalizzazioni ideologiche e religiose” (p.15).

Le opere della letteratura di resistenza palestinese sono innumerevoli. Ghassan Kanafani (1936-1972), scrittore, politico e giornalista, assassinato dal Mossad israeliano, perché portavoce del FPLP, scrive romanzi bellissimi, tra cui  Uomini sotto il sole (1991, Sellerio Ed.) sulla tragedia di tre profughi che cercano di arrivare in Iraq, e Ritorno ad Haifa (2003, Ed. Lavoro), che racconta di Said fuggito da Haifa nel 1948, che vi torna con la moglie, dopo vent’anni di esilio, per rivedere la casa, ora abitata da una famiglia di ebrei polacchi scampati ad Auschwitz, e per cercare il figlio, abbandonato durante la repentina e tragica fuga. Un viaggio commovente e drammatico nel presente e nel passato. 

La rivolta popolare e sociale, insieme alla speranza di libertà, alimentò e venne alimentata, dalla prima intifada o rivolta delle pietre, scoppiata a Gaza il 9 dicembre 1987, dal coraggio di tanti ragazzini che tiravano pietre contro i carri armati israeliani,  protagonisti di molti scritti, come quelli di Tawfik Zayyad (1929 – 1994).  palestinese di Israele, poeta e studioso, amato sindaco di Nazareth, autore di Unadikoum, l’inno della prima Intifada.

Mahmoud Darwish (1941-2008) definito da Josè Saramago il più grande poeta del mondo, è l’autore più importante nella fase moderna della letteratura di resistenza.  Meravigliosa la sua poesia diretta al popolo israeliano dove scrisse “O voi, gente che passate attraverso le parole fugaci, portate i vostri nomi e andate via, e tirate via le vostre ore dal nostro tempo e andatevene…” E’ presente nei suoi testi il bisogno di ricordare, la memoria contro l’oblio è condizione di libertà. “La nostra storia è stata sospesa. Il nostro passato, per così dire, è proprietà dell’altro, e sta a noi tornare ad esso e connetterci ad esso”. Impegnato nella lotta contro l’occupazione, come la gran parte degli intellettuali palestinesi, ha redatto il testo della Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato Palestinese, il 15 novembre 1988, riconosciuto da più stati. (Dichiarazione di Algeri)

Ibrahim Nasrallah (1954), poeta contemporaneo, molto conosciuto e amato in Palestina ricorda che come palestinesi “vogliamo ribadire che esistiamo, che non siamo morti, che non possiamo morire. Ma la scrittura è anche un progetto estetico, vogliamo contribuire allo sviluppo anche della letteratura, intendiamo offrire al mondo qualcosa di bello…” (di Alessandro Di Rienzo e Noha Tofeile  su www.assopacepalestina.org.)

Donne resistenti

Le donne hanno un posto notevole nella letteratura come resistenza. Fadwa Tuqan (1920 – 2003), è detta la madre della poesia palestinese, interprete del dramma della sua terra e del suo popolo. Nelle sue poesie come nelle sue memorie “Le rocher et la peine“, rappresenta sia la lotta per la propria libertà da una famiglia oppressiva, per riconquistare una propria identità, che quella sociale e politica, contro l’occupazione. Le sue poesie incoraggiano i giovani palestinese, sostengono le loro lotte, richiamano l’amore da sempre proibito.

Qualche anno dopo incontriamo Sahar Khalifa (1942), quasi una portavoce della letteratura dell’Intifada, con La Porta della Piazza (pubblicato in Libano nel 1992), dove sono protagoniste tre donne, diverse socialmente e ideologicamente, unite dalla lotta contro la società patriarcale. Anche Sahar Khalifa è molto impegnata nella lotta sociale e in quella femminista. Infatti dal 1988 crea a Nablus un Centro delle Donne, con sede anche a Gaza, in cui insegna a giovani donne l’espressione di sé attraverso la scrittura.

Sono dei nostri giorni i racconti Pallidi segni di quiete e i romanzi Sensi e Un dettaglio minore, della giovane Adania Shibli, nata nel 1974. Al suo ultimo romanzo Un dettaglio minore, che racconta un fatto accaduto, lo stupro di una giovane beduina da parte di militari israeliani nel 1948,  è stato negato, incredibilmente, il premio previsto alla Fiera del Libro di Francoforte, a causa della guerra in corso di Israele contro Hamas e Gaza! Anche la resistenza culturale fa paura.

Musica

Mi piace infine ricordare il ruolo della musica, amatissima dai giovani per i quali rappresenta la comunicazione senza confini con il mondo, precluso dalla difficoltà o impossibilità di viaggiare. Due esempi che conosco e apprezzo di istituzioni preposte all’insegnamento sono: la Scuola Al Kamandjati (il violinista) nata nel 2002 e il conservatorio nazionale di musica Edward Said, entrambi con sede a Ramallah, ma centri in diverse città. La scuola, fondata nel 2002 da Ramzi Aburedwan, ragazzino delle pietre durante la prima Intifada, è nata con l’obiettivo di portare la musica, strumento di resistenza nonviolenta, ai ragazzini e ragazzine dei campi profughi, dove lo stesso Ramzi era cresciuto, creando uno spazio di incontro e costruzione di identità. Un libro ne racconta magistralmente la storia, avventure e disavventure sotto occupazione (Il Potere della Musica. Figli delle pietre in una terra difficile, di Sandy Tolan. Haze Auditorium Ed. 2021). Ho avuto la possibilità di incontrare il Conservatorio di Musica, nato nel 1993, a Gaza City, grazie a piccoli progetti con la nostra associazione “Cultura è Libertà”, e di appassionarmi al loro lavoro, apprezzare la cura dei bambini/e e ragazzi/e che lo frequentavano con entusiasmo, di recarmi nei luoghi in cui vengono organizzati i campi estivi, di ammirare la determinazione con cui direttrice e insegnanti perseguivano la loro “missione”, nonostante le restrizioni governative: far vivere momenti di gioia e libertà. Oggi mi si spezza il cuore pensando a quei bambini e a quei cumuli di macerie.

La cultura palestinese rimarrà sempre una testimonianza della sofferenza di quel popolo, della violenza dell’occupazione israeliana e delle sue ingiustizie, di una storia dolorosa. Perciò sarà sempre una spina nel fianco di Israele, che ha fondato e mantiene il suo Stato sulla distruzione, l’espulsione delle persone,  la violenza, le stragi e il furto della terra.

Ma, come dice Mahmoud Darwish in Stato D’assedio (2002): “Qui, sui pendii delle colline, dinanzi al crepuscolo e alla legge del tempo Vicino ai giardini dalle ombre spezzate, Facciamo come fanno i prigionieri, Facciamo come fanno i disoccupati: Coltiviamo la speranza…”.


Alessandra Mecozzi dalla fine del 1970 alla Fiom nazionale, poi Torino/Piemonte. Nel 1975, con il gruppo dell’Intercategoriale donne Cgil-Cisl Uil di Torino, conosce e pratica il femminismo. Nel 1989, eletta nella Segreteria Nazionale della Fiom, 1996, responsabile dell’Ufficio internazionale e, successivamente, anche della rivista della Fiom “Notizie Internazionali”. Contribuisce allan ascita di “Action for Peace”(2001) un progetto di molte associazioni, per la presenza di missioni civili in Palestina/Israele. Partecipa dal 2001 – Genoa Social Forum – al processo del Forum sociale mondiale e del Forum sociale europeo.

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