Editoriale – La scienza. Per cosa e per chi

Loredana Fraleone

“Se la casa brucia non si aspetta qualche anno prima di spegnere l’incendio. Eppure è questo che ci propone oggi la Commissione”, “Un qualunque testo sul clima, una qualunque politica sul clima, che non si ispiri ai dati scientifici più recenti e che non includa l’aspetto internazionale dell’uguaglianza o delle riduzioni che sono necessarie fin d’ora sarà assolutamente inadeguato”.

Queste due frasi sono estrapolate dal discorso tenuto alla Commissione ambiente del Parlamento europeo il 4 marzo 2020 da Greta Thumberg, la giovanissima leader del movimento mondiale sul clima che ha coinvolto milioni di giovani in tutto il mondo.

Il riferimento di Greta ai dati scientifici, come quelli che dimostrano in modo inoppugnabile la crisi climatica e ambientale, è entrato in rotta di collisione con i potenti del mondo, ben rappresentati da Trump, il più apertamente ostile al movimento dei “Fridays for Future”.

Pur di salvaguardare il modello di società che tanti danni ha già prodotto, alcuni hanno assunto un atteggiamento negazionista del cambiamento climatico in atto e dei problemi ambientali che ne derivano; altri pur riconoscendo l’esistenza di quei problemi propongono palliativi, guardandosi bene dal mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo.

“Non voglio che ascoltiate me, ascoltate gli scienziati”, “Siate uniti nel sostenere la scienza…”, afferma Greta davanti alla Casa Bianca, ricevendo solo risposte ingiuriose dal suo inquilino. Ma a quale Scienza fa riferimento Greta? A quella che ha contribuito a modificare il clima e l’ambiente in una misura che sembrerebbe già irreversibile e che minimizza quei mutamenti o a quella che, sulla base di dati inoppugnabili, ne denuncia le conseguenze sempre più negative per la salute umana e dell’ambiente? E’ evidente che Greta fa riferimento a quella scienza che è sempre stata utile a tutta l’umanità, contribuendo a migliorare le condizioni di vita di tanti individui.

Le ambivalenze della scienza

Si capisce molto bene, dai suoi molteplici aspetti, quanto grande sia la complessità di tutto ciò che viene attribuito oggi alla Scienza e al suo progresso, che come un Giano bifronte mostra il volto della guerra o quello della pace. È innegabile che l’umanità, ma in particolare la sua parte “bianca”, ha usufruito per secoli di un immane progresso, che la ricerca di base, fornendo intuizioni e strumenti a quella applicata, ha contribuito a produrre con un costante e sempre più rapido sviluppo tecnologico.

La Scienza moderna si fa risalire a Galileo Galilei; non tanto per le scoperte  di pur importanti leggi fisiche quanto per l’elaborazione di un metodo scientifico basato sulla verifica sperimentale, elaborazione di un genio che aveva alle spalle l’eredità culturale rinascimentale. Le grandi scoperte geografiche avevano già utilizzato studi sistematici, poi sperimentati sulla navigazione, promossi da regnanti europei, che grazie a questi avviarono la conquista del globo, rovesciando con le nuove acquisizioni tecnico – scientifiche la supremazia che fino ad allora, su quel terreno, aveva l’Oriente sull’Occidente. Il portoghese Enrico il Navigatore agli inizi del xv° secolo, per esempio, aveva creato a Sangres un polo tecnologico per modernizzare la navigazione, dotato di un osservatorio, un arsenale reale, una scuola. Un apparato  che consentì la realizzazione della caravella, la messa a punto della bussola e una nuova cartografia.

Da molto tempo, da sempre forse, la Scienza ha percorso una strada a doppia corsia: da una parte la creazione di enormi vantaggi per tutta l’umanità; dall’altra il suo uso spregiudicato da parte di interessi parziali, come quelli dell’impresa capitalistica, che avendo bisogno di innovazioni continue per l’accumulazione sta mettendo in discussione l’esistenza stessa della vita sul pianeta. Si sta diffondendo allo stesso tempo, anche grazie alla denuncia di una parte degli scienziati, la consapevolezza dei limiti della crescita, prodotta da quella centralità dell’impresa preoccupata solo di indurre nuovi bisogni in funzione di un’espansione tutta quantitativa. “La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto del capitale stesso. Ogni limite si presenta come un ostacolo da superare. Il capitale tende anzitutto a subordinare ogni momento della produzione stessa allo scambio, e a sopprimere la produzione di valori d’uso immediati che non entrano nello scambio, ossia appunto a sostituire la produzione fondata sul capitale ai modi di produzione precedenti e, dal suo punto di vista primitivi” (Grundrisse q.IV° pag. 375- Einaudi 1977). Con straordinaria lungimiranza Marx individua la cieca tendenza per la quale l’uso del progresso scientifico rischia di essere reso del tutto incontrollabile. Per questo è necessario e urgente un controllo sociale, che solo un’istituzione pubblica può garantire, a partire dal fatto che la Ricerca ha oggi dimensioni tali che richiedono enormi stanziamenti, che se gestiti dall’iniziativa privata continuano a produrre tecnologie sempre più pesanti sull’ambiente e persino in grado di condizionare il lavoro e la democrazia.

Dunque la Scienza, la Tecnica e la Ricerca non sono al di sopra del contesto sociale e – proprio rifacendosi alla metafora dell’ape e l’architetto, presente nel I° libro del Capitale – Marcello Cini e altri tre fisici della “Sapienza” avviarono, nella metà degli anni Settanta una riflessione politico/scientifica sulla non neutralità della Scienza, che oggi è ancora più evidente nella globalizzazione neoliberista, tutta tesa a un utilizzo della Ricerca in funzione della prevalenza del profitto su tutto.

Il rapporto tra scienza e ambiente

Non a caso, già agli inizi dello stesso decennio era uscito su commissione del Club di Roma un rapporto sui limiti della crescita, che metteva in relazione quasi profeticamente i problemi creati da un certo sviluppo industriale con i danni ambientali. Nel gruppo di ricerca, in particolare i coniugi Meadows posero in termini scientifici  l’idea che si prospettasse un futuro con alterazioni tali da poter essere paragonate a quelle della fine dell’era glaciale, gettando le basi per l’attuale denominazione di “Antropocene”, per definire l’era in cui viviamo. Il legame tra i problemi ambientali e un certo sviluppo della scienza e della tecnica è stato il più possibile occultato o sviato con la critica a una presunta volontà regressiva, per un ritorno a una condizione bucolica in realtà mai esistita. Una visione innegabilmente presente in alcuni settori ambientalisti privi di una critica economico/sociale dei fenomeni. Questo legame ha ottenuto più credibilità e forza quando proprio da una parte del mondo scientifico sono state descritte, dati alla mano, le conseguenze  dell’impatto tra inquinamento e modifiche del clima; tra distruzione di ambienti naturali e le alterazioni del loro equilibrio. Forse, oltre alla divulgazione e a una certa crescita culturale, proprio questo ruolo della Scienza rispetto ai problemi ambientali, negli ultimi dieci anni, ne ha aumentato il prestigio: perfino di ben 14 punti nell’opinione pubblica degli Stati Uniti, dove la proliferazione di sette e superstizioni ha ancora una certa rilevanza.

Il metodo aiuta la conoscenza

Il metodo scientifico, che richiede la sperimentazione e la descrizione matematica, per avvalorare le ipotesi da cui parte una ricerca, si è scontrato da subito con credenze religiose e non, superstizioni e pratiche magiche di vario genere, rafforzate e maggiormente utilizzate in tutte le epoche nelle situazioni di crisi. Ancora oggi, anche se in forme adeguate ai tempi, queste sopravvivono e a volte convivono con la fiducia nella Scienza, coinvolgendo in qualche caso persino qualche scienziato. Questi fenomeni si sono intensificati nello spaesamento collettivo e individuale  di un sistema economico, politico e culturale sempre più connotato dall’incertezza e da quella estraneazione dalla realtà, che Marx fin dai Manoscritti economico – filosofici del 1844 individuò nel lavoro alienato della produzione capitalista, che non riguarda solo il singolo lavoratore, ma anche una crescente pervasività sociale di questo rapporto attraverso la proprietà privata. Attualissima la riflessione e la previsione di Marx, che metteva in relazione l’aumento della capacità produttiva con quello dell’estraneazione. L’attuale livello di precarizzazione e d’intensificazione dello sfruttamento ha ulteriormente legato il lavoro, e persino la sua ricerca, con l’obiettivo della pura sussistenza, e l’estraneazione individuale e collettiva si presenta nella società della rete in modo ancora più consistente che in quella delle macchine. Ricorrere a tutto ciò che risulta consolatorio diventa allora la risposta più semplice nell’assenza di una prospettiva che non consideri la società capitalista come l’unica possibile.

La pervasività della rete

Si è creata anche una nuova forma di alienazione attraverso la rete, che riguarda le scelte dei consumatori, determinandone modi e tempi dei consumi. La pubblicità fortemente presente nella rete riesce a sfruttare informazioni su intere categorie di persone, per poi modulare inviti all’acquisto o indurre nuovi bisogni attraverso messaggi mirati, che spesso utilizzano tranquillizzanti richiami all’affermazione personale, all’annullamento delle differenze economiche e persino all’ecologia. Attraverso questi perciò le multinazionali del settore condizionano gli utenti ben al di là del piano economico, plasmando la sfera culturale e politica dei consumatori.

Si profila una concentrazione  del potere senza precedenti, che richiede una grande diffusione della conoscenza scientifica per poterne contrastare gli effetti negativi. Di fronte all’ulteriore rivoluzione del capitale in relazione dialettica con quella della Scienza, che rende il mondo un ambiente sempre più artificiale, cioè costruito prevalentemente dagli esseri umani, si può sviluppare l’essere umano “totale” nella direzione preconizzata da Marx nei Manoscritti economico – filosofici del 1844 oppure quello che lavora alla propria distruzione.

Anche le guerre in corso, che martirizzano popoli che hanno la disgrazia di abitare territori contesi per le risorse naturali o per il controllo di relazioni commerciali, mostrano come la capacità  di armi sempre più raffinate sia non solo distruttiva della popolazione civile, ma anche la causa della contaminazione di grandi aree geografiche e la scomparsa di interi ambienti. La lotta per la pace diviene perciò indispensabile non solo per il rispetto dei diritti umani e la convivenza tra i popoli, ma  anche per la qualità di un progresso scientifico in funzione dell’accesso ai bisogni fondamentali e a un’equa distribuzione delle risorse.

Risulta perciò indispensabile l’obiettivo dell’elevamento e della diffusione della conoscenza, in particolare di quella scientifica, perché ci sia un controllo informato sulle politiche che indirizzano la Ricerca e sui soggetti istituzionali che ne devono garantire la realizzazione.


Immagine di Takver (dall’Australia) da wikimedia.org

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