Fermare il genocidio e smascherare le cattive narrazioni che lo giustificano

Paolo Ferrero

Da oltre 6 mesi lo stato israeliano sta massacrando i palestinesi a Gaza. Un tempo lunghissimo in cui un giorno segue l’altro in una brutalità che ha assunto un tratto burocratico, pianificato, normale… Un tempo infinito che ci dice quattro cose:

  1. Quella di Israele non è una guerra contro Hamas, ma un genocidio contro il popolo palestinese. In ogni guerra vi sono vittime civili, hanno addirittura inventato la definizione di “danni collaterali” per darne conto. In questo caso non vi è alcun danno collaterale: il centro dell’azione militare dell’esercito israeliano è rivolto contro la popolazione di Gaza con decine di migliaia di morti di cui oltre 13.000 bambini. Le bombe sugli ospedali, sul parlamento, sull’università, sul complesso delle infrastrutture che permettevano la vita a Gaza di due milioni di persone, non sono danni collaterali ma la drammatica normalità di una brutale azione genocida.
  2. L’obiettivo del genocidio che lo stato israeliano sta compiendo, non è lo sterminio di tutti i palestinesi ma la pulizia etnica della striscia di Gaza. Israele vuole rendere impossibile la vita a Gaza a due milioni di palestinesi, terrorizzandoli con i bombardamenti, distruggendo le loro case e le infrastrutture, in modo da poterli sgombrare e occupare quel territorio con nuovi insediamenti illegali di coloni israeliani. Siamo dinnanzi ad un genocidio finalizzato alla “sostituzione etnica” nel territorio di Gaza.
  3. La strumentazione che lo stato di Israele sta utilizzando per realizzare i suoi obiettivi a Gaza non è solo militare. Oltre alle bombe, man mano che passa il tempo, la strategia terroristica dello stato israeliano si esprime sempre più attraverso il blocco dell’ingresso a Gaza dei generi alimentari, dell’acqua, nei medicinali e di quant’altro sia necessario per permettere la nuda vita ai palestinesi intrappolati in quell’immenso campo di concentramento che è Gaza. Sfamare, dissetare e curare due milioni di persone sottoposte a mesi di bombardamenti chiede l’ingresso a Gaza di centinaia di camion al giorno. Il governo israeliano permette che entrino a Gaza, in modo intermittente e arbitrario, un decimo delle risorse necessarie per garantire la sopravvivenza dei palestinesi. Se nelle prime settimane ci angosciavano le immagini dei bambini operati ed amputati senza anestesia, adesso sono i volti e gli occhi di bambini denutriti che stanno morendo di fame, disidratati, a guardarci e interrogarci. Qualche giornale si riferisce a Gaza parlando di siccità: ma a Gaza non esiste nessuna siccità, non vi è alcun fenomeno naturale ma solo la deliberata e criminale decisione dello stato di Israele di ridurre alla fame un intero popolo. Qui siamo completamente oltre alla logica della guerra: gli abitanti di Gaza non sono condannati a morire di fame e di sete perché non si arrendono ma perché esistono e vivono in quel territorio. Siamo molto oltre la guerra perché quello che sta accadendo non è una azione violenta finalizzata ad una vittoria militare ma un genocidio in cui il carnefice risparmia anche sui metodi per sterminare le vittime: impedire l’ingresso ai viveri costa meno che sganciare bombe e fa più morti tra i più deboli, a partire dai bambini.
  4. Per portare a termine il genocidio e la pulizia etnica di Gaza, il governo israeliano sta creando diversivi cercando di innescare un conflitto in tutto il Medio Oriente. L’esplosione di un gasdotto in Iran, il bombardamento dell’ambasciata iraniana in Siria, i bombardamenti in Iraq e nel Sud del Libano, ci parlano di questa volontà di scatenare la guerra con l’Iran. Che questa azione sia stata sino ad ora impedita dalle pressioni statunitensi e dalla responsabilità iraniana non toglie nulla al fatto che questa escalation sia ricercata con determinazione degna di miglior causa.

Lo stato di Israele sta quindi assumendo sempre più le caratteristiche di uno stato terrorista, disposto a qualunque cosa pur di poter allargare illegalmente i propri confini al di fuori delle risoluzioni assunte dalle Nazioni Unite e al di fuori di qualunque legalità internazionale. Sarebbe però sbagliato far risalire solamente al governo israeliano la responsabilità di quanto sta succedendo: tutte le azioni poste in essere dallo stato di Israele sarebbero state impossibili senza la protezione e la complicità dei paesi occidentali che fanno parte della NATO. Sono i paesi occidentali che forniscono, giorno dopo giorno, le armi e le bombe con cui vengono uccisi i bambini palestinesi.

Una mobilitazione mondiale

Contro l’azione del governo israeliano e dei suoi complici si è sviluppato un grandioso movimento in tutto il mondo. Un aspetto che solleva grandi speranze è la partecipazione a questa mobilitazione di parti del mondo ebraico ed in particolare di una fetta non irrilevante della popolazione israeliana. Voglio sottolineare a questo riguardo il coraggio del giornale Haaretz, che continua in un clima difficilissimo a fare informazione, quell’informazione quasi scomparsa dalle testate occidentali mainstream, votate alla propaganda e alla diffusione delle fake news di regime. Si tratta di un movimento variegato che testimonia come la vicenda del popolo palestinese, la cui sofferenza non è cominciata nell’ottobre scorso ma data da oltre 70 anni, sia diventata intollerabile per la coscienza civile di miliardi esseri umani. Questo movimento ha il merito storico di aver rovesciato la narrazione dei media occidentali che hanno tentato di far ricadere le responsabilità della situazione attuale sul criminale attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Il movimento al contrario ha ricordato a tutto il mondo che il dramma palestinese va avanti da decenni e trova le sue radici nella criminale volontà di Israele e dei suoi complici di non dar corso alle più elementari risoluzioni delle Nazioni Unite. Ci troviamo quindi dinnanzi ad un movimento su scala planetaria che attorno alla solidarietà al popolo palestinese costruisce un nuovo universalismo in cui viene ribadito che nessuna persona e nessun popolo può essere discriminato, ucciso, torturato. Una mobilitazione che fa risaltare la completa malafede delle elites dei paesi occidentali le quali, in nome della democrazia e dei valori di tolleranza e laicità, non hanno nessuno scrupolo a far finta di non vedere l’apartheid, le incarcerazioni di massa, le torture ed in generale la politica genocida dello stato israeliano nei confronti dei palestinesi.

La reazione del potere

Non a caso il movimento viene osteggiato in tutti i modi nei paesi occidentali, dal divieto di manifestare a favore della Palestina all’accusa di antisemitismo per chiunque critichi il governo israeliano. Non è un caso che in Italia, la meritoria decisione assunta dai Senati accademici di alcuni atenei di ridurre le collaborazioni con le Università israeliane, sia stata duramente criticata da tutti i livelli istituzionali a partire dal democratico Presidente della Repubblica per arrivare alla fascistoide presidente del consiglio.
Il contrasto al movimento di solidarietà con la Palestina è il vero tratto unificante di tutte le elites occidentali ed arriva a fino a colpire gli attivisti con il più classico degli strumenti padronali: il licenziamento politico. Non è un caso che 28 dipendenti della Google siano stati licenziati dopo aver scioperato e manifestato in favore dei palestinesi e che la stessa cosa sia successa a docenti nelle università degli Stati Uniti, in Francia, in Israele, in Italia, dove un docente è stato licenziato da una scuola privata a causa delle sue posizioni sul conflitto palestinese. La repressione è capillare e guidata dalla logica del “colpirne uno per educarne 100” ed è attuata sia da privati che da quasi tutti i governi occidentali, di centro destra come di centro sinistra. Mai come nel caso della vicenda palestinese abbiamo la plastica raffigurazione che i due schieramenti del sistema bipolare occidentale – politici, mediatici, culturali ed economici – condividono la stessa prospettiva mentre l’alternativa è portata avanti quasi unicamente dai movimenti sociali.
La fascistoide Meloni è così in piena sintonia con il democratico Biden e con il socialdemocratico Scholz. Mentre sulla vicenda ucraina vi sono alcune contraddizioni nel fronte delle classi dominanti – quella di Trump è la più evidente, ma anche in Italia è possibile scorgerne – la difesa di Israele e delle sue politiche è unanime. Ovviamente questo sostegno viene mascherato da un gigantesco gioco delle parti – in cui Netanyahu è il poliziotto cattivo e tutti gli altri sono poliziotti buoni – ma il risultato è evidentissimo. Basti pensare che Israele non potrebbe andare avanti per una settimana nella sua azione di massacro se non fosse rifornito e finanziato dai paesi occidentali: gli USA in prima fila ma non certo da soli.

Per quanto riguarda l’Italia, il governo ha assunto una posizione molto peggiore che nel passato. Storicamente il nostro paese ha avuto una politica finalizzata ad una soluzione politica della questione palestinese e mai il governo italiano si è schierato in modo così plasticamente subalterno alla volontà degli USA e così drammaticamente insensibile alle sofferenze che lo stato israeliano sta infliggendo al popolo palestinese. I Craxi, gli Andreotti, i Moro – che non abbiamo mai perso l’occasione per criticare – hanno fatto giocare al nostro paese un ruolo di pace nell’area mediorientale. Nulla a che vedere con la scelta del governo Meloni di guidare la missione militare nel Mar Rosso che è nei fatti una esplicito schieramento militare a fianco di Israele.
Per quanto riguarda gli USA, nonostante il genocidio del popolo palestinese, la posizione continua ad essere di pieno sostegno militare ed economico al governo israeliano e il veto posto il 18 di aprile al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in merito alla possibilità di riconoscere lo stato palestinese, la dice lunga sull’assoluta indisponibilità a creare una soluzione politica alla situazione data.
Questo appoggio ad Israele continua nonostante gli USA paghino un prezzo rilevante di consenso tra i popoli di tutto il mondo, in particolare ovviamente nei paesi del sud del mondo e tra il miliardo e 300 milioni di mussulmani sparsi in tutto il globo.

I motivi della complicità occidentale con Israele

Questa complicità dei paesi occidentali con Israele chiede di essere capita bene per coglierne il complesso delle motivazioni.

  1. Innanzitutto vi è chiaramente un motivo geopolitico strettamente militare. Lo stato di Israele rappresenta un avamposto militare e logistico in un’area strategica come il Medio Oriente. Israele non è solo una grande portaerei ma è molto di più: uno spazio sicuro, ben difeso e dotato di bombe atomiche, che opera nella regione per legare a sè i regimi arabi moderati e pronto in ogni momento ad attaccare l’Iran e i suoi amici.
  2. In secondo luogo vi è un motivo geopolitico di ordine economico legato all’utilità della presenza di un protettorato statunitense nell’area mediorientale, così importante nella produzione di petrolio e di gas naturale.
  3. In terzo luogo vi è indubbiamente un motivo di politica interna statunitense: l’appoggio della lobby filo israeliana e sionista statunitense è decisivo per essere eletti presidenti e per avere l’appoggio di larga parte delle classi dirigenti che contano. Non parlo di lobby ebraica perché il mondo ebraico statunitense è assai variegato sul piano politico, culturale e sociale. Esiste invece una lobby filo israeliana in cui sono certo presenti famiglie ebree facoltose e conservatrici ma la cui maggioranza è costituita da potenti famiglie WASP (White Anglo Saxon Protestant), molto conservatrici e filosioniste. Negli Stati Uniti sono infatti in crescita le sette mistico-evangelicali, ispirate da una teologia reazionaria di cristianesimo sionista, che raggruppano una parte non indifferente delle classi dominanti del paese. Questa potente lobby, sionista per convincimenti religiosi e politici, composta da straricchi, è di fatto la longa manus di Israele negli Stati Uniti a cui nessun presidente vuole opporsi.

Israele nella narrazione imperialista occidentale

Oltre a questi elementi che spiegano sul piano materiale la connivenza del presidente Biden con la criminale politica di Israele, occorre però allargare lo sguardo e cogliere il ruolo simbolico che lo stato di Israele ricopre nella fondazione mitica – oggi in fase di costruzione e di ridefinizione – dell’identità occidentale. L’occidente – cioè le nazioni legate alla NATO – oggi si autorappresenta come aggredito dal resto del mondo e quindi bisognoso di difendersi. La palese falsità di questa menzogna – contraddetta dalla realtà e dalla storia delle guerre degli ultimi secoli – per essere occultata richiede un di più di fumisterie, di narrazione identitaria, di miti fondatori: necessita di una ideologia di legittimazione. In questa nuova costruzione identitaria dell’occidente – una sorta di nazionalismo sovranazionale – Israele ha un grande ruolo: viene presentata e si presenta come il nostro avamposto aggredito dai nostri nemici proprio perché incarna in modo coerente i nostri valori. In questa grande costruzione mitologica, Israele diventa la sentinella della democrazia di fronte alla barbarie tribale dei mussulmani. Parimenti Israele diventa il “luogo sacro” della nascita della civiltà giudaico cristiana: “terra promessa” e “luogo santo” allo stesso tempo. Lo stato di Israele – e quindi anche il peggior governo israeliano – nell’immaginario che ci viene imposto a reti unificate, non fa altro che proseguire l’epopea delle crociate, vere e proprie antesignane della guerra di civiltà che viene oggi presentata come una imprescindibile necessità.
Non solo: lo stato di Israele viene anche nominato rappresentate di tutto il popolo Ebraico, come se quello stato incarnasse fino in fondo il popolo della Bibbia. Così ogni critica al governo israeliano e al sionismo viene tacciata di antisemitismo, per costruire una falsa identificazione tra il popolo ebraico e lo stato di Israele.
Attraverso questa strada viene compiuto un ulteriore passo e lo stato di Israele viene presentato come il depositario morale della Shoà e il baluardo del popolo ebraico affinché l’olocausto non abbia a ripetersi. Lo stato di Israele – che pratica il genocidio, l’apartheid e dispone di un formidabile arsenale atomico – viene quindi presentato come il garante delle radici giudaico cristiane dell’occidente democratico e anche come il rappresentante della purezza e della fragilità di chi in occidente ha subito in epoca moderna la più grande barbarie della storia: l’olocausto.
All’interno di questa costruzione mitologica, lo stato di Israele non è mai aggressore perché per definizione si difende da un nuovo possibile olocausto.
Nella narrazione ideologica delle elites occidentali, il governo israeliano è sempre assolto preventivamente anche quando si comporta in modo criminale: in ogni caso ci rappresenta nel luogo più difficile, in quel Medio Oriente che è contemporaneamente terra di confine e luogo in cui la nostra identità si è fatta carne e popolo. In questa narrazione completamente deformata “i nostri” vanno sempre difesi perché “non siamo ad un concorso di poesia” ma dentro un conflitto tra bene e male, tra la civiltà giudaico cristiana che ha dato vita alla modernità e alla democrazia e il mondo premoderno e barbarico che, grazie alle tecnologie che gli abbiamo donato, ci sta aggredendo. Israele viene quindi presentato come l’archetipo dell’occidente che le classi dominanti capitalistiche atlantiche vogliono instaurare sostenendo di doversi difendere dal resto del mondo. Ogni idea di umanità, di fraternità, di solidarietà viene inghiottito dall’orizzonte mitico della guerra di civiltà di cui Israele è l’incarnazione terrena.
Le implicazioni di questa costruzione ideologica che usa il linguaggio religioso al fine di ottenere una legittimazione più profonda, sono tali che ci obbligano ad un salto di qualità: il tema della Palestina non è questione locale o regionale ma rimanda immediatamente al disegno egemonico delle elites occidentali ed all’immaginario che cercano di imporci.

Rafforzare il nostro impegno a fianco del popolo palestinese

Attorno alle vicende che riguardano Israele si gioca una partita generale, mondiale. Dobbiamo quindi lottare con più forza e determinazione per porre fine al genocidio e per affermare i diritti dei palestinesi, così come dobbiamo mobilitarci in modo più capillare per attuare il boicottaggio dell’economia israeliana al fine di obbligare il governo israeliano a desistere dalla sua azione criminale. Dobbiamo rafforzare ed estendere la fondamentale azione di lotta a fianco del popolo palestinese: il rovesciamento della situazione passa infatti attraverso la conquista da parte del popolo palestinese della pienezza dei propri diritti e la sconfitta della politica di potenza occupante e segregazionista dello stato di Israele. Estendere la lotta significa in primo luogo coinvolgere un numero maggiore di persone. A questo riguardo decisiva è l’azione di controinformazione e di contrasto delle fake news che i media mainstream diffondono a piene mani. Tra notizie non date, notizie deformate, notizie inventate e doppi standard, i nostri concittadini sono bombardati da una vergognosa propaganda di guerra portata avanti da testate e giornalisti senza dignità. Il nostro primo impegno è quindi la controinformazione, la battaglia delle idee per ripristinare un punto di vista che abbia a che vedere con la realtà e non con la manipolazione. In secondo luogo dobbiamo sviluppare ed estendere la campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni finalizzata ad obbligare lo stato israeliano a riconoscere i diritti del popolo palestinese. La campagna di boicottaggio è importantissima come abbiamo visto in Sud Africa perché in modo non violento permette di colpire Israele sul piano economico e nello stesso tempo chiede alle singole persone un impegno che chiunque può mettere in atto. Noi dobbiamo allargare la lotta nel senso di coinvolgere milioni di persone in piccole azioni come il boicottaggio che però determinino l’isolamento di Israele e quindi pongano le condizioni per una cambio deciso, come avvenne in Sud Africa con la fine dell’apartheid. In questo quadro è importantissimo chiedere la rottura delle relazioni culturali istituzionali con Israele: nella situazione attuale solo l’isolamento può portare ad una crisi e ad un ripensamento che obblighi Israele a cambiare strada, ad abbandonare la via del genocidio e della sopraffazione. Una campagna specifica richiede poi la rottura  della vergognosa alleanza militare e tecnico scientifica che l’Italia ha stabilito con Israele tramite la legge 94/200 e il blocco di ogni fornitura militare a Israele.
Dobbiamo quindi costruire una mobilitazione ampia e duratura, che coinvolga nel boicottaggio di Israele anche quella parte della popolazione italiana che non parteciperebbe mai ad una manifestazione ma è contro la guerra e che inorridisce di fronte al genocidio del popolo palestinese.
Nel contempo, per costruire una alternativa, siamo chiamati a fare un passo in più che riguarda la contestazione del ruolo simbolico che il pensiero guerrafondaio occidentale vuole far assumere allo stato di Israele.

In conclusione, sette considerazioni

Per costruire un Occidente che non sia guerrafondaio, neocoloniale, maccartista, – formalmente democratico ma radicalmente non pluralista – siamo chiamati a dire parole chiare sullo stato di Israele e sui miti ad esso connesso. Il ruolo simbolico che ricopre lo stato di Israele e la strumentalizzazione dell’olocausto che viene fatta nella narrazione bellicista dell’occidente obbliga noi comunisti – che vogliamo costruire una alternativa alla guerra di civiltà e costruire un occidente in grado di cooperare pacificamente con il resto del mondo – a prendere posizione in modo chiaro. Per dare un contributo in questa direzione vi propongo qui di seguito alcune considerazioni.

  1. L’olocausto rappresenta la negazione radicale dell’umanità, un unicum negativo ed un punto di svolta decisivo nella storia, che non deve ripetersi: Mai piu! Mai più! L’olocausto infatti è la drammatica applicazione concreta di una ideologia – il nazismo – che ha postulato la superiorità di una presunta razza e il suo diritto a sterminare il popolo ebraico come quello rom.
  2. I paesi europei, ed in particolare la Germania, hanno giustamente sviluppato un senso di colpa nei confronti del popolo ebraico che è stato oggetto della Shoà. Questo senso di colpa deve essere coltivato ed esteso ai rom e sinti, agli omosessuali, agli oppositori politici antifascisti e comunisti ed a tutte le categorie di persone che sono state perseguitate dai nazisti.
  3. L’elaborazione collettiva del senso di colpa dovrebbe dar luogo ad un tabù, ad un rifiuto antropologico prima ancora che politico dell’ideologia che ha voluto e realizzato la shoà: il nazismo. Il tabù, il rendere inimmaginabile ed indicibile qualsiasi ideologia di supremazia “razziale”, dovrebbe quindi riguardare i presupposti ideologici della Shoà al fine di renderla irripetibile sia nei confronti del popolo ebraico che in generale nei confronti di qualsiasi popolo.
  4. L’aver subito la Shoà da parte del popolo ebraico non giustifica in alcun modo forme di aggressione verso altri popoli così come l’aver subito il Porrajmos non giustificherebbe il popolo rom ad avere pratiche aggressive verso altri popoli e così via. Ogni crimine o genocidio che venga giustificato in nome delle persone assassinate nell’olocausto, rappresenta sul piano morale la negazione dell’insegnamento che deve derivare dalla condanna dei crimini nazisti e rende vana la sofferenza dei milioni di morti dell’olocausto.
    L’utilizzo dell’olocausto per giustificare nuovi crimini, cioè l’utilizzo del male assoluto per giustificare nuovo male, rappresenta un criminale svilimento della Shoà, è la cosa che più si avvicina alla banalità del male e sul piano morale costituisce una forma di negazionismo: come tale deve essere radicalmente contrastato.
  5. Lo stato di Israele non coincide con il popolo ebraico. Lo stato di Israele è espressione di una parte del popolo ebraico e non della sua interezza o essenza. Il tentativo di presentare lo stato di Israele come lo stato del popolo ebraico è un atto arbitrario che offende in primo luogo ogni singolo ebreo che liberamente decide dove vivere e la cui libertà, identità o memoria non può e non deve essere conculcata da alcuno.
  6. L’ideologia sionista sulla cui base è stato creato lo stato di Israele è una ideologia nazionalista e coloniale fondata su una falsità storica quale l’esistenza in Palestina di una “terra senza popolo che avrebbe potuto accogliere un popolo senza terra”. Questa mistificazione della realtà che caratterizza il sionismo sin dalle origini si è poi aggravata nel continuo e reiterato rifiuto dello stato di Israele di darsi dei confini ai sensi delle deliberazioni delle Nazioni Unite, decidendo così di vivere al di fuori della legalità internazionale. Il rispetto delle risoluzioni dell’ONU costituisce quindi un atto dovuto per lo stato di Israele, che c’è ed esiste, ma è stato riconosciuto dalle Nazioni Unite in un territorio definito.
  7. Il popolo palestinese ha diritto a vivere in tutte le terre che gli sono state affidate delle deliberazioni della Nazioni Unite, ogni palestinese ha diritto a fare ritorno in patria e i palestinesi hanno diritto a dotarsi di un loro stato pienamente autonomo e sovrano. Israele non ha diritto di occupare alcun territorio affidato dalle Nazioni Unite al popolo palestinese così non hanno diritto di vivere in tali terre i coloni israeliani. Ogni auspicabile forma più avanzata della divisione statuale tra Israele e Palestina non potrà che essere definita consensualmente e pacificamente.
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