Formazione, scuola e lavoro

Evoluzione del rapporto e riforma di tecnici e professionali

Mario Sanguinetti*

Introduzione

Il rapporto tra la scuola e la società è ovviamente mutato nel corso del tempo in ordine alle varianti socio-economiche e culturali e in merito all’ordine di scuola (infanzia, elementare, media, superiore).

Nel secolo scorso, fino al ’68, l’interesse delle “élites” riguardava principalmente una scuola che da un lato “disciplinasse” e dall’altro funzionasse già in gioventù come luogo di discriminazione sociale, prevedendo percorsi di formazione diversificati L’interesse delle classi dominanti verso la scuola era un interesse indiretto, e il compito di attuare tale formazione autoritaria e classista veniva affidato allo Stato: per i figli delle classi dominanti il percorso di scuola media e liceo; alle classi subalterne, avviamento e istituto tecnico o professionale che offrivano immediati sbocchi lavorativi. L’introduzione nel 1962 della scuola media unificata, e successivamente il ’68 e ciò che ne è seguito, ha messo in discussione entrambi gli aspetti di autoritarismo e scuola di classe.

Le sperimentazioni degli anni ’70 e ’80

Negli anni seguenti abbiamo assistito a molteplici iniziative, spesso scollegate tra loro, di modifica del lavoro didattico, in particolare nella scuola dell’Infanzia ed elementare, ma anche la secondaria sia di I che di II grado ha visto esperienze significative in cui si è tentato di avvicinare la dicotomia esistente tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Mi preme qui ricordare a tal proposito i BUS (biennio unico sperimentale) realizzati in molte scuole superiori superando appunto la discriminante classista tra licei ed Istituti Tecnico-professionali, con originali ibridazioni tra cultura tecnica e liceale. Avviati già dal 1975 a seguito dell’approvazione dei Decreti Delegati del 1974, ed in particolare del 419,.erano 107 nel 1977, 358 nel 1981, un migliaio nel 1986 e 4000 circa nel 1992

Tale vivacità sia pedagogica che didattica ha avuto un seguito decrescente graduale fino al 1999, quando di fatto tali esperienze si azzerano. Cerchiamo di capire il perché di tale mutamento.

Le classi dominanti, dopo il lungo periodo in cui avevano affidato di fatto allo Stato (o alle scuole private di élite) il settore educativo, già dai primi anni ’80, di fronte alla evidente egemonia culturale “di sinistra” che stava passando attraverso la scuola, cambiano atteggiamento rivedendo la posizione di delega allo Stato dei percorsi di formazione e iniziando a entrare direttamente nel merito della gestione dei processi educativi.

Le riforme degli anni ’90 e Duemila

Nel gennaio 1989, la Tavola rotonda europea degli industriali – Ert (potente gruppo di pressione padronale presso la Commissione Europea) – pubblica un rapporto dal titolo “Istruzione e competenza in Europa”. Vi si afferma a chiare lettere che “l’istruzione e la formazione (…) sono considerate come investimenti strategici vitali per il futuro successo dell’impresa”. Quindi vi si deplora che “l’insegnamento e la formazione (siano) sempre considerati dai governi e dagli organi decisionali come un affare interno (…). L’industria ha soltanto una modestissima influenza sui programmi didattici”.

Non casualmente appunto agli inizi degli anni ’90, diminuiscono le sperimentazioni, e passa la riforma della scuola elementare, in un quadro politico sindacale che, a parte lodevoli eccezioni, si è già uniformato alla logica del pensiero unico.

Con la legge 59/97 si apre il varco all’Autonomia Scolastica che viene attuata con il DPR 275/99 che all’art 17 prevede, tra le norme da abrogare, quelle relative alle sperimentazioni della legge 419/74: l’autonomia sulle sperimentazioni ordinamentali, quelle dei BUS per capirci, non ha più riconoscimento giuridico ed economico.

La pervasività delle nuove posizioni delle classi dominanti sulle scelte di politica scolastica continua gradualmente, e nel 2003 la legge 53 (riforma Moratti) introduce la possibilità di esperienze di scuola lavoro negli Istituti Tecnici e Professionali, ripristinando in tal modo la netta distinzione tra i percorsi di istruzione superiore.

Non possiamo qui non segnalare come tali scelte abbiano una paternità politica ed economica estremamente condivisa. Infatti il luogo principe di queste elaborazioni in Italia è rappresentato dall’associazione TreeLLLe, che ha come mission la costruzione di una società dell’apprendimento permanente (Life Long Learning). Fondata nel 2001, si pone l’obiettivo di favorire il miglioramento della qualità dell’educazione (educazione, istruzione, formazione) nei vari settori e nelle fasi in cui si articola. TreeLLLe è un vero e proprio “think tank” che, attraverso un’attività di ricerca, analisi e diffusione degli elaborati offre un servizio all’opinione pubblica, alle forze sociali, alle istituzioni educative e ai decisori pubblici, a livello nazionale e locale. La lettura dei nomi dei suoi collaboratori è preziosa per capire come una certa unanimità di vedute attorno alla scuola sia diventata teoria e prassi. Se leggiamo, per esempio, il numero della rivista dell’aprile 2009 tra i collaboratori della rivista troviamo i nomi di Attilio Oliva, Tullio De Mauro, Giuliano Ferrara, Clotilde Pontecorvo, Dario Missaglia, Fedele Confalonieri e, ci preme farlo notare, Giuseppe Valditara. Ovviamente ci sono moltissime altre personalità che collaborano con la rivista, ma i nomi che abbiamo voluto evidenziare stanno lì a testimoniare come lo scenario configurato per la scuola italiana sia opera estremamente trasversale (da destra a sinistra) da un punto di vista economico, politico, sindacale e culturale, pur con una serie di contraddizioni che inevitabilmente esistono nella realizzazione concreta di tale scenario.

Nel 2008 la riforma Gelmini azzera quasi del tutto i laboratori negli istituti tecnici e professionali e anche nei licei attraverso la riduzione drastica degli insegnanti tecnico pratici (ITP) in organico nelle scuole. Gli indirizzi (sperimentali e non) di licei ed istituti tecnici passeranno da più di 750 a 20.

Il taglio dei laboratori è propedeutico all’introduzione obbligatoria dell’alternanza scuola-lavoro della legge 107 del 2015: se non si può sperimentare dentro scuola con gli organici ITP tagliati obblighiamo alunne ed alunni ad andare a lavorare (il ribaltamento completo della logica delle 150 ore è qui del tutto evidente)

I tentativi che pur ci sono stati dopo l’avvento della scuola media unificata di provare a disegnare quadri di riferimento per la scuola secondaria superiore che vedessero sempre più stringente il rapporto tra l’aspetto culturale e quello di pratica (i cosiddetti “BUS”) e l’idea più volte rilanciata di creare un quinquennio di secondaria dagli 11 ai 16 anni unificata sono definitivamente seppelliti con le riforme Gelmini e Renzi: i laboratori vengono espunti dal vocabolario scolastico e l’attività pratica sussunta direttamente nel linguaggio del lavoro.

La nuova riforma di tecnici e professionali

Arriviamo così al quadro delle due leggi che sono state approvate dal governo Draghi, e che vengono attuate senza ripensamenti dal governo Meloni, che riguardano direttamente istituti tecnici e professionali, ma indirettamente coinvolgeranno l’intero settore della secondaria superiore. Con queste leggi viene ratificato un ulteriore paradigma: le scuole “importanti” quelle che daranno prospettive di lavoro non saranno quelle statali, ma gli ITS Academy. Gli Istituti Tecnici e professionali avranno valenza solo se propedeutici a tale percorso.

Per meglio comprendere il significato della riforma degli Istituti Tecnici e Professionali approvata dal governo Draghi (DL 144 del 23 settembre 2022), dobbiamo pertanto affiancare, all’analisi dei cambiamenti apportati con tale dispositivo, quanto prevede la legge 99 del 15 luglio 2022 (Istituzione del sistema terziario di Istruzione tecnologica superiore – ITS). Anche queste normative sono state perciò approvate consensualmente.

Scuola 4.0 quadro pnrr generale

I provvedimenti citati rappresentano un salto di qualità prevedendo la gestione diretta dei datori di lavoro non più solo delle esperienze lavorative ma dell’intero percorso di studi; tale gestione è sancita negli ITS Academy e prende forma più delineata in tecnici e commerciali. IL DL 144 del 23 settembre 2022 (Aiuti ter – quindi non normativa specifica sulla scuola ed emanato 2 giorni prima del voto) all’art. 26 comma 1 esplicita i motivi che sostanziano il provvedimento: “Al fine di poter adeguare costantemente i curricoli degli Istituti Tecnici alle esigenze in termini di competenze del settore produttivo nazionale…”. E ancora al comma 2d con i Patti educativi 4.0 si configura una gestione diretta dei tecnici e professionali anche per l’utilizzo del personale docente. I programmi scompaiono del tutto per lasciare spazio ad una vaga relazione con le esigenze del territorio (comma 2b).

Tutto l’impianto è molto collegato allo sviluppo degli ITS Academy al punto che a questi Istituti si potrà accedere anche solo dopo un quadriennio della secondaria superiore.

Questa ennesima “riforma” di fatto persegue con estrema chiarezza l’obiettivo di un altro passo avanti nella esautorazione del personale docente dalla gestione collegiale ed “interna” del percorso educativo didattico legandolo invece alle sole esigenze produttive.

Gli ITS Academy vengono istituiti con la legge 99/2022 (sempre governo Draghi!). ‘L’articolato della legge esprime in modo evidente le finalità del legislatore.

All’art. 2 comma 1 si definisce lo scopo che sarà quello di “contribuire in modo sistematico a sostenere le misure per lo sviluppo economico e la competitività del sistema produttivo, colmando progressivamente la mancata corrispondenza tra la domanda e l’offerta di lavoro, che condiziona lo sviluppo delle imprese”.

Gli ITS Academy si costituiscono come Fondazioni con personalità giuridica e organizzano corsi in riferimento alle seguenti aree tecnologiche previste dal DPCM del 25 gennaio 2008:

  • efficienza energetica;
  • mobilità sostenibile;
  • nuove tecnologie della vita;
  • nuove tecnologie per il made in Italy;
  • tecnologie innovative per i beni e le attività culturali;
  • tecnologie della informazione e della comunicazione.

La Fondazione deve prevedere al proprio interno la partecipazione dei seguenti soggetti: un istituto di scuola secondaria superiore; una struttura formativa accreditata dalle regioni; una o più imprese, gruppi, consorzi; una università.

I percorsi formativi devono essere di 4 semestri e 1800 ore di formazione. Ogni ITS può organizzare uno o più corsi. Il Rossellini di Roma, per esempio, ha organizzato per il 2022/23 6 corsi. In ogni corso si possono iscrivere dai 25 ai 30 alunni. Ovviamente, per entrare negli ITS vi è quindi una forte selezione iniziale. I percorsi individuali possono essere flessibili in base al riconoscimento di crediti formativi (forte qui il legame con istituti tecnici e professionali).

Il 60% del personale docente deve provenire dal mondo del lavoro (qui la gestione diretta e pressoché esclusiva dei percorsi didattici si palesa apertamente).

Infine l’art. 9 sull’orientamento affida agli ITS un obiettivo strategico: la predisposizione di “iniziative di orientamento destinate agli studenti degli istituti di scuola secondaria di secondo grado, compresi i licei, e iniziative di informazione alle famiglie sulla missione e sull’offerta formativa professionale degli ITS Academy”.

Il rapporto tra cultura, formazione e realtà economiche assume quindi un valore completamente nuovo con la centralità esclusiva della logica “produttiva” e “valutativa” al punto che, senza alcuna remora, il ministro Valditara ha potuto affermare: “l’educazione al lavoro come fondamentale, che deve essere appresa già dalle elementari”.


* Esecutivo Nazionale Cobas

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