Genova 2001 e il cinema

Citto Maselli*

L’idea di andare a Genova per “documentare” il Genoa social forum nasce all’interno di Rifondazione comunista e in particolare da Stefania Brai e Sergio Bellucci. La proposta iniziale di una iniziativa “di partito” piano piano si allarga verso un’ipotesi politica e culturale più ampia: vengo coinvolto io e viene coinvolto un importante produttore cinematografico, Mauro Berardi, anche lui di Rifondazione. E allora con Stefania e Mauro si mette a punto un progetto che coinvolga gli autori cinematografici, con l’idea da un lato di “registrare” tutto quello che accadeva, a testimonianza e “a tutela” del Movimento, e dall’altro di raccontare con le immagini quel “movimento dei movimenti” nato a Seattle e ancora poco conosciuto.

La risposta di tutto il cinema italiano è stata sorprendente: 55 autori di tutte le generazioni diedero la loro adesione e collaborarono al progetto, 33 riuscirono a venire a Genova per le riprese insieme ad altrettanti direttori della fotografia. 

Sorprendente perlomeno rispetto ai silenzi di oggi, sorprendente per l’autonomia intellettuale e politica (e partitica) che il cinema italiano e gli intellettuali di allora ancora conservavano gelosamente. Aderirono tra i tanti altri Francesca Archibugi, Marco Bellocchio, Guido Chiesa, Cristina e Francesca Comencini, Damiano Damiani, Giuliana Gamba, Roberto Giannarelli, Franco Giraldi, Emidio Greco, Ugo Gregoretti, Wilma Labate, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Mario Martone, Mario Monicelli, Michele Placido, Gillo Pontecorvo, Nino Russo, Ettore Scola, Daniele Segre, Paolo e Vittorio Taviani. Il cinema italiano era a Genova.

290 ore di riprese, tre film

Insieme a Vittorio Agnoletto e al Genoa Social Forum e anche grazie al lavoro della Film Commission di Genova, riuscimmo a coinvolgere tutta la città: tutti i registi e gli operatori furono ospitati nelle case lasciateci a disposizione dai genovesi e noi come gruppo organizzativo e di coordinamento eravamo ospitati in una delle sedi di Genova dell’università americana.

Con Agnoletto organizzammo prima di partire una conferenza stampa – affollatissima – presso la sede della Stampa estera alla quale partecipò l’allora presidente della Rai Roberto Zaccaria, che garantì l’impegno della Rai a mandare in onda il film che ancora doveva nascere. Segno della forza degli intellettuali di allora, e segno di una istituzione pubblica – la Rai – ancora consapevole del suo ruolo di servizio pubblico. Riuscimmo a organizzare durante le giornate di Genova 33 troupe cinematografiche, composte ognuna da un regista, un operatore e un runner (ragazzi di Genova che ci conducevano all’interno di una città per molti di noi sconosciuta). Abbiamo girato 290 ore filmando tutti i giorni e le notti tutto quello che accadeva: le manifestazioni, i dibattiti, la Diaz, gli ospedali, le caserme…

È stata nei fatti a mio parere una grande iniziativa culturale, ma anche e fino in fondo tutta politica non solo perché siamo riusciti a raccontare al mondo quello che era realmente successo con i tre film nati da quelle 290 ore (Un mondodiverso è possibile, trasmesso dalla Rai e uscito in cassetta con l’Espresso in 100.000 copie; Genova per noi, un libro bianco sulle violenze della polizia, e il meraviglioso Carlo Giuliani, ragazzo di Francesca Comencini, che è riuscita a ricostruire dai nostri materiali e insieme ad Haidi Giuliani tutta la giornata di Carlo fino alla sua uccisione); ma anche perché su Genova gran parte della cultura italiana si è schierata, e si è schierata inequivocabilmente dalla parte del Movimento.

Ma da quel lavoro culturale e politico è nata anche un’altra esperienza collettiva che si è chiamata “cinema nel presente” e che si basava sull’idea di un cinema collettivo, militante, che raccontasse le tante realtà che altrimenti non si sarebbero potute conoscere. Con quasi tutti gli stessi autori di Genova sono nati film su Porto Alegre, sui Sem Terra, sulla guerra in Iraq, sulla Palestina, sulla manifestazione dei 3 milioni della Cgil in difesa dei diritti dei lavoratori, e tanti altri.

Come non aderire alle ragioni del “popolo di Seattle”?

Chiudo riportando per intero il comunicato stampa con cui abbiamo “raccontato” al Festival di Venezia del 2001 la nostra esperienza a Genova, a testimonianza della forza della cultura, quando ha la forza di schierarsi:

Abbiamo fatto un film per raccontare quello che è avvenuto di straordinario a Genova nelle giornate del G8. In particolare ci ha animato il desiderio di contribuire a dare voce e volto a chi rappresenta i miliardi di esseri umani cui viene negato il diritto di partecipare alle decisioni immense che riguardano il loro futuro, il futuro del mondo. Ma ci ha animato anche la voglia di capire questo nuovo movimento, il cosiddetto ‘popolo di Seattle’, che è molteplice e difficile, complesso.

Tutti noi siamo andati a Genova per conoscere, capire e raccontare questo nuovo soggetto sociale, culturale e politico. Il nostro desiderio era (è) quello di conoscere e far conoscere queste grandi masse di giovani che giudicano l’attuale sistema capitalistico del tutto inadeguato a gestire questo ‘passaggio di civiltà’ della storia dell’uomo. Abbiamo tutti storie personali diverse,appartenenze politiche e generazionali differenziate, certo. Ma non ci sono dubbi su una cosa che ha espresso molto bene Mario Monicelli in una dichiarazione pubblica resa il 10 luglio in risposta al “Corriere della Sera”:

‘Io sono sempre stato di sinistra, non vedo perché oggi dovrei cambiare idea. Il popolo di Seattle non è comunista, è anticapitalista. Come non aderire alle sue ragioni quando il capitalismo è stata l’ideologia più spietata di questo secolo?’.


* Citto Maselli è regista. A 13 anni ha partecipato alla Resistenza romana nell’Unione studenti italiani. Dopo la Liberazione di Roma è entrato nel Pci a cui è restato iscritto fino al suo scioglimento. Nel 1991 è entrato in Rifondazione Comunista di cui è tuttora militante.


Foto di Giacomo Alessandroni da wikimedia.org

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