I movimenti sociali nel XXI secolo e le loro dinamiche

Cornelia Hildebrandt

L’approccio

I movimenti sociali emergono in contesti storici specifici e si sviluppano lungo linee di faglia sociali entro processi ciclici di costante autotrasformazione.

Si stanno mobilitando attori collettivi i quali, sulla base di un alto livello d’integrazione simbolica e utilizzando forme variabili di organizzazione e di azione, perseguono i loro obiettivi e vogliono realizzare, prevenire o invertire i cambiamenti sociali. Da un lato, sono un’espressione del cambiamento sociale, oltre che un motore, un ausilio o un acceleratore di crescita, e in questo senso possono essere emancipatori, conservatori o reazionari. 

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Questo articolo si concentra sugli odierni movimenti sociali in Europa, tendenti a schierarsi a sinistra lungo le linee sociali di conflitto e che si occupano delle sfide odierne riguardo alla guerra, alla polarizzazione sociale, al degrado ambientale e al cambiamento climatico. 

L’inizio del XX secolo ha plasmato i movimenti liberali, democratici, nazionali, religiosi, i movimenti populisti-conservatori, il movimento operaio, il movimento per la pace, i movimenti giovanili e di riforma degli stili di vita. Questi movimenti rispecchiavano i principali contesti di conflitto sociale tra i centri nazionali e le loro periferie, tra Stato e chiesa per l’egemonia politica e culturale, i conflitti socioeconomici tra capitale e lavoro o tra lo stato sociale e l’economia di libero mercato. Queste modalità di conflitto sono cambiate diverse volte per quanto riguarda il loro significato fondamentale nei conflitti sociali, e per quanto riguarda la loro manifestazione concreta. Inoltre, riguardo alle crisi nello sviluppo capitalistico, sono emerse nuove direttrici di conflitto sociale, che ormai si rafforzano o si sovrappongono a vicenda. In Europa, queste direttrici sono completate nella loro dimensione europea e si combinano con le lotte per modellare l’Unione Europea come uno spazio indipendente di controversie sociopolitiche. 

La linea di conflitto tra centri e periferie può oggi essere descritta come un problema di disparità di prospettive di lavoro e di vita. Ciò allontana le persone e si traduce non solo in processi di alienazione socioeconomica, ma anche socioculturale tra metropoli e regioni periferiche, e genera conflitti tra modi di vita e di cultura, da una parte cosmopoliti e dall’altra tradizionali. In sociologia, questi sono descritti anche come conflitti tra universalismo/cosmopolitismo e particolarismo/comunitarismo (Schröder/Zürn 2019) e si traducono in forme sociali di protesta dove, per esempio, emerge il rischio del declino sociale e socioculturale nelle periferie delle metropoli. 

L’insoddisfazione per questi sviluppi genera forme diffuse di protesta contro l’aumento del costo della vita, il disprezzo per la cultura e per gli stili di vita tradizionali, o per il fallimento dei politici e per il loro coinvolgimento negli scandali di corruzione. Le richieste individuali di questi movimenti di protesta, come nel caso dei “gilet gialli” in Francia, per salari minimi più elevati, per il mantenimento di un sistema pensionistico finanziato dallo stato o per la reintroduzione delle tasse sul patrimonio, sono sostenute dalla sinistra, senza che per questo i movimenti siano di sinistra. 

La trasformazione del conflitto tra Chiesa e Stato, che oggi affronta la questione del ruolo delle religioni nelle società secolari, a fronte di una crescente varietà di religioni e di visioni del mondo, sembra essere di minore importanza per la sinistra. Allo stesso tempo, è proprio questa modalità del conflitto a determinare la possibilità della divisione all’interno della sinistra fortemente laica quando si tratta dell’autodeterminazione libera dalla religione e, allo stesso tempo, contro il razzismo antimusulmano. Dopotutto, il dibattito riguarda la formazione delle società plurali di oggi – un campo del conflitto che è sottovalutato dalla sinistra fortemente laica in Europa, a causa delle sue pretese universali.

Movimento operaio, lotte sindacali e sindacati

Fino ad oggi, il conflitto tra capitale e lavoro rimane fondamentale. Fin dalla nascita del movimento operaio, la sinistra si è considerata come rappresentante degli interessi della classe operaia, come un movimento sociale per il miglioramento delle sue condizioni di lavoro e di vita, fino al superamento del capitalismo e di tutte le forme di sfruttamento e di oppressione.  

Tuttavia, se si confronta il movimento operaio del XIX/XX secolo con quello di oggi, risulta evidente che non sia lo stesso. Facendo un confronto della situazione del XX secolo con quella di oggi, avendo come retroterra le catene di produzione globalizzate, dello sviluppo delle società di servizi con una quota significativamente decrescente della produzione industriale e dell’agricoltura, così come di una crescente digitalizzazione, emerge un quadro mutato della classe operaia e delle sue forme di organizzazione. Oggi, oltre il 60% della forza-lavoro mondiale lavora nel settore informale, circa il 25% in Europa (Ilo 2018). La classe operaia è attraversata da varie divisioni e frammentazioni per quanto riguarda la sua posizione nel processo di produzione e di riproduzione della società, i suoi rapporti di lavoro e la sua posizione nella divisione internazionale del lavoro. 

La classe operaia oggi è più femminile, più migrante e più frammentata al punto di avere rapporti di lavoro completamente diversi nella stessa azienda. In Germania, per esempio, il proletariato industriale classico comprende il 16-18% della forza-lavoro. Tuttavia, se a questo si aggiunge il lavoro manuale nel commercio al dettaglio, nelle imprese di logistica, negli ospedali, come infermiere e badanti, questa quota della classe operaia femminile è tra il 40 e il 60%, a seconda del settore informale, nel quale vengono impiegati soprattutto lavoratori migranti. Solo in Germania ci sono circa 3 milioni di lavoratori migranti. Circa 2 milioni di bulgari lavorano come lavoratori migranti in Europa, in condizioni precarie come avviene nell’industria alimentare, in particolare quella della carne. 

Ma ciò ha anche mutato le condizioni per le lotte del movimento operaio, le quali lotte si esprimono soprattutto come rivendicazioni sindacali e come proteste contro la distruzione radicale delle basi dello stato sociale e dei servizi sociali. 

Comunque il potere dei sindacati è diventato meno importante. Il livello di organizzazione sindacale nei 28 paesi dell’UE varia da circa il 70% in Finlandia, Svezia e Danimarca all’8% in Francia. Nella maggior parte dei paesi, il numero di membri del sindacato è diminuito negli ultimi anni in rapporto alla forza lavorativa. (Etuc, 2016). Dove è aumentato, è nondimeno rimasto indietro rispetto al crescente numero di persone che lavorano. 

Nella maggior parte dei paesi europei, esistono anche diverse confederazioni sindacali in competizione tra loro, basate su diversi orientamenti politici. Le loro lotte mirano ad ottenere salari più alti, contro il deterioramento delle condizioni di lavoro, contro la chiusura o la delocalizzazione delle imprese. Sono soprattutto i sindacati di sinistra a indirizzare le lotte contro il deterioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Tuttavia, tutte queste lotte sono confinate localmente, legate alle loro rispettive aziende o alla regione di appartenenza. Nel migliore dei casi si svolgono scioperi e lotte a livello nazionale.

Lotte per la partecipazione sociale e politica e contro la discriminazione

Nel corso del culmine delle proteste contro i tagli sociali radicali nel 2010 e nel 2011 – il secondo grande “ciclo di lotta” in Europa occidentale dal 1968 – sono stati indetti 36 scioperi generali. Ma la maggior parte di queste proteste a causa della crisi sono rimaste a livello nazionale e hanno diretto le loro richieste ai governi degli stati nazionali (Rauh/Zürn 2013). Questo significa che i tentativi di organizzare lotte transnazionali del movimento operaio sono risultati marginali, con poche eccezioni. 

Questo vale anche per le lotte degli ultimi quattro anni. In Italia, per esempio, i sindacati Cgil e Uil hanno indetto uno sciopero generale nel 2021 per protestare contro la prevista riforma fiscale e la mancanza di investimenti nella sanità. Ad Atene, lo sciopero generale dei sindacati era diretto contro un cambiamento delle leggi sul lavoro che potrebbe aumentare il numero di ore di straordinario – a seconda della professione –  dal 30% al 50%. Già nel 2018 migliaia di persone hanno protestato a Vienna contro l’introduzione della giornata di 12 ore. In Francia, lo sciopero generale dei sindacati francesi nel 2019 era diretto contro la riforma fiscale. 

Tutte queste lotte hanno tra loro un qualche rapporto, in una certa misura, ma sono principalmente organizzate a livello nazionale, anche se le condizioni del quadro economico e sociale sono state a lungo dettate dall’Europa. Questo vale anche per le lotte contro la privatizzazione delle basi per garantire i bisogni fondamentali della vita. Tuttavia, soprattutto nelle lotte per l’acqua, per gli alloggi o contro gli sfratti, è possibile mettere in rete queste lotte in modo più forte a livello europeo, al di là delle singole città e dei singoli comuni.

Questo è ciò che sostengono le reti europee e internazionali contro la privatizzazione dell’acqua e per un ritorno alla municipalizzazione dell’industria idrica, sostenute anche dai sindacati a livello europeo. L’iniziativa dei cittadini europei “Right2Water” ha raccolto con successo più di 1.650.000 firme in tutta l’UE, cosa che costringe la Commissione UE a occuparsi di questo problema. Collegamenti simili possono essere visti nel settore degli alloggi. Anche qui si sta sviluppando l’intreccio delle campagne municipali e delle campagne europee fino alle iniziative parlamentari. Questo include anche la lotta contro l’appropriazione indebita di alloggi nelle grandi città europee da parte di Airbnb. Con l’aiuto della più ampia mobilitazione possibile, il diritto comunitario dovrebbe essere cambiato di conseguenza. 

Le donne sono presenti in tutte queste lotte. In occasione della Giornata internazionale della donna nel 2017 e nel 2018, esse hanno organizzato in modo indipendente uno sciopero globale delle donne in oltre 50 paesi. Anche le proteste di migliaia di donne a Varsavia e in altre città polacche nel 2021 contro l’inasprimento delle leggi sull’aborto sono state impressionanti. Sono proprio i movimenti delle donne – come attori indipendenti – che allo stesso tempo formano il ponte tra i movimenti e le forme di protesta che contrastano varie forme di discriminazione. Le lotte contro la razza, il genere e la classe e contro la destra politica sono considerate unite da molto tempo. Eppure si sono sempre disgregate nella pratica.

I momenti di protesta comunitaria includono anche le proteste contro gli sviluppi antidemocratici, populisti e dell’estrema destra. Nel 2017, ci sono state delle manifestazioni del giovedì contro il governo conservatore di estrema destra formato in Austria. Nel 2019, il Movimento delle Sardine è emerso per un breve momento in Italia per protestare contro le crescenti tendenze politiche ed estremiste di destra in Italia, con manifestazioni pacifiche regolarmente organizzate. Ma non è solo la destra politica che sta distruggendo le basi democratiche. Soprattutto nei paesi dell’Europa centro-orientale, si stanno formando sempre più manifestazioni di massa contro le élite corrotte dei loro paesi, come in Bulgaria, Romania e Slovacchia. 

Nel 2020, dopo la morte violenta di George Floyd, manifestazioni di protesta hanno avuto luogo anche in Europa, soprattutto in Italia, Danimarca e Germania. In termini di dimensioni della popolazione, la Danimarca ha avuto la più alta mobilitazione. Ci sono state anche proteste minori in Polonia. Anche in questo caso, sono state soprattutto le giovani donne ad essere coinvolte nell’organizzazione di queste manifestazioni. In Germania, Italia e Danimarca, le persone di colore hanno anche formato il nucleo organizzativo di queste proteste, in cui una generazione completamente nuova di attivisti si è politicizzata nel mezzo della pandemia.

Sul ruolo speciale del movimento ambientalista e climatico

Alla fine degli anni ’70, un nuovo fronte di conflitto politico-culturale è emerso nel contesto del conflitto socioeconomico: i sistemi di valori libertari e autoritari. I movimenti ecologisti e per la protezione dell’ambiente e i movimenti contro l’energia nucleare erano espressioni dirette di questa quadro. Per anni sono riusciti a imporre i loro problemi nell’agenda politica e a chiedere la necessità di un cambiamento sociale. Di conseguenza, le questioni ecologiche sono diventate parte del programma principale del centro-sinistra, almeno in Francia e in Germania, e il campo di accese dispute con la destra politica. A causa del riscaldamento globale, un nuovo movimento è apparso sulla scena. È il movimento Fridays for Future. 

Seguendo l’esempio della studentessa svedese Greta Thunberg, nel marzo 2019 si è formato per la prima volta uno sciopero del clima organizzato a livello globale, al quale hanno partecipato quasi 1,8 milioni di persone. Su base quasi settimanale, alunni e studenti hanno protestato soprattutto in Belgio, Germania, Italia, Austria e Svizzera, per misure di protezione del clima, complete, rapide ed efficienti affinché si possano conseguire gli obiettivi della Conferenza mondiale sul clima, vale a dire di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. La giovane generazione, socializzata in queste proteste, da una parte, ha  sperimentato l’effetto delle loro proteste di massa come un un importante evento mediatico e, allo stesso tempo, ha ottenuto di essere vista come protagonista da prendere sul serio, sperimentando al contempo la loro impotenza a cambiare effettivamente la politica. Se si svilupperanno, come si intravede in Germania, come parte di un movimento di pace globale contro la guerra in Ucraina e contro gli armamenti e la deterrenza nucleare rimane questione aperta. 

Cosa significa questo per la sinistra radicale?

Se si osserva il quadro di tutti questi diversi movimenti sociali, la loro forma di movimento rimane ciclica e legata allo spazio e al tempo. Manca loro il momento unificante dei Forum Sociali. Questi ultimi dovrebbero reiventarsi in modo nuovo. La questione è come e quale posto debbano e possano occupare oggi in questo quadro i partiti della sinistra radicale. La base per una nuova forma di comunanza potrebbe essere costituita da eventi come Cop26 2021 a Glasgow, cioè luoghi in cui le alternative possano essere discusse insieme. 

Per questo, però, i partiti della sinistra radicale, compreso il Partito della Sinistra Europea, devono sviluppare un’offerta politica indipendente. Indubbiamente, non godono attualmente di un successo sufficiente, come attori politici attraenti nel raccogliere gli impulsi dei movimenti sociali e dei sindacati, in grado di  tradurli congiuntamente in programmi e in progetti politici ai fini di una trasformazione socio-ecologica.

Bibliografia

Etuc (2016). In tutta Europa. http://de.worker-participation.eu/Nationale-Arbeitsbeziehungen/Quer-durch-Europa

Ilo 2018: Donne e uomini nell’economia informale: un quadro statistico. Terza edizione. https://www.ilo.org/global/publications/books/WCMS_626831/lang–de/index.htm

Rauh, Christian/Zürn, Michael (2013), Sulla politicizzazione dell’UE nella crisi, http://www.uni-leipzig.de/~sozio/staff/m26/content/documents/735/Rauh,_Zuern.pdf (21.11.13).

Schröder, Wolfgang/Zürn, Michael (2019). Cosmopolitismo, comunitarismo e democrazia. https://edoc.bbaw.de/opus4-bbaw/frontdoor/deliver/index/docId/3152/file/ BBAW_FB41_Merkel_Zuern_Kosmopolitismus.pdf.

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