I sindacati sono anche una questione di immaginario
Dmitrij Palagi*
Nell’anno scolastico 2022-2023 ho avuto la fortuna di iniziare un’esperienza di docenza in un Centro di Formazione Professionale (CFP), in materia di imprenditorialità e lavoro.
Per parlare di contratti, salari, diritti e doveri ci sono volute diverse lezioni. Il sistema normativo del Paese è costruito sul ruolo delle organizzazioni sindacali, la cui funzione è però difficile da spiegare.
Mancando il senso della necessità di una dimensione collettiva per tutelare i propri interessi, la coscienza di appartenere a una classe sociale, c’è anche un distacco sul piano dell’immaginario.
Si possono proiettare le nozioni, ma il significato delle parole diventa una sfida comunicativa e formativa.
Nei CFP si passano alcune settimane nelle aziende, quindi si sviluppa presto la consapevolezza di avere colleghe e colleghi. Solo nei casi di grandi imprese, è facile intuire l’esistenza di strumenti utili per non esistere solo sul piano individuale (per esempio incrociando una bacheca sindacale, o sentendo qualche conversazione a mensa su una trattativa in corso).
La via del salario
Una via da percorrere parte dalla questione economica. Proiettare una foto con delle banconote emoziona molto l’aula. Che siano dollari o euro è poco rilevante, anche se è interessante registrare reazioni più fredde in caso di altre valute.
Come si accede a quella ricchezza? Basta impegnarsi molto e in cambio si vivrà bene? Dipende. Da cosa? Da quanto pagano. E chi lo decide quanto si paga un lavoro?
Non c’è un articolo specifico del Codice Civile dedicato a questo, però al suo interno si esplicita come la retribuzione sia il corrispettivo per una prestazione, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione di chi dirige.
Ci sarebbe un articolo 36 della Costituzione, doloroso da rileggere per chi riceve salari da fame. “La retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, garantendo a chi lavora un’esistenza libera e dignitosa per sé e la sua famiglia”.
Si presuppone che il tempo di vita e le energie messe a disposizione della società ricevano un compenso economico in cambio. Non sempre. La cura dei familiari spesso è gratuita, così come il volontariato e gli stage.
“Pensi sia giusto non aver ricevuto nessun pagamento per lo stage?”. Le risposte a questa domanda aperta sono diverse tra loro. Alla fine, però, prevale la consapevolezza che qualche euro avrebbe fatto comodo. C’è chi rimane in silenzio, pensando che accettare un’ingiustizia è inevitabile, per poter stare meglio domani.
A questo punto della lezione, arriva una parola sempre sconosciuta: sinallagma, con cui si indica un’interdipendenza, una reciprocità. Che non è perfetta. Il salario non esaurisce i doveri dell’impresa nei confronti del lavoratore e della lavoratrice. Non si vendono il proprio tempo, il proprio corpo e le proprie capacità intellettuali in cambio dei soli soldi corrispondenti al tempo lavorato. Esistono la malattia, le ferie, i permessi. Non solo, ci sono anche altri diritti. Perché? Perché si presuppone che la classe lavoratrice sia il soggetto debole nel rapporto di lavoro.
Chi dirige l’azienda ha il dovere di organizzare le attività e dare indicazioni, molto simili a degli ordini. Servono tutele per chi le riceve, perché non si crei un clima di ricatto. È però pensabile che individualmente si trovino il coraggio, le conoscenze, le energie e le possibilità per opporsi, in caso di ingiustizie?
Una delle nozioni a cui fanno fatica a credere, in classe, è l’incompatibilità tra ferie e malattia. Di norma la malattia interrompe le ferie. Una frase semplice, su cui si registra una sorpresa indicativa della cultura in cui si forma l’immaginario delle nuove generazioni.
Passato e futuro
Lo sciopero generale è un mito? Per come lo racconta chi lo ha vissuto nel secolo scorso sì. Ne ho fatti molti, anche più di uno in un mese, quando ad autunno venivano proclamati da diverse organizzazioni sindacali a distanza di poche settimane. Il Collettivo di Fabbrica GKN di Campi Bisenzio (alle porte di Firenze), nell’estate del 2021 ha iniziato la sua lotta contro centinaia di licenziamenti improvvisi, convocando manifestazioni con centinaia di migliaia di partecipanti. Dal primo momento in cui ha chiesto lo sciopero generale ha avuto chiarissima la necessità di: evitare ritualità scollegate dalle necessità delle lavoratrici e dei lavoratori in condizioni di maggiore sfruttamento e precariato. È quindi uno strumento da abbandonare? Assolutamente no. Si tratta solo di costruire uno spazio di convergenza in cui i soggetti politici e sindacali siano consapevoli di quanto lavoro si debba fare per ridare significato a categorie e parole talvolta date erroneamente per scontate.
Unione Popolare sta promuovendo la campagna per un salario minimo a 10 euro, da prima che il tema diventasse centrale all’interno della dialettica parlamentare.
Se però chi inizia a lavorare non si cura di leggere il contratto, magari perché la cosa più importante è capire quanto arriverà a fine mese, per far fronte all’affitto e alle bollette, o alle rate della macchina, difficilmente si capirà da dove nasce la quantificazione del compenso.
L’Articolo 36 della Costituzione è precettivo. Non richiede altre norme per essere applicato. Il lavoro non ha solo una funzione strumentale, di scambio tra prestazione e retribuzione, ma anche sociale. In Italia chi lavora deve avere garantita una vita degna, per sé e la sua famiglia.
La presunzione di adeguatezza deriva dai contratti collettivi, che vengono sottoscritti dalle organizzazioni sindacali per la “parte debole” del rapporto di lavoro. I loro successi, in quella sede, derivano da quanto pesano nella società, dai rapporti di forza, oltre che dalle loro capacità.
Non è abbastanza per spiegare cosa sono i sindacati a chi si trova dalle parti dei 18 anni, ma almeno decostruisce alcune immagini considerate eterne ed immutabili (“quanto mi paga lo decide chi mi dà i soldi”). Può permettere anche di iniziare a spiegare perché può essere utile scioperare.
Una vita degna
Chi stabilisce cos’è una vita degna? A settembre 2023 uno studio della CISL ha confermato una condizione nota. “Se prendiamo come riferimento il reddito medio (lordo) e lo confrontiamo con i costi annuali casa e vita, la città di Firenze risulta inaccessibile, in media, dai 15 ai 34”. Non difficile. Inaccessibile. Chi scrive questo articolo è sul limite dei 34 anni, ma in qualche modo vive da solo e in affitto a Firenze da 9 anni. Quello studio, nonostante una militanza politica iniziata a 18 anni, ha regalato sensazioni controverse. Da una parte la falsa coscienza di appartenere a una classe privilegiata, dall’altra qualche senso di colpa per l’aiuto economico che indicativamente una volta l’anno tocca chiedere ai genitori, per far fronte a qualche spesa imprevista. Quindi a Firenze non viene applicata la Costituzione? In tante sue parti la Costituzione è una promessa ancora non realizzata, in tutto il Paese.
Partire dalla condizione soggettiva non sempre aiuta, ma in una fase come quella che stiamo vivendo, di crisi profonda delle organizzazioni collettive, può essere uno strumento.
Lottare implica alcune scelte, in alcuni casi scelte e rinunce. Individualmente, nello stabilimento ex GKN di Campi Bisenzio, le persone avrebbero potuto sperare nella strada degli ammortizzatori sociali e di una nuova industrializzazione pagata almeno in parte con risorse pubbliche, a favore dei profitti di una nuova proprietà privata. Hanno invece scelto di affidarsi al territorio, di declinare un noi in modo plurale, al ritmo di un tamburo e di un canto con ritmo da stadio. Perché da sole e da soli non si migliora la società in cui si vive. Si può solo sperare di evitare il peggioramento della propria esistenza, ma per un miglioramento occorrono i noi.
Decolonizzare l’immaginario
Nella colonizzazione dell’immaginario di cui ha scritto Valerio Evangelisti c’è anche questo. L’idea che se ti ammali è colpa tua e quindi potrebbe essere giusto essere pagato solo quando rientrerai, o non interrompere le ferie. La sensazione di dover rinunciare a una retribuzione, per accedere a tempi migliori. Sapere che se a fine mese non rimane neanche un euro non è per la pizza mangiata durante una sera in compagnia, ma perché il sistema rende inaccessibile la tua città.
Come si risponde a tutto questo? Le conquiste della Resistenza e delle lotte del ‘900 si sono tradotte, parzialmente, in un impianto normativo che sta lì a dimostrare che le classi lavoratrici hanno bisogno di lottare, che i loro interessi non sono quelle delle grandi imprese.
Tra i compiti che spettano alle comuniste e ai comunisti c’è anche quello culturale, con cui ridare significato a parole che chi governa prova a svuotare. Ricordare quanto i conflitti siano fondamentali, quanto organizzarsi nei conflitti sia decisivo.
Nel mondo della letteratura c’è un importante lavoro, da ormai alcuni anni. Basta pensare alle opere di Alberto Prunetti e Simona Baldanzi, per citare solo due nomi, insieme all’esperienza del Festival Internazionale della Letteratura Working Class, che non a caso si è tenuto proprio negli spazi ex GKN di Campi Bisenzio.
Sarebbe utile ripensare il partito anche come strumento con cui portare avanti efficaci metodi di inchiesta, in un percorso che tiene fortemente legate teoria e prassi, studio e pratiche sociali, creando nuovi spazi di confronto, come è anche questa rivista. Sui territori ci sono tante esperienze da intercettare e tante necessità a cui tentare di dare ascolto, per iniziare a scrivere nuove risposte comuni. Aiuterebbe anche a rilanciare la centralità del sindacato nei luoghi di lavoro, anche in quelli precari, frammentati e dove più difficilmente si sviluppa coscienza di sé e della propria classe di appartenenza.
* Dmitrij Palagi è responsabile cultura e formazione in Segreteria nazionale PRC/SE, Consigliere comunale a Firenze nel gruppo Sinistra Progetto Comune e docente CFP