Il Sud di fronte al riscaldamento climatico: rischi e opportunità

Piero Bevilacqua*

L’agricoltura ritorna al futuro

C’è un settore dell’economia contemporanea, all’interno del quale da tempo si vanno verificando fenomeni di controtendenza destinati a prefigurare, a livello mondiale, nuovi modi di consumo e di produzione: è l’agricoltura, la più antica forma di produzione di beni. Una controtendenza paradossale, perché mentre da un lato, proprio tale ambito, nelle sue forme capitalistiche, (monoculture industriali e allevamenti intensivi) costituisce un agente di grave alterazione ambientale (desertificazione dei suoli, emissione di gas climalteranti, consumi ingenti di acqua, inquinamento, ecc) e senza qui considerare la condizione di semi-schiavitù a cui spesso è ridotta la manodopera bracciantile immigrata1, da un altro lato esso mostra forme alternative di uso della terra e delle risorse naturali, destinate non solo a fondare un nuovo rapporto con la natura, ma anche a incidere sui rapporti sociali e sulla organizzazione della società locale.

Per la verità già da tempo quel po’ di pensiero riformatore maturato in Europa negli ultimi decenni ha cominciato a intravedere nell’agricoltura marginale e tradizionale, non più un semplice settore di produzione di merci, ma il centro erogatore di una molteplicità di servizi.

La cosiddetta “azienda agricola multifunzionale”, infatti, si è venuta configurando come luogo strategico per proteggere il suolo dai processi erosivi, per conservare il paesaggio tradizionale e sottrarlo alla violenta omologazione delle monoculture industriali, per tutelare il cibo e le cucine tradizionali, per organizzare nuove forme di turismo e di godimento del tempo liberato. Ma oggi, di fronte all’accelerazione drammaticamente evidente del riscaldamento climatico, in varie parti del mondo l’agricoltura alternativa si presenta come l’ambito più consapevole delle sfide che oggi si pongono a qualunque attività produttiva. Essa si dà il nome di agroecologia e rappresenta il primo ambito economico che esprime già nel proprio nome la consapevolezza che ogni attività produttiva si svolge all’interno di un ecosistema, locale e universale, che essa consuma natura e altera equilibri naturali ecosistemici2.

Ebbene, noi oggi possiamo cominciare a indicare le possibilità che tale modello di agricoltura è in grado di svolgere nel Mezzogiorno d’Italia, sia sotto il profilo della protezione ambientale che di produttivo. Intanto ricordiamo che da anni, anche in queste aree, è in corso un processo di “desertificazione” dei suoli dovuto allo sfruttamento chimico-industriale della terra e alle prolungate siccità dipendenti dal caos climatico3. Mentre proprio la cura speciale del suolo è alla base dell’agroecologia, forte, tra l’altro, della consapevolezza che proprio il suolo, dopo i mari e gli oceani, costituisce il più grande deposito di carbonio del pianeta4. È un patrimonio da non disperdere nell’atmosfera, in forma di CO2, che impone modi nuovi e insieme tradizionali di lavorare la terra e di concepire il ciclo agricolo.

Diventa necessario ritornare all’accoppiamento di agricoltura e allevamento animale per realizzare una attività produttiva circolare – come in parte avviene oggi, nell’agricoltura biologica e soprattutto biodinamica – senza ricorrere ai fertilizzanti chimici per conservare la fertilità della terra5.

Ma uno dei pilastri dell’agroecologia è la cura della biodiversità, l’immissione di piante diverse all’interno del ciclo produttivo sia per difesa contro i parassiti e le malattie fungine, sia per avere colture che reagiscono diversamente agli stress di un clima ormai sconvolto. Tale varietà non solo conserva e valorizza un patrimonio botanico e genetico che l’economia capitalistica tende a emarginare e distruggere per le sue intime logiche produttivistiche, ma ha anche effetti sulla salute del suolo, sulla limitazione del consumo di acqua, senza dire che è alla base di una alimentazione ricca e più varia e dunque più salutare.

I vantaggi di partenza del Sud

Ora è noto che il Sud, per le caratteristiche di clima di cui gode, ha dei vantaggi di partenza nella possibilità di praticare l’agroecologia. La straordinaria biodiversità agricola acclimatata storicamente nel suo habitat6 gli offre scenari di grandi opportunità anche a dispetto dei mutamenti climatici in atto e per certi aspetti, paradossalmente, grazie ad essi. Si pensi a quanto accade da tempo in Sicilia, Sardegna e Calabria. Le piante tropicali da frutto, le uniche che dall’America Latina non si erano potute acclimatare nel nostro Mezzogiorno all’indomani della conquista del Nuovo Mondo, ora si vanno estendendo nelle campagne di quelle regioni lungo le aree costiere a clima ormai tropicale. Così i frutti del Mango, dell’Avocado, dell’Annona, ecc., un tempo presenti sul mercato solo grazie all’importazione dai paesi originari, ora arrivano sulle tavole del consumatore meridionale a km 0. Nelle regioni del Sud queste nuove piante, che si vengono ad aggiungere a quelle tradizionali, consentono di trasferire queste ultime più in alto, in aree dove le temperature invernali limitavano in passato le produzioni e così di trapiantare nuova agricoltura nelle aree interne: pensiamo agli ulivi, alle piante da frutto, agli ortaggi, oltre che al piccolo allevamento.

Qui, intorno ad aziende di piccola scala, si possono ricostituire economie legate al territorio, che hanno un rapporto diretto con i consumatori, e si possono ricomporre progressivamente le comunità in modo nuovo, ma ripristinando anche caratteri antichi che un tempo caratterizzavano queste terre. Nei borghi, nei paesi, nelle cittadine di queste zone si possono ancora sperimentare ritmi e stili di vita ormai impossibili nelle città. Vivere la temporalità di altre epoche dentro la modernità.

La leva per ripopolare le aree interne

A quest’ultimo proposito torno ancora una volta a sottolineare che per il recupero di queste vaste aree dell’Italia montana e alto-collinare, necessario per salvare abitati, paesi e borghi, dall’abbandono e per evitare l’ulteriore intasamento demografico di aree costiere, valli e pianure, non c’è altra strada che l’impianto di economie stabili in grado di fornire reddito alle famiglie che le abitano. La presenza umana in questi spazi assume sempre più un ruolo prezioso che viene generalmente ignorato. Nelle aree di altura, nei boschi montani e collinari, ha origine la formazione delle acque che vengono utilizzate e sperperate in pianura.

È la copertura vegetale di queste cime che consente all’acqua delle piogge e delle nevi di percolare all’interno del suolo e di alimentare sorgenti, torrenti e fiumi. Senza di essa le acque erodono il terreno spogliato e lo trascinano rapidamente a valle in forma di erosione e frane. Anche per tale ragione gli incendi estivi, come quelli devastanti di questa funesta estate, assumono un carattere distruttivo particolare che non investe solo le essenze boschive, la biodiversità, gli animali selvatici e di allevamento. La carbonizzazione del suolo, eredità di tanta distruzione, non solo significa dunque erosione e frane alle prime piogge, ma perdita incalcolabile di risorse idriche.

Tale svolta, tale “riconversione ecologica” (è davvero mirabolante osservare come nei programmi governativi il territorio non sia presente se non come supporto neutro per infrastrutture) tuttavia si può ottenere solo se si concepisce questo piano economico come un vasto disegno politico e ambientale. I soggetti chiamati a ripopolare terre e boschi in abbandono, i nostri giovani e i tanti immigrati organizzabili in cooperative, devono essere aiutati a concepire l’impresa come una vasta opera di rivitalizzazione degli habitat, un compito di grande portata ecologica.

Naturalmente, per brevità, qui non può neppure essere accennata la questione fondamentale della Politica Agricola Comunitaria (PAC) che continua a finanziare l’agricoltura capitalistica, responsabile degli squilibri ambientali che conosciamo ed elargisce briciole all’agricoltura contadina e biologica. Oggi occorrerebbe rivendicare un reddito europeo di base per chi svolge attività produttiva nelle aree interne, perché la sua stessa presenza sulla terra rappresenta un presidio per la difesa di boschi, suoli, acque. Ma occorre pensare anche alle nuove opportunità economiche che l’agricoltura, sempre più accompagnata dalla ricerca scientifica, e seguita dalla trasformazione artigianale e industriale dei suoi prodotti, è in grado di garantire. La possibilità che il Sud d’Italia, al centro della regione mediterranea, con la sua straordinaria biodiversità e varietà agricola, ha oggi di allargare la base della propria agroindustria non è mai stata così ampia. E ricordiamo che l’agroindustria è la “seconda manifattura italiana”, il pilastro alimentare del made in Italy.

Negli ultimi anni ai tradizionali prodotti destinati alla cucina e all’alimentazione si sono infatti aggiunti le piante officinali o da frutto destinati alla farmacopea, alla cosmesi biologica, alle diete macrobiotiche7. È noto il successo di una pianta come l’aloe, entrata ormai in svariate forme nella cosmesi e nei prodotti farmaceutici, o come il melograno. Ma ormai canapa, lino, sesamo, spirulina e tante altre essenze aromatiche o officinali, alghe coltivate, ecc., grazie alle loro trasformazioni industriali, cominciano a costituire una forma d’avanguardia di piccola industrializzazione a basso o nessuno impatto ambientale, che reclama ricerca scientifica, crea ricchezza e occupazione di qualità.


1 Per un quadro generale, G. Avallone, Sfruttamento e resistenze. Migrazioni e agricoltura in Europa, Italia, Piana del sele. Ombre corte, Verona 2017, P. Bevilacqua, Il cibo e la terra. Agricoltura, ambiente e salute negli scenari del nuovo millennio, Donzelli Roma, 2018, p. 15

2 V.Shiva e A. Leu, Agroecologia e crisi climatica. Le soluzioni sostenibili per affrontare il fallimento dell’agroindustria e diffondere una nuova forma di resilienza, Terra Nuova edizioni, Firenze 2019; M A. Altieri e altri, Agroecologia. Una via percorribile per un pianeta in crisi, Ed agricole Milano 2020, p.271

3 N. Colonna, E. Guidoboni, La desertificazione nel Mezzogiorno d’Italia: elementi di definizione, in P. Bevilacqua e G. Corona (a cura di) Ambiente e risorse nel Mezzogiorno contemporaneo, Donzelli Roma 2000, p. 275 e ss.; P. Tino, Le radici della vita. Storia della fertilità della terra nel Mezzogior- no (secoli XIX-XX) Prefazione di P. Bevilacqua, Rubbettino Soveria Mannelli, 2010

4 Shiva e Leu, Agroecologia e crisi climatica, p. 34

5 Oggi con circa 2 milioni di ettari l’Italia è primi posti in UE per superficie coltivata con metodi bio- logici. Nel 2020 ha venduto prodotti per oltre 4 mi- liardi di euro. Siamo i secondi esportatori al mondo dopo gli USA, che ci distanziano di poco (2.981mln di euro contro i nostri 2.619) (Osservatorio Sana 2020, Prospettive di mercato e ruolo per il made in Italy, A cura di Nomisma)

6 P. Bevilacqua, Felicità d’Italia. Paesaggio, arte, musica, cibo, Laterza Roma-Bari 2017, p.22 e ss.

7 Si veda l’ottima tesi di Dottorato, consultabile in rete, di G.. Sarlo. La filiera delle piante officinali in Italia, Università di Palermo 2015, che si limita a un numero significativo ma ristretto di piante, mo- strando quanto l’Italia sia indietro rispetto a Francia, Polonia, Bulgaria.,


* Piero Bevilacqua, già docente di storia contemporanea alla Sapienza di Roma, si è occupato di storia del Mezzogiorno, dell’agricoltura italiana e internazionale, del territorio e di storia ambientale. Ha scritto diversi saggi sul capitalismo del nstro tempo per Donzelli, Laterza e Castelvecchi. Ha pubblicato romanzi e testi teatrali di cui si ricorda l’ultimo, Illustri fantasmi nel castello di Tocqueville, Castelvecchi 2021


Immagine da stories.cwrdiversity.org

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