La crisi climatica si supera solo con la solidarietà

Mariagrazia Midulla

Quando Paolo Ferrero mi ha chiesto questo articolo, mi sono venute in mente molte cose su cui avrei potenzialmente potuto deludere i lettori di questa rivista; non solo per il fatto che come WWF non siamo schierati politicamente, ma anche perché le radici storiche della sinistra ortodossa risalgono in fondo alla rivoluzione industriale e ai rapporti di lavoro resi possibili dall’uso dei combustibili fossili. Il cambiamento necessario per un mondo modellato sulle fonti rinnovabili non è poi così semplice da accettare, per alcuni. Per di più, la globalizzazione ha portato enormi problemi, però per chi affronta i problemi globali, le istituzioni multilaterali, vale a dire la capacità dei governi di operare, cooperare e assumere responsabilità collettive, sono la base della possibilità di affrontare tali problemi. Forse in passato l’approccio poteva anche essere nazionale, legato a direttrici comuni e applicazione nazionale, ma con questioni come la crisi climatica, quello che fai a casa tua, o se non fai nulla a casa tua, ha una ricaduta anche sulla mia stessa capacità di adattamento e resilienza. Detto en passant, l’Italia è uno dei Paesi che maggiormente dovrebbe preoccuparsi sia di quel che fa in casa propria, sia di quello che fanno gli altri, e non solo per usarlo come alibi, visto che il Mediterraneo è una delle regioni del mondo maggiormente a rischio. D’altro canto, recuperare la visione globale affrontando i problemi locali è forse il modo giusto non solo per seguire lo slogan storico dell’ambientalismo (“agire localmente, pensare globalmente”), ma anche per ritrovare una visione solidale.

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La crisi climatica

Il clima globale del nostro pianeta sta subendo, in modo sempre più evidente e rapido, un cambiamento che gli scienziati ormai definiscono “human made”, cioè provocato dalle attività umane. Rispetto al ciclo del carbonio naturale, infatti, la specie umana, bruciando i combustibili fossili, sta reimmettendo come CO2 nell’atmosfera gli enormi giacimenti organici sotterranei stoccati in milioni di anni dai processi naturali. Anche il cambio d’uso del territorio e la deforestazione contribuiscono all’aumento di concentrazione della CO2 nell’atmosfera, che ha quasi raggiunto le 420 parti per milione, un livello che il pianeta non vedeva da milioni e milioni di anni, quando la Terra era ben diversa da quella che conosciamo come homo sapiens; non sappiamo se il nuovo Pianeta nel quale ci stiamo avventurando sarà in grado di supportare le nostre società, se si supererà un aumento della temperatura media globale di oltre 1,5°C rispetto all’era pre-industriale. Rispetto a quel periodo, la concentrazione di CO2 è aumentata del 40%, segno che lo sviluppo imperniato sui combustibili fossili, che ha dato maggiore benessere ai paesi più industrializzati per alcune generazioni, rischia di sconvolgere la vita di tutti i popoli per le generazioni attuali e quelle future. Se gli effetti del cambiamento climatico riguardano tutti, però, essi impattano maggiormente sui paesi più poveri e sulle popolazioni più vulnerabili. Coloro che meno hanno beneficiato del benessere economico, ne subiscono maggiormente le conseguenze, avendo strutture e infrastrutture più fragili; anche nei paesi sviluppati e nelle economie emergenti, gli strati meno abbienti e in condizioni di vita precaria della popolazione soffrono e rischiano di più. Di qui l’esigenza di accompagnare l’abbattimento delle emissioni climalteranti (chiamato “mitigazione”), condizione imprescindibile per evitare le situazioni più disastrose e ingestibili, con l’adattamento, cioè le misure per valutare i rischi e prepararsi alla mutata situazione. Fermo restando che non c’è adattamento possibile se si supera una certa soglia di riscaldamento globale, e che anche con 1,5°C avremo molte gravi conseguenze ma in un ambito –sperabilmente – possibile da affrontare. Le conseguenze del cambiamento climatico sulla vita e le attività delle persone e delle comunità, nonché sulle loro possibilità di sviluppo sono molto gravi; per esempio, aumentano i rischi di eventi estremi (alluvioni, ondate di calore, siccità), di declino dei raccolti, di impatto sulle risorse idriche, di spostamento degli areali delle malattie, di innalzamento dei livelli del mare. Se si continua così la sfida dell’equità sarebbe difficile da vincere, al contrario, la fascia delle popolazioni a rischio povertà si allargherebbe enormemente. 

Temperature che il corpo umano non è in grado di sopportare

Benché gli impatti già in atto ci dicono a chiare lettere che la crisi climatica può colpire tutti e che nessuno è al sicuro, i Paesi che si ritiene saranno i più colpiti dagli impatti del cambiamento climatico sono quelli delle regioni equatoriali. Ai tropici vi saranno quindi impatti maggiori sull’agricoltura e sugli ecosistemi, l’innalzamento del livello del mare potrebbe essere del 15-20% maggiore rispetto alla media globale, si risentirà molto di più dell’ aumento dell’intensità dei cicloni tropicali l’aridità del suolo e la siccità potrebbero aumentare in modo sostanziale in molte regioni dei paesi in via di sviluppo situati nelle aree tropicali e subtropicali. Ricordiamoci che il Mediterraneo è una delle aree a maggior rischio. Intere zone dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente rischiano di vedere aumentare in modo esponenziale le temperature per lunghi periodi: si ricordi che il corpo umano è adatto a sopportare una temperatura non oltre i 35-40°C, a patto che l’aria non sia troppo umida perché se il corpo non può sudare, non si può raffreddare, quindi alcune zone rischiano di diventare inabitabili e costringere milioni di persone a spostarsi, sia dentro che fuori dal proprio Paese. Più e più volte nel mondo sono stati toccati invece i 50°C, persino in Canada, e in molti casi per periodi prolungati. Le rotte migratorie verso il Nord Europa, quindi, sono destinate a intensificarsi, e non solo per l’impatto diretto del caldo. Già oggi decine e decine di milioni di persone sono costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi. In futuro, lasciare il luogo in cui si è nati o il proprio Paese non sarà una mera ricerca di maggior benessere: spostarsi potrà diventare l’unico modo per sopravvivere, per far fronte a impatti, minacce e stravolgimenti sconosciuti nella storia umana. Questo pone anche problemi giuridici nuovi, tanto più che gli spostamenti possono avvenire non solo tra Paesi, ma dentro i Paesi: per questo andrà assicurato uno status che riconosca la gravità della minaccia rappresentata dagli impatti del cambiamento climatico.

La scarsità d’acqua minaccia per pace e coesione sociale.

Un riscaldamento superiore ai 1,5°C aggraverebbe in modo significativo la scarsità d’acqua già esistente in molte regioni, in particolare in Africa settentrionale e orientale, in Medio Oriente e in Asia meridionale. Si stima che oltre metà della popolazione mondiale sperimenti già una grave carenza d’acqua per almeno un mese all’anno. Quando non è gestita e prevista adeguatamente, la siccità è uno dei motori della desertificazione e del degrado del territorio, nonché tra le cause di aumento di fragilità degli ecosistemi e di instabilità sociale. La dimensione degli impatti connessi alla siccità dipende anche dalla vulnerabilità dei settori più esposti, tra cui l’agricoltura, la produzione di energia e l’industria, l’approvvigionamento idrico per le abitazioni, gli ecosistemi. L’agricoltura e la produzione di energia sono influenzate dai cambiamenti del ciclo idrologico. Si prevede che i futuri impatti dei cambiamenti climatici su vari settori dell’economia legati all’acqua ridurranno il prodotto interno lordo (PIL) globale, con perdite maggiori previste nei paesi a basso e medio reddito. I rischi di siccità e inondazioni e i danni sociali aumenteranno con l’aumentare del riscaldamento globale . Nei paesi mediterranei dell’Europa, se si arrivasse a un riscaldamento di 3°C ci potrebbero essere riduzioni del potenziale idroelettrico fino al 40%. Si prevede che i cambiamenti idrologici indotti dal clima aumenteranno la migrazione nell’ultima metà del secolo, con un incremento di quasi 7 volte dei richiedenti asilo nell’UE . Alla radice dello stesso conflitto in Siria, ci sono anche periodi ripetuti di siccità e conseguenti migrazioni interne, in particolare delle popolazioni agricole dell’interno, sunnite, che si sono dirette verso la costa, dominata dalla minoranza alauita, favorevole ad Assad, esacerbando la situazione di conflitto e alimentando una forte ragnatela di corruttela tesa ad approfittare della situazione. Tra il 2010 e il 2011 il prezzo del grano raddoppiò. E’ stata questa miscela di fattori che ha provocato la crisi, insieme all’incapacità del governo siriano di anticipare e affrontare i fattori scatenanti. 

Non esistono posti di lavoro su un pianeta morto

Lo slogan non è del WWF, ma del Sindacato internazionale e della sua Segretaria Generale, Sharan Burrow. La risposta al cambiamento climatico è dunque la transizione verso il risparmio e l’uso più efficiente di tutte le risorse, inclusa l’energia che deve essere generata da fonti rinnovabili. Una transizione che deve essere giusta, sia nella distribuzione equa delle minori risorse disponibili, sia nell’accompagnamento verso la transizione di milioni di lavoratori (passaggio da lavoro a lavoro, formazione, ammortizzatori sociali), posto che il nuovo modello energetico, per esempio, è ad alta intensità di lavoro e quindi il saldo occupazionale sarà positivo. Ma oggi è anche chiaro che nessuna transizione è giusta se viene accelerata, perché più il cambiamento climatico progredisce, meno ci saranno condizioni per una distribuzione equa delle risorse; inoltre, chi oggi resiste o semplicemente attende che la transizione abbia luogo, rischia di essere impreparato e tagliato fuori. Interi settori rischiano il collasso se non sapranno cambiare, e molti non cambiano semplicemente perché  vogliono difendere rendite di posizione. Ma qui ritorniamo al nodo: sia a livello globale che a livello europeo e nazionale, con gli egoismi rischiamo davvero di perdere tutti. E invece bisognerebbe sedersi intorno a un tavolo e parlare di come possiamo farcela a superare questa sfida enorme, affrontando nel contempo i tanti problemi che, decennio dopo decennio, abbiamo nascosto sotto al tappeto. Prima di accorgerci che non c’è più né il tappeto né il pavimento. 

(*) – Mariagrazia Midulla è Responsabile Clima ed Energia del WWF Italia. Un passato impegno sui temi sociali e della salute, poi molti anni come comunicatrice, dal 2001 ha seguito i negoziati sul Clima, il G7, il G20 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Nel contempo, persegue  una legislazione adeguata sul clima e una rapida e giusta transizione energetica ed ecologica in Italia.

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