La de-globalizzazione e la transizione necessaria. La sfida della teoria dello sganciamento nell’opera di Samir Amin

Giorgio Riolo

Il Terzo Mondo non era un luogo. Era un progetto.

Vijay Prashad

Una premessa

In questo articolo ci si propone di riprendere le note riflessioni di Samir Amin sullo “sganciamento” (déconnexion,delinking), sullo “sviluppo autocentrato” di contro allo “sviluppo extravertito” e sulla transizione necessaria. Riflessioni che attraversano l’intero suo percorso teorico e politico dal 1957 alla scomparsa nel 2018. Con il punto fermo dell’elaborazione nel libro del 1986 La déconnexion (traduzione italiana nel 1987 con il titolo La teoria dello sganciamento, termine quest’ultimo con cui cercammo di rendere in italiano i corrispondenti termini francese e inglese).

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Il proposito era ed è quello di uscire da un sistema mondiale capitalistico, per definizione improntato allo sviluppo ineguale, allo sviluppo polarizzante e asimmetrico, alla gerarchia mondiale di paesi dominanti e di paesi dipendenti.

Una “uscita” problematica. Alla luce dell’esperienza storica e della oggettiva difficoltà del compito. Non solo per i paesi delle periferie del mondo, ma anche per i paesi sviluppati del centro.

La transizione come altro nome della costruzione del socialismo in definitiva. La transizione come visione processuale di “lunga durata”, di “progetto”, di visione inedita rispetto al passato. Nella concezione di Samir Amin e in generale dei critici del “socialismo realmente esistente”, il socialismo stesso era ed è da intendersi come un processo storico di ampia democratizzazione dello stato e della vita sociale complessiva unita a un progresso sociale netto e diffuso per le classi subalterne, nelle conquiste materiali e nelle conquiste sociali e culturali.

“Il socialismo non è un luogo e uno stato. È un progetto, è un processo di lunga durata”. Si direbbe. E sganciarsi, rompere la catena, rompere con la logica intrinseca dello sviluppo capitalistico su scala mondiale, ieri e oggi, costituisce la premessa di tutto ciò.

È il capitalismo realmente esistente. Il quale rende sempre dipendenti i paesi delle periferie. Con il vecchio colonialismo o con il neocolonialismo, quando molti paesi delle periferie ottennero la formale indipendenza politica, o con l’imperialismo, classico o sotto nome di “globalizzazione”. L’attuale, nuova globalizzazione, rispetto alle globalizzazioni-mondializzazioni del passato, dal 1989 a oggi, assume i caratteri non neutri come la intendono i dominanti, bensì è altro nome per l’imperialismo contemporaneo.

Una premessa storica è necessaria per poter comprendere i diversi contesti e per intendere appieno la difficoltà dello sganciamento nel nostro mondo contemporaneo. In presenza di una ormai innegabile crisi della globalizzazione, del neoliberismo, della logica intrinseca del sistema, dell’assetto mondiale odierno alle prese con la crisi economica, con la crisi ecologico-climatica e con la crisi epidemiologica.

Il retroterra storico

Il “risveglio dei popoli coloniali”, dopo la rivoluzione bolscevica e soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, è uno dei fenomeni più importanti del Novecento. Il potente processo della decolonizzazione ha investito molta parte del pianeta e molta parte dell’umanità. Incomprensibile, e volutamente rimosso, nei mass media mainstreame nella narrazione storica da parte dei colonizzatori e degli imperialisti, il carico di speranze e di tensione politica, sociale, morale da parte di milioni e milioni di persone, uomini e donne, coinvolte nel processo di emancipazione nelle periferie del mondo.

La vittoria vietnamita a Dien Bien Phu nel 1954 contro l’esercito dei colonizzatori francesi assunse subito un significato simbolico fondamentale per i popoli oppressi. Quella vittoria dimostrava che era possibile sconfiggere il potente nemico superarmato non solo con la guerriglia condotta da una popolazione povera, ma anche in una battaglia in campo aperto. Una svolta storica.

Nell’aprile 1955 a Bandung in Indonesia si svolse la Conferenza dei paesi afro-asiatici. Con protagonisti l’Egitto di Nasser, l’India di Nehru, l’Indonesia di Sukarno,  la Jugoslavia di Tito, la Cina con la presenza Chou En-lai. Altra svolta storica per chi desiderava costruire un terzo polo, oltre i due campi in cui era diviso il mondo, tra campo capitalistico, a guida Usa, e campo socialista, a guida Urss.

Nel 1961 a Belgrado un passaggio fondamentale entro “l’era di Bandung” fu la costituzione del Movimento dei Paesi Non-allineati. Un campo, il Terzo Mondo, che si voleva solidale, politicamente ed economicamente, e che si proponeva quello che oggi denominiamo integrazione e collaborazione Sud-Sud.

In quel contesto, tra 1959 e 1961, si ebbe la “primavera dei popoli” del gran numero di paesi africani che accedevano all’indipendenza politica e del profilarsi della vittoria della rivoluzione algerina, dopo la vittoria della rivoluzione cubana. Frantz Fanon era protagonista in quella grande stagione dell’emancipazione umana.

Poco prima di morire precocemente nel 1961, netta era la constatazione sua che l’indipendenza conseguita da parte di questi paesi africani fosse in realtà formale. La dipendenza continuava nelle forme del controllo delle attività economiche da parte delle potenze colonialistiche, della diffusa corruzione delle nuove classi dirigenti locali e della cosiddetta “compradorizzazione”. Borghesie nazionali che rapidamente diventavano borghesie “compradore”, asservite agli interessi delle potenze straniere. Non il progetto di sviluppo nazionale e popolare com’era nei propositi del vasto moto della decolonizzazione. La vicenda dell’assassinio di Patrice Lumumba e dell’asservimento del ricco di risorse, ma poverissimo, Congo costituivano brucianti esperienze. Il simbolo sinistro della presa del neocolonialismo e dell’imperialismo dell’era contemporanea.

Nella parabola dello “spirito di Bandung” e del movimento dei paesi non allineati l’apice fu rappresentato dalla approvazione nel 1974 all’Onu del programma Nuovo Ordine Economico Internazionale (NOEI). Il retroterra di tale ordine era costituito da una sorta di sganciamento dalla logica economica dominante e dallo sviluppo autocentrato e non più dipendente.

Con gli anni ottanta, sotto l’egida del Washington Consensus (il presidente Usa Ronald Reagan, con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio quali agenzie del neoliberismo) e sotto l’egida del ricatto del debito estero e i conseguenti Piani di Aggiustamento Strutturale (liberalizzare, privatizzare, sottomettersi) questo Nuovo Ordine, a beneficio del Sud Globale, è stato cancellato.

L’esigenza di uno sviluppo autonomo e disconnesso dalle logiche dominanti

Samir Amin più che la nozione di “modo di produzione” ha privilegiato sempre la nozione di “formazione storico-sociale”, dal momento che occorresse sfuggire all’economicismo e a quella che egli denominava “alienazione economicistica”. Forte era la suggestione in lui dell’esperienza maoista e della rivoluzione cinese in generale. “La politica al posto di comando”. Con in più la centralità delle campagne e del soggetto contadino.

I gruppi dirigenti del dopo la liberazione o del dopo conseguimento dell’indipendenza politica si trovano di fronte alla scelta. È in gioco la scelta politica, oltre all’automatismo e alla dinamica impersonale del mercato mondiale, della profonda integrazione dell’economia delle varie aree del mondo. Dinamica questa sempre più accelerata fino alla vertiginosa integrazione/interdipendenza tipica della globalizzazione neoliberista, dell’imperialismo contemporaneo.

Lo sganciamento è il primo atto ed è atto politico. Di deliberata scelta di controllo dal centro dell’accumulazione interna e dello sviluppo interno. Sviluppo concepito su base nazionale e con fondamento popolare. È propriamente “sovranità nazionale” e non è autarchia. Non è chiusura passatista.

Lo sviluppo autocentrato mira in primo luogo a soddisfare i consumi popolari delle classi subalterne e comunque non dominanti, in secondo luogo a incentivare quelle produzioni in grado di sostituire le importazioni e quindi di contribuire al processo di emancipazione dalla dipendenza. Si tratta di produrre i cereali e il cibo per soddisfare i bisogni nazionali e non a procedere alle produzioni agricole e minerarie tipiche dello sviluppo extravertito. Il quale mira a produrre soia, cereali, cacao, caffè, zucchero, semi oleosi, caucciù, cemento, minerali e metalli, strategici e non, carbone, petrolio ecc. a beneficio dei consumi e dello sviluppo occidentali.

Si tratta di considerare le industrie manifatturiere parti integranti dello sviluppo nazionale e non, con il cosiddetto “fordismo periferico”, costrette a produrre beni e servizi per l’esportazione, controllate dal capitale finanziario e dalle multinazionali dei paesi dominanti del centro alla caccia di manodopera a basso costo e senza diritti o protezioni.

L’integrazione necessaria, ineludibile, proprio perché non autarchica, avviene con alleanze regionali e locali con altri paesi e con altre economie su un piano di collaborazione e di eguaglianza.

Nelle periferie del mondo l’agricoltura contadina, la piccola agricoltura famigliare di sussistenza è fondamentale. Non è consentito alcun prelievo di risorse dalle campagne, a beneficio dello sviluppo dell’industria e delle città. La grave distorsione nell’esperienza sovietica è stata questo prelievo (la famosa “accumulazione socialista”, foriera di gravi conseguenze sociali, tra le quali la rottura dell’alleanza operai-contadini, la pietra angolare della rivoluzione). Assieme alle altre gravi distorsioni della mancata democratizzazione e dell’esautoramento della partecipazione popolare al processo di transizione socialista.

Il cosiddetto “socialismo del XXI secolo”, avviato nell’America Latina, e il federalismo democratico (o “confederalismo democratico”, vedi Öcalan e i curdi del Rojava), fondati entrambi sulla democrazia partecipativa, ci offrono ampia materia per riprendere il discorso della transizione socialista nel nostro tempo. La “politica al posto di comando” e la pianificazione-programmazione non rappresentano il Moloch del ferreo statalismo onnisciente e onnipotente. Le comunità locali hanno il potere decentrato per decidere e per programmare. La manifestazione alta dello “sviluppo autocentrato”.

Sganciamento-sottrazione dalla morsa della globalizzazione-imperialismo

In sostanza e in definitiva, molto in Samir Amin agiva la suggestione della transizione socialista. Oggi in presenza della manifesta crisi della globalizzazione, così come intesa dai dominanti mondiali, e della crisi del neoliberismo, è aperto il dibattito. Il dibattito e la ricerca di come intendere lo sganciamento e lo sviluppo autocentrato, in presenza di una crisi altrettanto manifesta dell’alternativa socialista.

In questo senso, molta riflessione di analisi e di proposta è venuta e viene dal movimento altermondialista e dai Forum Sociali Mondiali. Con la visione delle alternative al corso dominante capitalistico e con la ripresa del grande tema della cooperazione Sud-Sud. Con la visione che esiste un vasto campo di alternative al malsviluppo tipicamente capitalistico. Con la ripresa del discorso della vera, autentica sovranità nazionale di decisione politica totalmente avversa al sovranismo, al nazionalismo, a ogni chiusura identitaria. Oggi molto presenti e molto pericolosi, capaci di attrarre masse popolari e quel ceto medio allo sbando, non più “riflessivo”, culturalmente deprivato.

Samir Amin diceva che si profilava anche uno “sganciamento” guidato da classi reazionarie, con una visione rivolta al passato, come avviene con il fondamentalismo islamico o semplicemente con l’islam politico.

Nella esperienza storica del passato abbiamo avuto il cosiddetto “anticapitalismo romantico”, spesso a guida reazionaria. Abbiamo avuto anche la versione fascista e nazista della disconnessione. Negazioni assolute dell’emancipazione.

Il mondo multipolare

Con il 1989 e il 1991 lo scenario mondiale cambia. Queste date costituiscono svolte storiche decisive del nostro tempo. La fine del socialismo reale e la conseguente fine dei progetti nazionali e popolari dei movimenti di emancipazione delle periferie determinano un violento mutamento dei rapporti di forza su scala mondiale. La vittoria del capitalismo neoliberista sotto forma di nuova globalizzazione-mondializzazione cambia il contesto.

L’autodeterminazione, lo sviluppo autonomo e non eterodiretto comportano oggi dei passaggi preliminari nei rapporti tra stati-nazione, nei rapporti con organismi sovranazionali. Non solo con Fmi, Banca Mondiale, Wto, Unione Europea ecc. Ma anche con la Nato e con altre alleanze concepite per perpettuare il dominio e i rapporti di sfruttamento. Rappresentano premesse per poter avviare qualsiasi processo di transizione. In gioco è il contesto geopolitico. In gioco è la mossa preliminare antiegemonica. Anche se non anticapitalistica.

Contro l’egemonia Usa e contro l’imperialismo della triade (Usa, Europa, Giappone),  

all’inizio del 2000 si è avviato il progetto dei cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Una alleanza tesa a costruire un polo antiegemonico in vista della creazione di una Banca autonoma di investimenti (Nuova Banca di Sviluppo) e della progressiva sostituzione del dollaro come moneta di riferimento.

Naturalmente gli Usa hanno subito messo in atto una strategia tesa a rompere questa alleanza, ancor più nella nuova guerra fredda contro Cina e Russia. Quali suggeritori del golpe giudiziario, sono riusciti a porre fine all’era dei governi di sinistra di Lula e di Dilma Rousseff e a sottrarre temporaneamente il Brasile con a capo il fascista Bolsonaro. E con altri mezzi (finanziamenti, armi, lo spauracchio della Cina ecc.) hanno cercato di portare l’India di Narendra Modi dalla propria parte. Con gli sviluppi della guerra in corso, delle sanzioni economiche ecc. l’India si sottrae alle pressioni e intende mantenere una posizione autonoma.

Oggi si profila la possibile vittoria di Lula nelle prossime elezioni in Brasile dell’ottobre 2022 e pertanto si profila, con il suddetto ruolo dell’India, una possibile ripresa del progetto dei Brics .

Per sganciarsi dalla morsa Usa-Nato-dipendenza politica ed economica. La sovranità dello sviluppo autonomo e della decisione politica autonoma, nel centro e nelle periferie, esige questo processo di emancipazione e di costruzione geopolitica improntate all’eguaglianza e alla solidarietà tra paesi sovrani e non alla mercé della dialettica dominio-subordinazione, dominio-sfruttamento.

All’ordine del giorno nel mondo si presentano numerose auspicabili dinamiche. Solo le principali. La necessaria transizione ecologica, non solo a beneficio dei paesi del centro, ma soprattutto a beneficio dei popoli delle periferie, le quali rivendicano anche la “giustizia climatica”. La transizione produttiva ed energetica complessiva, quale salutare uscita dalla crisi economica in atto. La fine della guerra fredda contro Russia e Cina, contro Cuba e Venezuela ecc.

Queste dinamiche non possono essere disgiunte dal perseguimento di un “mondo multipolare”.

Nota

Questo articolo, scritto prima dello scoppio della guerra Russia-Ucraina, si fonda su molti scritti di Samir Amin. Ma in particolare su La teoria dello sganciamento, Diffusioni 84, 1987, la raccolta di saggi nei quali affronta più direttamente il tema. L’accumulazione su scala mondiale. Critica della teoria del sottosviluppo, Jaca Book 1971 (ma elaborato tra il 1957 e il 1970) e Lo sviluppo ineguale, Einaudi 1977 (edizione originale francese 1973), i libri intesi come prima sistemazione teorica complessiva del suo pensiero. Infine, più recentemente, Per un mondo multipolare, Edizioni Punto Rosso 2006 e Mémoires. L’eveil du Sud, Les Indes savantes 2015, l’opera che raccoglie le sue memorie di militante politico e di pensatore e il coevo percorso di “risveglio del Sud” del mondo. Ricostruzione anticipata nel suo Il sistema mondiale del secondo novecento. Un itinerario intellettuale, Edizioni Punto Rosso 1997.

Un libro importante, come retroterra culturale dello “sganciamento”, come scelta politica dello sviluppo autonomo, della ripresa per il Sud Globale dello “spirito di Bandung” e del movimento dei paesi non-allineati, a partire da una visione del mondo complessiva, è Eurocentrismo. Modernità, religione e democrazia. Critica dell’eurocentrismo, critica dei culturalismi, La Città del Sole, maggio 2022.

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