La scuola per la democrazia costituzionale

Loredana Fraleone

La Scuola dovrebbe dipendere dalla Costituzione repubblicana non solo per le parti nelle quali è citata, ma per tutto l’impianto della Carta del 1948, che in alcuni momenti ne ha ispirato lo sviluppo democratico. I progressivi attacchi agli aspetti inclusivi e di “promozione” sociale, che dovrebbero caratterizzare la Scuola dell’articolo 3 e non solo, costituiscono un attacco diretto ai principi della Costituzione del 1948, vanificandone la funzione.

Il sistema scolastico è una misura del grado di democrazia di un paese, oltre a esserne un fattore essenziale per la sua costruzione e tenuta.

LA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE

Nei primi anni Sessanta, la riforma della Scuola Media Unica (1962) spostava in avanti la canalizzazione precoce: prima a soli 11 anni di età o prendevi il binario morto dell’avviamento professionale o potevi proseguire negli studi con la scuola media propedeutica all’accesso alle scuole superiori. Si calcola che, prima dell’introduzione della Scuola Media Unica, circa l’80% dei bambini e delle bambine finiva nell’avviamento professionale. Con la riforma del ’62, si rispondeva a due esigenze: quella del percorso di attuazione del dettato costituzionale, e quella di un formidabile sviluppo industriale, che richiedeva lavoratori e lavoratrici in grado di misurarsi con processi produttivi innovativi e più complessi.

Ci vollero altri 17 anni, per mettere la Scuola Media Unica in grado di rappresentare davvero uno strumento non solo di emancipazione culturale di massa, ma anche di un significativo sviluppo della qualità della formazione e dell’insegnamento, che nel frattempo aveva già raggiunto alti livelli nella scuola elementare con l’introduzione del tempo pieno nel 1971. La spinta per la sua attivazione venne soprattutto dai genitori lavoratori e lavoratrici del Nord, ma fu tutt’altro che un parcheggio; l’impostazione che gli fu data aveva l’obiettivo di permettere anche a bambini/e provenienti dagli strati sociali modesti culturalmente d’integrarsi più facilmente nel sistema scolastico e nell’apprendimento.

Solo nel 1979 furono introdotti i “Nuovi Programmi” della Scuola Media, che in premessa contenevano il riferimento all’articolo 34 e 3 della Costituzione; tra i principi quello “…..democratico di elevare il livello di educazione e di istruzione personale di ciascun cittadino e generale di tutto il popolo italiano, potenzia la capacità di partecipare ai valori della cultura, della civiltà e della convivenza sociale e di contribuire al loro sviluppo”.(1)

L’obiettivo dichiaratamente democratico veniva declinato, nell’articolazione dei programmi, attraverso l’individuazione e la prescrizione di pratiche didattiche, pedagogiche e valutative rivolte al riconoscimento della diversità dei soggetti, detentori di un sostanziale e non formale diritto allo studio, che partivano da condizioni sociali ben diverse: “dato per scontato che alla scuola media accedono alunni che hanno un retroterra sociale e culturale ampiamente differenziato, la scuola media deve programmare i propri interventi in modo da rimuovere gli effetti negativi dei condizionamenti sociali, da superare le situazioni di svantaggio culturale e da favorire il massimo sviluppo di ciascuno e di tutti.”(2)

Indubbiamente i programmi del 1979 usufruivano di un punto di vista oggi attualissimo, dando valore alla differenza, che invece di un problema da eliminare diventava una ricchezza da coltivare. Due anni prima, infatti, era stata approvata la legge n. 517, che si può considerare la più avanzata riforma scolastica mai prodotta, ancora oggi invidiata nel mondo da chi considera l’integrazione dei e delle disabili nelle classi una grande conquista civile e una “cura” delle menti di alunni e insegnanti, predisponendole all’accettazione delle diversità. Inizialmente accolta con diffidenza e in qualche caso fastidio da parte del personale della Scuola, che si sentiva caricato di compiti non propri, l’integrazione ne ha via via cambiato la mentalità, grazie a quello straordinario meccanismo, che nelle relazioni collettive e ravvicinate crea le condizioni per il confronto con problemi che interrogano e impongono riflessione e  cambiamento di opinioni.

Anche nei confronti di un malinteso concetto di uguaglianza, in base al quale i bambini e le bambine proletari ricevevano lo stesso approccio didattico-pedagogico del “figlio del dottore”, che usufruiva di una cultura familiare di un certo livello, la 517, con il suo portato eversivo nel riconoscimento che a bisogni diversi si dovevano dare risposte diverse, aveva influito sui programmi del ’79, introducendo il concetto del livello di partenza da tenere in conto per la valutazione, non più numerica ma descrittiva.

LA ROTTURA DEL ’68 PROPEDEUTICA ALLA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE

Quando si parla del ’68 e della stagione che ne seguì, durata quasi un ventennio, non si può omettere uno dei suoi punti centrali: la messa in discussione delle gerarchie, un’istanza attrattiva per le nuove generazioni, nei confronti della famiglia, vissuta come un impedimento alla libertà dei comportamenti, del patriarcato da parte delle ragazze, verso i docenti che trattavano gli studenti come soggetti passivi, verso la società che nel cosiddetto “miracolo economico” proponeva nuove forme gerarchiche.

Non a caso, le lotte studentesche si saldarono e forse contribuirono, se non altro per il clima che avevano costruito, alla grande stagione delle conquiste operaie, concorrendo alla formazione di quel formidabile processo di democratizzazione di tutta la società, che andava dal controllo sui ritmi e la qualità del lavoro alla liberalizzazione dei piani di studio e dell’accesso all’Università. L’incrocio (e in qualche caso l’unità) tra le lotte studentesche e quelle operaie fece maturare la consapevolezza dell’importanza del rapporto tra scuola e lavoro, di come il diritto allo studio non riguardasse soltanto una generazione in formazione, ma anche adulti che avevano bisogno, interesse e necessità di accedere alla conoscenza. Stava maturando la straordinaria esperienza delle 150 ore.

150 ORE LIBERATE  DAL LAVORO PER ISTRUIRSI

In occasione del rinnovo del Contratto Nazionale di Lavoro dei metalmeccanici del 1973, fu introdotto il diritto di avvalersi di 150 ore di studio sottratte all’orario di lavoro, per il conseguimento della licenza media. Fu una rivoluzione socio-culturale, che alludeva sia a una diversa idea del lavoro, che all’interno dell’orario poteva comprendere l’espletamento del diritto allo studio, sia a un’organizzazione scolastica aperta ad adulti che avrebbero interagito con docenti non abituati a relazioni paritarie.

Furono interessati a questa straordinaria esperienza molti docenti, specialmente precari, che entravano in contatto con esperienze e problematiche in molti casi a loro sconosciute, ma coinvolgenti e illuminanti sui problemi di “altri” lavoratori e lavoratrici, rispetto ai quali molto avevano da imparare.

Il passaggio successivo doveva essere quello di investire la Scuola superiore, che avrebbe potuto incidere anche su una riforma  del suo assetto. “...non c’è dubbio che la scuola media superiore sia il vero terreno dove si investono gli obiettivi di fondo delle 150 ore. E’ infatti a questo livello che scattano anche ufficialmente i meccanismi di stratificazione e gerarchizzazione della forza-lavoro….” (3)

Si stavano avvicinando gli anni Ottanta però, con il portato di sconfitte del mondo del lavoro, che avrebbero inciso anche su quello della Scuola e dell’istruzione in generale.

L’ATTACCO ALLA “GESTIONE SOCIALE” DELLA SCUOLA

Anche i Decreti Delegati del 1974 sono stati frutto delle mobilitazioni studentesche e operaie, e nonostante gli aspetti familistici introdotti dalla Democrazia Cristiana, con la rappresentanza dei genitori in quanto tali negli Organi Collegiali, il processo di democratizzazione della Scuola faceva un altro passo in avanti, grazie alla partecipazione alla sua gestione dei soggetti direttamente interessanti. L’istituzione degli OO.CC. –  con il diritto di tutto il personale docente e ATA, i genitori e gli studenti a partecipare a elezioni basate sul sistema proporzionale –  fu decisiva per la presa di coscienza del valore della condizione paritaria da parte dei docenti, ma che a un certo punto venne temuta e che ancora oggi rimane la condizione che inquieta maggiormente anche il governo attuale. Proprio gli ultimi provvedimenti mostrano come la rottura della condizione paritaria dei docenti sia l’obiettivo fondamentale per disciplinare questo settore delle istituzioni, che si è a lungo sentito come tale e non un servizio a domanda individuale, come spesso si è tentato e si tenta di farlo passare. Un’istituzione che è emanazione della Costituzione, con il suo bagaglio di diritti, e come tale bersaglio di Confindustria, che attraverso ministri compiacenti di centrodestra e centrosinistra, ha potuto mettere le mani su tutte le controriforme avviate dalla fine degli anni Novanta, delegando i “suggerimenti” alla sua associazione TreeLLLe, fondata nel 2001 e sostenuta dalla Compagnia di San Paolo di Torino, dalla Cariplo di Milano e dall’Unicredit.

Con i decreti delegati del ’74 era stata ridimensionata la figura del preside, che doveva condividere la gestione della scuola con il Consiglio d’Istituto e il Collegio docenti; poi vi è stato un ritorno al passato, avviato agli inizi del secolo e spacciato da ultimo come innovazione dalla “Buona Scuola”, che ha ridotto le funzioni del Collegio docenti a un organo consultivo e assegnato ai Dirigenti Scolastici compiti di tipo prefettizio.

SIAMO DUNQUE ALLA DEFINITIVA CANCELLAZIONE DELLA DEMOCRAZIA?

Indubbiamente in un contesto a-democratico, in cui non è tollerabile un’istituzione fuori contesto, anche la percezione di sé è cambiata; molti e molte di coloro, che si sono opposti ai processi sommariamente descritti e che hanno subito una sconfitta dietro l’altra,  non si rendono conto spesso di aver svolto più di qualunque altro settore della società una resistenza che certo non ha vinto sulle controriforme, ma ne ha rallentato il corso e ridimensionato gli effetti negativi. Tutto questo è stato possibile per la natura stessa del mondo della Scuola, dove socialità, confronto e relazione sono elementi strutturali della sua stessa esistenza. Non a caso, la richiesta della didattica in presenza e la contestazione di quella a distanza hanno portato in piazza studenti, genitori e insegnanti, durante la pandemia, con la nascita di “Priorità alla Scuola”, un’aggregazione di movimento che ha suscitato importanti momenti di attenzione dell’opinione pubblica su problemi, che andavano oltre la DaD.

“Le scuole sono comunque luoghi di aggregazione, dove soggetti diversi s’incontrano e fanno percorsi insieme, dove si esprime il bisogno di una conoscenza più ricca, nonostante l’impoverimento materiale e culturale indotto dalle varie contro riforme” (4)

La natura sociale della Scuola è, a mio avviso, l’elemento su cui fare leva per rilanciare un punto di vista che riconduca ai principi costituzionali e per riprendere il conflitto.

Note:   1)   Premessa generale dei programmi SMS del 1979 – I parte punto 3

Ibidem – II parte punto 1

Bruno Morandi, “La merce che discute”,  Milano, Feltrinelli Economica, 1978, pag.17

Loredana Fraleone, “La lotta fa Scuola”, Roma, Edizioni Q, 2018, pag.122

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