La storia non è finita. Il conflitto israelo-palestinese visto dall’Occidente

Simona Suriano*

Come per il conflitto tra Russia e Ucraina, dal 7 ottobre è partita la sequela di insulti, accuse, infamie e, chi più ne ha più ne metta, anche per il caso israelo-palestinese. 

Provare ad approcciarsi agli avvenimenti brutali delle ultime settimane con atteggiamento obiettivo, analitico, che ripercorra la storia dell’ultimo secolo almeno, è percepita come una minaccia per chi tiene le fila del potere, per chi controlla informazione e menti del nostro paese. Impossibile raccontare i misfatti, gli abusi e le violazioni perpetrate negli anni passati che potrebbero ridisegnare l’immagine di grande “poliziotto del mondo” (come si autodefiniscono gli Stati Uniti) o “dell’unica democrazia” in Medio Oriente quale dovrebbe essere Israele.

Eppure, non possiamo pensare di costruire un futuro di pace, di tentare di percorrere una strada che non contempli l’uso della violenza se non conosciamo anche il passato e la storia. Se, in Italia, l’attuale governo patriota e nazionalista ama ripeterci che la nostra storia, tradizione e cultura è un vessillo da portare alto e con orgoglio nel mondo perché tale cultura, tradizione, storia dobbiamo cancellarla quando non fa più comodo a certi apparati di interesse? E così cancelliamo la cultura russa perché Putin ha invaso l’Ucraina (come se il popolo russo, gli artisti, gli scrittori russi fossero tutti filoputiniani, ancor prima che Putin nascesse) e così, sulla stessa scia, la cultura, la storia del popolo palestinese e del lungo conflitto in Medio Oriente non va ricordato, studiato, analizzato. 

Ovunque ci giriamo è un susseguirsi di riscrittura della storia, artificiale ricostruzione dei fatti, annichilimento dei pensatori autonomi, dei dubbiosi, dei critici. O si fa un atto di fede verso le “sacre scritture” imposte da Tv e giornali nostrani o meritiamo di essere dipinti come i reietti della società.

Questo è l’attuale stato delle cose che vive l’Italia, come l’Occidente, da qualche anno a questa parte (oserei dire dall’inizio della pandemia). Un continuo, incessante suddivisione tra buoni contro cattivi. I buoni, ça va sans dire, sono i seguaci dei dogmi scritti sulle tavole dei comandamenti che Governi e stampa ci offrono quotidianamente.

Limitatezza del diritto internazionale

Eppure, al di là delle più o meno baggianate che leggiamo ogni giorno, ci sono bambini, anziani, donne e gente inerme che muore solo perché nata dalla parte sbagliata del confine. E la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, le risoluzioni Onu contro l’occupazione israeliana, il diritto umanitario rimangono un papello di parole vuote, intrise del sangue di questa anime innocenti.

Spettacolo ancor più triste è l’equidistanza mostrata dalla politica nostrana. Senza voler giustificare la violenza di Hamas, mi domando: ma Israele si aspettava di avere a fianco a sé un popolo docile e sottomesso per ancora quanti decenni? Qualunque essere nato e cresciuto in cattività, che non ha nulla più da perdere, cova rabbia, frustrazione e violenza. Non occorre essere un fine analista politico per intuirlo. E se accetto l’equidistanza sull’uso della violenza, non posso che schierarmi per la causa palestinese, dove gli abusi, la violenza e l’apartheid a cui è stato sottoposto il popolo è storia documentata e non una mera ricostruzione fantasiosa.

Il ripudio della violenza, la ricerca della pace e di un dialogo diplomatico (ricordo, da ex parlamentare, che lo stesso ambasciatore italiano a Mosca, in audizione in commissione esteri, disse che sarebbe stato più opportuno far lavorare le diplomazie che spararsi addosso) non può in ogni caso far perdere la lucidità di analisi e valutazione dei fatti. Sappiamo che l’Occidente è in crisi, gli Stati Unti hanno perso la loro egemonia economica nel mondo (causa una Cina e un Oriente sempre più giovane e ricco) e causa anche un iperliberismo che ha mostrato tutte le sue crepe, fragilità, incoerenze. Il mito della crescita perpetua è crollato. La teoria della mano invisibile che aggiusta i mercati e rende tutti ricchi e liberi è palesemente falsa, e ci si deve reinventare un modo per mantenere il controllo globale, standard di crescita non più sostenibili né raggiungibili e pertanto l’unico modo per mantenere una parvenza di egemonia è quella di trovare un nemico. Oggi sono la Russia di Putin e i terroristi di Hamas raccontandoci la menzogna che entrambi vogliono soffocare e annichilire l’Occidente democratico. Innanzitutto Putin con l’Occidente ci commerciava e faceva (lui e le oligarchie russe) grandi affari, per cui la storia che voglia distruggere l’occidente mi sembra eccessiva. Su Hamas…che dire? Come farebbero a distruggere l’Occidente “democratico” ? Con quali mezzi? Anche a voler descrivere Hamas come un gruppo terroristico (premessa necessaria se si vuol parlare di questo tema, altrimenti rischiamo di trovarci il Mossad sotto casa) questo non possiede un esercito regolare (la Palestina stessa non è uno Stato riconosciuto da buona parte del mondo) benché sicuramente aiutato e armato da Stati amici.

Questa falsa narrazione che gli Stati Uniti di Biden ci danno sui nuovi nemici del mondo, non mi illudono certo che cani sciolti, lupi solitari, possano compiere atti di violenza in giro per l’Occidente (come accaduto in Francia e a Bruxelles). Ma anche qui, vorrei osservare, più che una strategia di Hamas o chissà quale altro gruppo terroristico, c’è dietro la regia di un mondo sempre più capitalista e liberista che ha gradualmente e sempre più emarginato i diversi, i fragili, i poveri, gli immigrati che hanno trovato nel radicalismo una ragione d’essere, di identità che lo Stato di accoglienza probabilmente non gli ha dato o non a sufficienza. Non sottovaluto il rischio attentati in Europa e in Occidente, ma tenderei ad escludere il filo conduttore con Hamas.

In sostanza, ci sarebbero validissime e documentate motivazioni per cui poter affermare che tutte le guerre oggi, sono inutili e frutto di un assestamento di poteri nel mondo. La violenza perpetrata da Israele su Gaza è inammissibile, viola radicalmente lo jus in bello, motivo per cui Israele dovrebbe essere condannata per la sproporzione dei mezzi usati e per l’attacco indiscriminato alla popolazione civile che non è certo qualificabile come terrorista. Ma quale sarà il tribunale internazionale che oserà condannare Israele? Nonostante gli sforzi fatti nei secoli, a partire dalla Società delle Nazioni all’odierna ONU, per cercare di regolare i rapporti tra Stati, la verità che mi son data è che il diritto internazionale è essenzialmente il diritto del più forte, dove regna l’anarchia, e dove l’unico giudice e poliziotto, ad oggi, sono stati gli Stati Uniti e in misura minore i suoi alleati, ma dove all’orizzonte si affacciano nuovi aspiranti poliziotti e giudici del mondo, e questo irrita tanto l’economia yankee. 

La storia è realmente finita? Mobilitazioni e sensibilità giovanile

Eppure, in questo ultimo conflitto, a differenza anche di quello russo-ucraino, l’opinione pubblica è meno divisa che in passato. Sono state centinaia, da un mese a questa parte, le manifestazioni, le proteste a sostegno del popolo palestinese e per la fine del massacro degli abitanti della striscia di Gaza. Le più corpose quelle di Londra e Parigi, passate pressoché inosservata dalla stampa nostrana. Ogni fine settimana sono numerose le proteste di chi chiede giustizia per un popolo da decenni sottoposto ad apartheid, discriminazione, soprusi. Ancor più interessante le numerose occupazioni da parte di giovani studenti, delle loro Università o di contestazione, dagli stessi, delle prese di posizione dei loro rettori verso le ragioni israeliane, dimentichi di un falso ipocrito double standard perpetrato dall’Occidente. 

I tragici eventi della cronaca attuale – dai femminicidi alle catastrofi ambientali, al genocidio di una popolazione inerme – sono fatti che hanno risvegliato la popolazione più giovane del nostro pianeta e del nostro paese, che grida per essere ascoltato e preso in considerazione. Mi piace pensare che si stia formando una nuova consapevolezza tra i più giovani. La consapevolezza che un mondo guidato da oligarchie dedite al profitto e all’annichilimento del soggetto, dove ogni essere umano è un numero di una catena di montaggio utile per arricchire pochi potenti, non è un mondo vivibile né piacevole in cui vivere. Dove la comunità, il senso di amicizia, di sicurezza deriva dalla condivisione di spazi, idee, progetti e speranze. E se effettivamente oggi le speranze sono ridotte al lumicino per le nuove generazioni occidentali proviamo ad immedesimarci in un giovane palestinese o abitante di Gaza. Quali speranze possono nutrire giovani cresciuti sotto la violenza e la negazione di ogni minimo diritto, dove a poche centinaia di metri un colone israeliano gode di tutti i comfort e privilegi e una famiglia palestinese non ha diritto nemmeno ad edificare casa? Dove una famiglia palestinese può subire dall’oggi al domani un esproprio dalla propria abitazione da parte di un qualunque colone israeliano senza tutela giuridica alcuna.

Ecco, la nuova presa di coscienza globale, soprattutto dei più giovani, sono forse un primo segno di speranza. Insieme alle diverse iniziative, piccole o grandi, di sostegno alla pace e di boicottaggio di tutto ciò che è illegittimo frutto di violenza e criminale. La soluzione della crisi israelo-palestinese non sarà certo una cosa semplice, né rapida, ma occorre sin da ora, abituarci ad accettare e a far accettare, che l’ordine mondiale post secondo conflitto mondiale non esiste più, che necessita di una profonda rivisitazione (partendo dalle stesse Nazioni Unite e dal diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza), che gli Stati Uniti non sono più l’unica potenza al mondo, ma altre nuove potenze si affacciano all’orizzonte, e che la storia non è affatto finita.


* Simona Suriano, 44 anni, catanese, giurista e esperta in diritto del lavoro, diritto internazionale, migrazione e diritti umani, già parlamentare della XVIII legislatura e vicepresidente di ManifestA.

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