Le piazze vuote. Ritrovare gli spazi della politica

Paolo Ferrero

F. Barbera, Le piazze vuote. Ritrovare gli spazi della politica, Laterza, Roma, 2023


Il libro parte dalla constatazione che – nonostante le diseguaglianze stiano rapidamente crescendo – in Italia “le piazze sono vuote”, ovvero il disagio sociale non si traduce in un aumento della protesta e della partecipazione politica. A partire da questa evidente considerazione, Barbera indaga il rapporto tra la passivizzazione sociale e il dissolversi di spazi condivisi in situazione di compresenza fisica. La tesi di fondo del libro è che il distanziamento sociale, l’assenza o la rarefazione di luoghi fisici in cui incontrarsi pongono radicalmente in crisi l’agire collettivo in quanto “società e spazio non sono separabili”. In particolare, l’autore sottolinea come “esista un nesso stretto tra organizzazione sociale dello spazio e politicizzazione del futuro”. La compresenza fisico-spaziale dei corpi è la precondizione per generare stati di effervescenza collettiva in cui possa maturare una idea del “noi” e non solo del “me”. La costituzione del “noi” necessita dell’incontro, e il “noi” è decisivo al fine di esprimere una domanda collettiva di giustizia sociale ,e quindi una domanda positiva rispetto al futuro. Aggregazione e incontro, costruzione del “noi” e individuazione dell’azione collettiva come costitutiva di un futuro diverso dal presente, sono i passi che Barbera vede come fondativi di una possibile trasformazione. Viceversa l’isolamento sociale, il restare confinati nella dimensione del “me”, rende impossibile non solo l’azione collettiva a cui affidare la trasformazione, ma addirittura la capacità di trascendere il presente, di immaginarsi un futuro diverso. Spero di non tradire il pensiero dell’autore nell’affermare che dal libro traspare come vi sia una relazione tra la separazione fisica dei corpi e il precipitare esistenziale in un eterno presente vissuto come immodificabile.

A partire da questa impostazione, il libro si divide in tre parti che analizzano il ruolo svolto dalla condivisione dello spazio fisico nei diversi livelli.

In primo luogo, la dimensione spaziale della sfera pubblica quotidiana per mettere a fuoco i meccanismi di funzionamento del senso comune, la “domanda” di futuro. Ci si misura qui con il pensiero di Gramsci, che considera il senso comune un “insieme incoerente” che le persone utilizzano come “filosofia ingenua” allo scopo di conoscere, valutare e agire. 

In secondo luogo, gli spazi intermedi dell’elaborazione politica, relativi alle concezioni del mondo elaborate dalla classi dirigenti, “l’offerta” di futuro. Dalla vita quotidiana di tutti si passa quindi ad analizzare gli spazi delle classi dirigenti e del ceto politico, e di come le concezioni del mondo di queste ultime si rapportino e incidano sul senso comune.

In terzo luogo, gli spazi dei luoghi di vita o delle persone-nei-luoghi, per indagare il rapporto tra spazio e luogo di vita, per capire come si possa determinare uno spazio e un tempo in cui “far atterrare il futuro”.

Il libro termina sottolineando come “il noi, se non è nutrito, si inaridisce fino all’impotenza” perché “ fiducia, compassione, ospitalità, condivisione, cooperazione, amicizia, reciprocità, solidarietà, giustizia sociale, amore per le libertà sono risorse che si consumano proprio quando non vengono usate”. Da qui la necessità di una loro pratica quotidiana – che è alla base della loro riproduzione – rimettendo al centro la dimensione spaziale e quotidiana della sfera pubblica.

Credo che i nodi sollevati dal libro siano evidenti a tutti noi, specie nel confronto tra l’effervescenza sociale di molti paesi europei e la passivizzazione del “bel paese”, drammaticamente rinchiuso in un presente alimentato da una politica della paura e della rabbia. Un libro quindi da leggere e discutere insieme per inventare un nuovo “noi” che possa vivere nella costruzione di una reinventata sfera pubblica.

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