L’Occidente armato
Fabio Alberti *
Era forse la metà del 1400 quando Enrico il Navigatore mise in produzione nel cantiere di Lisbona un naviglio in grado, meglio di ogni altra imbarcazione, di navigare controvento. La caravella, nave agile e manovriera, diede al regno portoghese una marcia in più nella navigazione oceanica nell’epoca cosiddetta delle scoperte. Armata di cannoni, fu probabilmente decisiva nella battaglia navale di Diu quando nel 1509 la frotta portoghese distrusse quella musulmana, sessanta anni prima della battaglia di Lepanto, che stabilirà il dominio della santa alleanza sul Mediterraneo. Da quel momento, comunque, il controllo dell’oceano Indiano e delle rotte commerciali che lo attraversavano, fu qualcosa che riguardava solo le potenze europee. Il dominio portoghese fu contrastato nei secoli seguenti solo da quello Olandese e poi Britannico, mentre le coste asiatiche si costellarono di basi commercial-militari.
Non so se sia corretto collocare lì, a Diu, l’inizio della supremazia militare occidentale sul resto del mondo, ma certo da quel periodo quella supremazia, non è mai venuta meno, anzi fu potenziata con la Rivoluzione Militare Europea che in un secolo di atroci guerre intestine, nel ‘600; permise di sperimentare sui corpi stessi degli europei, un grande quantità di innovazioni tecniche e teoriche, comprese le armi da fuoco portatili. Una supremazia tecnica che non si è mai interrotta fino alla invenzione e all’uso della più immorale delle armi. L’atomica.
La ragnatela militare statunitense
Oggi questa storica superiorità militare europea diventata superiorità occidentale fa perno innanzitutto sulla enorme estensione della infrastruttura militare statunitense.
Secondo l’ultimo Base Structure Report[i] del ministero della difesa statunitense, aggiornato a dati 2022, quattro corpi d’armata degli Usa possono contare su 511 basi militari dell’estensione superiore a 10 acri in 43 paesi esteri, oltre a 159 basi in territori colonizzati esterni alla terraferma per un totale di 670 strutture. È stato stimato[ii] che, comprendendo anche le piccole stazioni la reale estensione della rete militare statunitense ammonti ad almeno 750 strutture in 80 paesi o colonie.
Secondo i dati della Cia sui 2,5 milioni di effettivi sarebbero in Europa circa 100.000 soldati statunitensi, in particolare in Germania, Italia e Regno Unito. Poi in Giappone (circa 56.000 soldati), in Corea del Sud (circa 28.000 militari) e in Medio Oriente (circa 15.000). Un documento della Cia testimonia comunque della presenza di militari statunitensi in ben 149 paesi, su 195 che aderiscono alle Nazioni Unite. Questo enorme apparato assorbe il 3% dell’enorme prodotto interno lordo statunitense (pari al 27% PIL globale) con una spesa pro capite di circa 2500 dollari per ogni cittadino Usa, quattro volte la spesa pro-capite del resto del mondo. Quasi la metà delle spese militari mondiali sono effettuate dal Pentagono. Questa enorme ragnatela armata, nonostante le sconfitte patite in guerra, dal Vietnam, all’Iraq, all’Afganistan, assicura ancora una sostanziale capacità di intimidazione nei confronti della maggior parte dei paesi. Una cosa nota.
La spesa militare occidentale
Meno nota è la dimensione della militarizzazione dell’Europa, che fu premio Nobel per la pace, ma che non ha mai realmente disarmato nonostante le litanie sulla povera Europa indifesa della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che, uscendo dalle proprie competenze, che non comprendono esteri e difesa, incita da tempo gli Stati ad armarsi agitando lo spettro della guerra. Ma l’Europa è indifesa?
Le cifre dicono il contrario. Anche a prescindere dall’apporto statunitense, l’Europa è già armata fino ai denti.
Sono appena state pubblicate le stime aggiornate al 2023 dello Stockholm International Peace Research Institute – SIPRI, il più autorevole e autonomo osservatorio sulle spese militari e sul commercio di armamenti nel mondo.
Nel 2023 la spesa militare dell’Occidente[iii] è stata, per l’ennesimo anno, enormemente superiore a quella del resto del mondo messo insieme. Essa corrisponde ancora al 64% di tutte le spese militari del globo, nonostante lo sviluppo economico di altri attori, in particolare della Cina e del mondo arabo abbia ridotto le distanze. Nel 1989 era pari al 69%.
Una distanza ancora molto consistente soprattutto se si considera che si sta paragonando la spesa di stati con una popolazione complessiva di poco più di un miliardo di persone (il 15% del totale) con quella dei restanti 7 miliardi. Nel suo insieme l’Occidente destina alle armi circa 1.200 dollari pro-capite contro i 130 del resto del mondo, quasi 10 volte di più.
Il 60% della spesa militare occidentale è coperto dagli Stati Uniti che, nel 2023 hanno superato il tetto di 900 miliardi di dollari per mantenere l’enorme apparato bellico di cui abbiamo parlato prima, oltre a finanziare la guerra in Ucraina e a Gaza. Il resto è assicurato dagli “amici asiatici” (140 Miliardi), dal Canada (30), Gran Bretagna (70), Turchia (15) e dall’Unione Europea.
La corsa alle armi dell’Unione Europea
A pochi giorni dalla invasione russa dell’Ucraina il cancelliere tedesco socialdemocratico, Olaf Scholz, ha annunciato un drammatico aumento del 30% della spesa militare con un investimento iniziale di 100 miliardi di euro, approvato in deficit con un’intesa bipartisan. La spesa tedesca era scesa dopo l’89 fino al 1% del Pil, ma ha ricominciato a salire continuamente dal 2014, fino all’1,5%. Ora è previsto un balzo che la porterà ben al di sopra del 2% richiesto dagli Usa.
Il governo ultraconservatore polacco di Mateusz Morawiecki ha approvato nel 2022 la “Legge sulla difesa della patria” stanziando circa 115 miliardi per il riarmo con l’obiettivo dichiarato di raggiungere la spesa del 4% del prodotto interno lordo entro il 2035 e raddoppiare gli effettivi dell’esercito portandoli a 300.000. Chi lo ha succeduto, il centrista Donald Tusk, ha rinforzato questa tendenza, parlando apertamente di condizione prebellica e dichiarandosi disponibile ad ospitare ordigni del nuclear sharing delle Nato. Ma anche in questo caso la spesa aveva cominciato a crescere da tempo.
Anche il governo francese ha avviato già da anni un processo di riarmo. Nel 2023 il budget delle Forze Armate è aumentato per il quinto anno consecutivo. Tra il 2017 e il 2023 i mezzi finanziari a disposizione delle forze armate sono passati da 32 a 44 miliardi di euro. L’obiettivo di questa traiettoria è di raggiungere i 50 miliardi di euro di bilancio per la difesa entro il 2025. Il presidente francese Macron si è già detto possibilista sull’impiego di truppe di terra europee in Ucraina.
Le spese militari della Gran Bretagna sono già cresciute dal 2% del 2016 al 2.26% del 2023 e il primo ministro Rishi Sunak ha annunciato l’obiettivo del 2,5%. Le spese italiane sono in crescita da 8 anni. Nel 2023 la spesa ammontava al 136% del 2015 e con l’obiettivo esplicito di raggiungere il 2% entro il 2028, raggiungendo la cifra di 38/40 miliardi di euro.
E si potrebbe continuare, perché tutti i paesi europei stanno aumentando il proprio arsenale già da prima della invasione russa dell’Ucraina.
Nel rapporto del Sipri, infatti, l’Europa risulta essere la zona del mondo in cui l’incremento delle spese militari è stato più significativo: +75% negli ultimi 10 anni, contro un aumento medio globale di circa il 25% nello stesso periodo.
L’Europa, nel suo insieme[iv] spende già oggi oltre 370 miliardi di euro, 440 se si comprende anche la Gran Bretagna, posizionandosi al secondo posto, dopo gli Usa e prima della Cina (320 Mld) per spesa militare, il 24% della spesa occidentale e il 15% di quella globale. Una spesa pro-capite di oltre 800 dollari, quasi il 2% del prodotto interno lordo.
Si tratta di quasi il triplo della spesa militare russa, che già è stata gonfiata negli ultimi anni dallo sforzo bellico in Ucraina e che ha raggiunto l’incidenza record dell’8% del prodotto interno lordo, il 16% del totale della spesa pubblica.
Risulta abbastanza evidente che con questi numeri l’idea di un’Europa indifesa che deve aumentare la propria spesa non ha alcun fondamento. Nessun paese al mondo potrebbe con qualche speranza di successo attaccare l’Europa, che avrebbe in ogni caso ampie possibilità di difendersi anche a prescindere dall’aiuto di altri paesi. A cosa serve allora il riarmo?
Neanche tanto tra le righe Mario Draghi nel suo discorso del 17 aprile a La Hulpe, ha lasciato trasparire il vero obiettivo del riarmo europeo, nessun accenno a improbabili difese di democrazia e diritti umani, Draghi è andato al sodo rivelando quello che è il pensiero di una parte dell’establishment economico europeo: “in un mondo in cui i nostri rivali controllano molte delle risorse di cui abbiamo bisogno, tale agenda deve essere combinata con un piano per proteggere la nostra catena di approvvigionamento, dai minerali critici alle batterie fino alle infrastrutture di ricarica” Dobbiamo riarmarci per andarci a prendere le mariterei prime che ci servono. Più o meno autonoma dagli Usa l’Unione Europea vuole tornare ai fasti coloniali e sappiamo che può essere anche peggiore degli stati uniti.
Il conflitto innescato dal tentativo di mantenere il predominio mondiale da parte dell’occidente è il vero obiettivo della corsa al riarmo alimentato ormai anche dalla spesa comunitaria.
L’Unione Europea ha varato una serie di provvedimenti a sostegno dell’industria europea degli armamenti e a sostenere azioni militari.
È del 2018 il Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (EDIDP), con un budget di 500 milioni. È il primo programma di sovvenzioni dell’UE mirato allo sviluppo delle capacità nel settore della difesa dell’UE e apre la strada al Fondo europeo per la difesa, approvato nello stesso anno, con uno stanziamento di 7 miliardi per il periodo 2021-27.
Nel 2021 viene poi istituito lo Strumento Europeo per la Pace (EPF), un fondo fuori bilancio del valore di circa 5 miliardi di EUR per il periodo 2021-2027 a cui attingere per “ogni iniziativa di mantenimento della pace e per contribuire a rafforzare la capacità delle forze armate di garantire la pace e la sicurezza sul territorio nazionale, nonché attraverso azioni di respiro più ampio nel settore militare o della difesa”. Il fondo per la pace è stato utilizzato (sic!) per inviare armi in Ucraina.
Segue l’ASAP del 2023 (Act in Support of Ammunition Production) finalizzato a “identificare, monitorare e anticipare i colli di bottiglia e le carenze nelle catene di approvvigionamento”, con 500 milioni, l’EDIP (European Defence Industry Program), lanciato nel 2024 con un finanziamento di 1,5 miliardi di euro, e nello stesso anno l’EDIRPA (European Defence Industry Reinforcement) che stanzia 310 milioni per incentivare appalti congiunti tra gli Stati membri nel settore della difesa. Il tutto compreso nella strategia EDIS (European Defence Industrial Strategy) che mira a rendere l’Europa autonoma negli armamenti per il 20235.
Mantenere il dominio mondiale. Lo sguardo a Est
Nel vertice Nato di Madrid del giugno 2022 è stato varato il nuovo concetto strategico, detto “Nato 360”. L’alleanza Atlantica fa un ulteriore salto rispetto al già superato limite della difesa del territorio europeo con numerosi interventi fuori area non difensivi, come in Iraq, Afghanistan, Libia, oltre alla guerra alla Serbia. A Madrid la Nato si è dichiarata funzionale ad “affrontare minacce provenienti da tutte le direzioni strategiche”, ha inserito le migrazioni e il cambiamento climatico tra le proprie attenzioni e denunciato la “concorrenza sistematica da parte della Repubblica popolare cinese, che mette in discussione i nostri interessi”.
Al vertice di Madrid erano presenti in qualità di partner i quattro “amici” asiatici con cui la Nato ha avviato il coordinamento strategico, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia. Quest’ultima è già incardinata nell’alleanza Aukus con Stati Uniti e gran Bretagna, che le permetterà di armarsi di una flotta di sottomarini nucleari.
Ad Aukus è in procinto di aderire anche il Giappone, che nel dicembre 2022 ha deciso un raddoppio delle proprie spese militari entro cinque anni abbandonando il pacifismo storico ed ha da poco firmato un accordo militare definito “storico” per il potenziamento e la riorganizzazione della presenza di truppe statunitensi sul suo territorio.
Usa, Australia, Giappone e India sono poi legate in una alleanza strategica informale nel “Dialogo quadrilaterale di sicurezza “detto Quad.
Nell’insieme gli amici asiatici della Nato hanno già raddoppiato la propria spesa militare (Giappone +50%, Australia +140%, Sud Corea +38%, Nuova Zelanda +13%) raggiungendo globalmente la cifra di 140 miliardi di euro ed ulteriori espansioni della spesa sono previste negli anni prossimi in particolare da parte del Giappone.
Anche il governo Meloni si è mosso in quella direzione ed ha recentemente firmato un’intesa di consultazione su sicurezza e difesa con lo stato nipponico ed ha annunciato un rafforzamento della presenza nell’Indo-Pacifico dove invierà la portaerei Cavour armata con F35 con capacità di trasporto di armi nucleari e per partecipare al Rimpac (Rim of the Pacific) 2024, la più grande esercitazione militare marittima di tutti i tempi.
[i] https://www.acq.osd.mil/eie/bsi/BEI_Library.html
[ii]. https://quincyinst.org/research/drawdown-improving-u-s-and-global-security-through-military-base-closures-abroad/#executive-summary
[iii] Quando si parla di Occidente in questo articolo si intende la somma dei paesi Nato, di quelli che hanno chiesto l’accesso e dei paesi asiatici non Nato, invitati come osservatori al vertice di Madrid della alleanza (Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud).
[iv] Per Europa occidentale si intende l’Unione Europea più i paesi che hanno fatto richiesta di entrarvi (Macedonia del Nord, Montenegro, Kosovo, Moldavia.)
* Fabio Alberti è un attivista pacifista, fondatore dell’associazione Un Ponte Per e membro dell’esecutivo della Rete Italiana Pace e Disarmo. In passato è stato segretario dell’Unione Inquilini e dirigente di DP e del PRC.
Immagine liberamente ripresa da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Carro_armato_-_Museo_scienza_tecnologia_Milano_06663_04.jpg