L’omologazione mediatica: fisiologia del potere, patologia della democrazia

Dino Greco*

“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa sono in complesso assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio…”

Karl Marx, Friedrich Engels, neL’Ideologia Tedesca

Con poche e residuali eccezioni, l’insieme dei tradizionali mezzi d’informazione e di divulgazione (giornali, riviste, cinema, radio, televisione) è posseduto/controllato/ispirato da centri di potere economico-finanziario riconducibili alle classi proprietarie e ai poteri dominanti.

Esistono fra di essi differenze di contenuto e di livello culturale, talvolta anche sensibili, ma un dato saliente li accomuna pressoché tutti, quello di ritenere che il mondo in cui viviamo (abbracciato senza riserve da alcuni, ritenuto emendabile da altri) sia tuttavia l’unico possibile e i rapporti sociali che ne sono espressione ormai dati, una volta per tutte, in una sorta di epilogo conclusivo del divenire storico. Tutto ciò che fuoriesce da questo schema, ed in particolare quanti pensano che la formazione economico-sociale capitalistica non sia altro che uno stadio transeunte della società umana, sono messi all’indice come pericolosi portatori di nostalgie passatiste o, nella migliore delle ipotesi, di utopie romantiche. Per conseguenza, tutte le espressioni culturali di matrice rivoluzionaria devono essere combattute o rimosse, insieme a coloro che se ne fanno banditori e la lotta di classe (del basso verso l’alto) viene semplicemente indicata come patologia delle relazioni sociali da estirpare.

È sufficiente uno sguardo sommario all’attuale panorama editoriale per capire come stanno le cose. 

La nuova Gedi (presidente John Elkann) detiene il 25% del mercato editoriale nazionale e edita  la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, 9 testate locali (fra cui Il Piccolo di Trieste), il settimanale l’Espresso e altri periodici. Fanno inoltre parte del gruppo anche tre emittenti radiofoniche nazionali (Radio Deejay, Radio Capital, m2o). 

Dal 2016, Urbano Cairo, imprenditore, bocconiano, carriera iniziata in Fininvest, presidente del Torino Football Club, diviene presidente e amministratore delegato di RCS Mediagroup che controlla il Corriere della Sera, La Gazzetta dello Sport, La7, Dipiù Tv e i mensili For Men e Natural Style

Confindustria è proprietaria de Il Sole 24 Ore, quinto giornale nazionale per vendite, che pubblica anche la rivista mensile in carta patinata, IL, centrata sugli avvenimenti internazionali, sui protagonisti del cambiamento e l’attualità come chiave di comprensione del lifestyle globale. Appartiene alla Confindustria anche Radio 24, decima in classifica tra le emittenti nazionali più seguite. Ma l’organizzazione dei padroni è penetrata anche in importanti testate locali. Ad esempio, attraverso il gruppo Athesis, che ha come principali azionisti le Confindustrie di Verona e di Vicenza, controlla L’Arenadi Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi, oltre ad avere in portafoglio la storica casa editrice Neri Pozza. 

Poi ci sono il Messaggeroe Il Mattino, proprietà del palazzinaro Gaetano Caltagirone (che con 3,8 miliardi di dollari, è tra gli italiani più ricchi, 891º nella classifica dei paperoni del mondo secondo la rivista “Forbes”), proprietario della Cementir S.p.A., il colosso del cemento, con partecipazioni in Assicurazioni Generali S.p.A., Unicredit S.p.A, Acea S.p.A., Grandi Stazioni S.p.A. 

Antonio Angelucci, eletto per tre legislature nelle liste del PdL e di Forza Italia, controlla la catena di strutture che fanno capo all’ospedale romano San Raffaele. Sono suoi Il Tempo, il Corriere dell’Umbria e, attraverso una fondazione, Libero.

Il Gruppo Monti-Riffeser possiede il Resto del Carlino,  (giornale simbolo di Bologna e primo quotidiano per diffusione in Emilia-Romagna e Marche, nonché settimo quotidiano più diffuso in Italia), La Nazione di Firenze, Il Giorno di Milano e Il Telegrafo.

Poi, a precipizio sulla sponda della destra politica, troviamo La Verità, fondata e diretta da Maurizio Belpietro, ispirata a un modello di giornalismo di pura propaganda reazionaria e Il Giornale, di Paolo Berlusconi, su cui non serve indugiare.

Infine, in versione solo telematica, dall’aprile 2020, La NuovaPadania.it,interpretedel nuovo corso intrapreso dalla Lega salviniana, ora non più “Nord”. E Il Secolo d’Italia, della Fondazione Alleanza Nazionale, ora diretto da Italo Bocchino dopo l’abbandono di Francesco Storace.

Dal settembre del 2020, Carlo De Benedetti, in area centro-sinistra ma in dissenso con la linea di “Repubblica” perché troppo schiacciata sul Pd, edita Domani, direttore Stefano Feltri, ex vice direttore de Il Fatto.

Poi c’è Avvenire, quotidiano che si muove nel rigoroso rispetto della dottrina della Chiesa cattolica, in relativa autonomia dalla gerarchia ecclesiastica. Si autodefinisce “quotidiano di ispirazione cattolica”, fatto interamente da cattolici, ma con l’ambizione di rendersi interessante anche per coloro che non sono credenti. 

il Fatto Quotidiano, fondato nel 2009 da Antonio Padellaro, rimasto direttore dalla fondazione del giornale fino al febbraio 2015, quando la guida è passata a Marco Travaglio. Il giornale ha un’ispirazione liberale, con qualche tratto “liberal” che nella melassa generale lo fa apparire un elemento di eccentricità rispetto al quadro sin qui illustrato.

Il manifesto èil solo quotidiano italiano che porta sopra la testata la scritta “quotidiano comunista”, anch’essa alquanto usurata in ragione della consolidata tendenza della direzione a sostenere campagne politiche di sostegno alla funzione baricentrica del Pd e al Centro-sinistra.Il giornale è pubblicato da una società cooperativa i cui soci sono gli stessi giornalisti e i tecnici addetti alla stampa; tutti i soci hanno lo stesso stipendio.

A questo desolante panorama va aggiunto l’intero filotto delle Tv, pubbliche (per usare un generoso eufemismo) e private, gestite da un personale giornalistico selezionato attraverso un rigoroso procedurale di lottizzazione dalle forze politiche presenti nel Parlamento e dai gruppi sociali dominanti. L’esclusione della sinistra radicale dai talk show (frequentati da una sgangherata compagnia di giro che litiga sul nulla) e da tutte le trasmissioni di informazione e di dibattito di natura politica ha assunto da tempo il carattere di un’automatica conventio ad excludendum gravemente lesiva della democrazia. A ben vedere, dalla RaiTv degli anni Sessanta e Settanta, presieduta da Ettore Bernabei, pedissequo guardiano dei binari per conto della Dc, non è passato molto tempo1.

Internet e il popolo degli Internauti

“Fermare la diffusione del sapere è uno strumento di controllo per il potere, perché conoscere è saper leggere, interpretare, verificare di persona e non fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa dubitare. Soprattutto del potere. Di ogni potere”                                                       Dario Fo 

I social stanno diventando sempre più la piattaforma primaria per il consumo di informazione ed è evidente come essi siano diventati anche un “campo di gioco” per la propaganda e le campagne di disinformazione.

Qui – al netto di notizie manifestamente false, o tese ad alimentare la “macchina del fango” – assistiamo alla sperimentazione di tecniche utili a veicolare interessi di gruppo, spacciati per interesse pubblico. Certo pseudo-giornalismo, dissimulando le proprie fonti, diventa così portatore, consapevole o inconsapevole, di tesi promosse da centri di potere che influenzano la formazione di opinioni e comportamenti collettivi.

Noam Chomsky, scienziato cognitivista e famoso comunicatore del Massachusetts Institute of Technology, si è occupato delle strategie ispirate dai governi e messe in atto dai media per manipolare le masse, riassumendole nel seguente decalogo:

Distrarre: vale a dire spostare l’attenzione del pubblico dai temi importanti ad informazioni ad effetto, ma del tutto insignificanti;

Inventare il problema e offrire la soluzione: drammatizzando una situazione (sulla scorta della shock economy messa in pratica dalle teorie liberiste di Milton Friedman e della Scuola di Chicago) per poi fare digerire soluzioni impopolari che sarebbero difficilmente accettate in condizioni normali;

Graduare: per poter manipolare le masse è necessario farlo gradualmente. Se si persegue l’abolizione di alcuni diritti fondamentali è preferibile eliminarli in piccole dosi progressive per non scatenare le proteste dei cittadini; 

Differire: si presenta una determinata riforma assicurando che, pur essendo negativa nel breve periodo, nel lungo periodo “andrà tutto bene”; 

Infantilizzare: parlando agli ascoltatori come se fossero bambini in modo da azzerarne il senso critico e renderli più propensi ad accettare il messaggio; 

Emozionare: in modo da inibire l’utilizzazione della razionalità e del pensiero critico;

Formare pubblico ignorante e compiacente: attraverso un sistema educativo basato più sull’acquisizione di nozioni che sulla formazione di un pensiero critico per conformare i bisogni e creare mode e tendenze; 

Rafforzare il senso di colpa: facendo credere alle persone che tutti i loro problemi derivino da loro stessi. Invece di ribellarsi contro il sistema i cittadini penseranno di essere i responsabili diretti di ciò che sta accadendo loro;

 Conoscere l’essere umano: le informazioni contenute nei social network, nei motori di ricerca e attraverso le App sono accuratamente studiate sia dalle agenzie di marketing che da tutti quegli enti che necessitano di informazioni relativamente ad un individuo o a uno specifico target per indirizzarne e controllarne i comportamenti.

Ma il tratto comune a tutte le strategie di manipolazione è senz’altro la ripetizione ossessiva di una frase, di un contenuto, esattamente come di un messaggio pubblicitario. 

In questo la moderna comunicazione di massa non ha inventato nulla. Tutti ricordano massima di Joseph Goebbels: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.

Il tema che allora si pone è come proteggersi dal diluvio di informazioni di ogni genere oggi in gran parte prive di filtri. E poi, ammesso che sia davvero possibile strutturare questa funzione su larga scala: chi sarà a possederne la chiave? Inoltre, una cosa è se tale funzione viene esercitata in paesi dove vige lo stato di diritto e una sostanziale libertà di espressione, un’altra, del tutto diversa, è se essa viene praticata in paesi caratterizzati dall’autoritarismo e dalla repressione del dissenso da parte del potere costituito. 

Si tratta allora di trovare soluzioni adeguate e proporzionate che promuovano e rispettino il diritto alla libertà di espressione, perché – sottolinea Amnesty International – “un giro di vite sul diritto all’anonimato on-line e l’obbligo di rispettarlo per i fornitori di servizi per la polizia, significherà necessariamente che alcuni difensori dei diritti umani in un altro paese non saranno più in grado di fare il proprio lavoro in modo sicuro”.

A contrastare il fenomeno delle notizie false vi sono siti di debunking che potremmo definire “cacciatori di bufale”, dove ciò che è riportato in certi link viene smentito, evidenziandone la mancanza di fonti informative affidabili. Negli ultimi anni i debunkers si sono ritagliati un ruolo di primo piano nella lotta al contrasto delle fake news, finendo per collaborare con movimenti, partiti, esponenti politici e giornalisti ed entrando persino nelle task force atte allo smascheramento della disinformazione on line. Si è persino creata una mitologia e una liturgia su queste figure, facendole assurgere all’Olimpo dei professionisti dell’informazione. Ma anche qui sorge la domanda: i “cacciatori di bufale”, i fact checkers (verificatori delle fonti)e i debunkers, sono davvero indipendenti?

Contrastare la colonizzazione dell’immaginario

Spartaco: “Sono libero, ma non so niente. Non so nemmeno leggere”
Lavinia: “Tu sai cose che non si imparano”
Spartaco: “Non conosco niente, niente! E voglio conoscere, sì, voglio conoscere!”
Lavinia: “Cosa?”
Spartaco: “Tutto: perché le stelle cadono e perché gli uccelli volano, dove va il sole di notte e perché la luna cambia forma. Voglio sapere da dove viene il vento…”
Dal film “Spartacus”, di Stanley Kubrik

“Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone”
don Lorenzo Milani, insegnante alla scuola di Barbiana

Il martellamento mediatico è così potente e pervasivo che finisce per esercitare una vera e propria funzione disciplinare sui nostri pensieri. Un esempio su tutti: Il “nostro” modello di sviluppo, sinonimo di progresso civile, quello che ha come unico parametro di giudizio la crescita infinita del PILe del consumismo, viene oramai accettato non solo come il migliore, ma come l’unico modo di valutare il grado di benessere collettivo, lo stato di salute dell’economia. E ciò malgrado sia proprio a carico di questo paradigma il rischio che l’umanità non sia più in grado di riprodurre se stessa. 

Non c’è una sola risposta a questo processo di colonizzazione del pensiero e dell’immaginario, anche se noi propendiamo a dire che la lotta di classe si incarica, nella sua materialità, di disvelare gli inganni e gli interessi che ad essi sottostanno. 

Ma anche la lotta di classe – come ci ha insegnato Antonio Gramsci – deve nutrirsi di un pensiero forte, autonomo e indipendente, capace di trasformare i governati in governanti, i diretti in dirigenti, senza la qual cosa non si supera il proprio stato di minorità, intellettuale politica e morale2.

Più ci presentiamo culturalmente disarmati nella capacità critica di elaborazione delle informazioni e degli input provenienti dall’esterno e più tendiamo ad interiorizzare un’unica visione del mondo, veicolata ed amplificata dai mass media e dall’industria culturale: idea del mondo che rinforza lo status quo e la situazione di privilegio nella quale si trova l’élite dominante.

Del resto, ancora nel settembre del 2000, Tullio De Mauro scriveva che “al di là delle tradizionali statistiche ufficiali, che parlano di un 10% persone non scolarizzate, noi ora sappiamo con certezza, in base alle più recenti ricerche dell’Ocse, che un terzo degli italiani adulti ha difficoltà di lettura, di scrittura e di conteggio, ed è quindi praticamente analfabeta. Un altro terzo supera queste difficoltà, ma non procede oltre nei livelli di alfabetizzazione, e quindi si trova in una situazione che psicologi e sociologi definiscono eufemisticamente a rischio, mentre la realtà è molto più cruda”. Oggi, mentre riprende la tendenza all’abbandono scolastico, le cose non vanno certo meglio. 

Dobbiamo allora lavorare affinché le generazioni presenti e soprattutto quelle future siano messe in condizione di entrare nella vita civile e politica con la giusta comprensione di come funziona la tecnologia, del modo in cui i media e i social media funzionano, e siano in grado di cercare attivamente informazioni diverse e precise. Questo non serve solo per difendersi dalla disinformazione e dalla propaganda, ma è semplicemente un requisito per nutrire delle menti aperte.


1Così, già a quell’epoca, Enzo Jannacci ne descriveva con graffiante ironia la potenza condizionante e cloroformica:
“La televisiun la g’ha na forsa de leun/La televisiun la g’ha paura
de nisun/La televisiun la t’endormenta cume un cuiun”.

2“Bisogna smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici; di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è veramente dannosa, specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell’umanità perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri (…). La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri”.  
Antonio Gramsci ,“Socialismo e cultura”, ne Il grido del popolo, 29 gennaio 1916.


*Dino Greco è responsabile della formazione politica del Prc. Già segretario generale della Cdlt di Brescia, quindi direttore del quotidiano “Liberazione”.


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