L’ultima chance di Unione Popolare e della sinistra radicale

Piero Bevilacqua

Lo dichiaro in anticipo con la crudezza che un minimo di onestà intellettuale richiede, soprattutto in questi casi. Unione Popolare nasce come ulteriore riproposizione dei plurimi esperimenti, quasi tutti falliti (salvo, in parte, l’Altra Europa per Tsipras), con cui la sinistra radicale dispersa ha cercato di mettersi insieme negli ultimi anni, giusto in occasione di scadenze elettorali. Nulla più che l’ennesima lista faticosamente costruita per tentare l’ingresso in Parlamento. Lista elettorale, aggiungo, pensata dai dirigenti dei gruppi maggiori, Rifondazione Comunista (RC) e Potere al Popolo (Pap), come l’unica forma di alleanza possibile tra i resti organizzativi di varie scissioni, ritenuti a priori incomponibili, incapaci di giungere ad una unità di azione che andasse oltre il reciproco interesse strumentale del successo nelle urne.

Novità, potenzialità ed errori

Nel caso di Unione Popolare, tuttavia, esistevano alcune novità rispetto agli esperimenti del passato. Del nuovo raggruppamento facevano parte, già prima del 25 settembre, quattro parlamentari fuoriuscite dal Movimento 5S, 4 donne con esperienze parlamentari e questo indubbiamente, anche sotto il profilo dell’immagine, appariva un punto di forza e anche una evidente novità. Un marchio di genere originale e inconsueto. Un’altra novità consisteva nel fatto che almeno l’idea della lista non nasceva a ridosso delle elezioni, le quali apparivano lontane prima della crisi del governo Draghi. Questa novità rispetto al passato – e qui comincio a inserire un primo elemento di critica strutturale al progetto – è stata tuttavia vanificata dal traccheggio da parte dei dirigenti delle varie forze, durato diversi mesi prima di varare il nome e il simbolo della nuova formazione. C’è voluta la minaccia delle elezioni anticipate per far nascere Unione Popolare. Ricordo qui, per utilità di cronaca, di aver organizzato un convegno a Roma sulla riforma fiscale il 3 marzo 2022, lamentando la mancanza di un nome, di un simbolo a cui intestare tale iniziativa. Una mancanza che non è venuta meno con il secondo convegno organizzato in Calabria il 28 maggio sull’agricoltura biologica in Italia.  E con il terzo, organizzato insieme Maurizio Fabbri, a Roma, contro la guerra in Ucraina. Tutte attività che ho potuto realizzare con altri compagni, romani e calabresi, e con Luigi De Magistris, al di fuori dei rapporti tra le varie forze che hanno ritardato la nascita di UP.

La terza e più importante novità di Unione Popolare rispetto alle precedenti esperienze di liste elettorali è la presenza di Luigi De Magistris e della sua organizzazione Dema. Una figura di leader dotato di visibilità nazionale, di capacità comunicativa, senza addosso le cicatrici di sconfitte politiche e di divisioni pregresse, un magistrato perseguitato per la sua intransigenza, un amministratore con alle spalle 10 anni di governo di Napoli, e che nelle elezioni regionali della Calabria, assolutamente privo di mezzi, ha ottenuto quasi il 17% dei suffragi. Si aggiunga che a Unione Popolare si è avvicinato un folto gruppo di intellettuali, alcuni già militanti in RC e Pap, come Giuseppe Aragno, Angelo D’Orsi e Raul Mordenti, altri provenienti da varie esperienze, come Pier Giorgio Ardeni, Filippo Barbera, Loris Caruso, Fabio De Nardis, Laura Marchetti, oltre a chi scrive. Figure che hanno assunto un ruolo di primo piano in UP, ma dietro cui, esiste un ampio aggregato di docenti e studiosi di varie università italiane che tengono in vita da anni alcuni importanti siti come l’Officina dei saperi e Osservatorio del Sud da me fondati. Si tratta di raggruppamento di forze prezioso, perché disseminato nelle varie università italiane, da Torino a Reggio Calabria, in grado di influenzare  ambiti importanti di società italiana.

Ebbene, De Magistris non solo rappresentava già allora e rappresenta oggi, il valore aggiunto per superare il 3% alle elezioni politiche, ma è il leader capace di superare la logica delle lista elettorale: vale a dire quella forma di azione politica  radicalmente fallimentare propria delle piccole forze di sinistra di presentarsi agli elettori, dopo mesi e anni di litigi, col sorriso finto sulle labbra, mostrandosi uniti per  chiedere qualche piccola postazione in Parlamento. Ma pronti a separarsi il giorno dopo le elezioni. La sua presenza costituiva e costituisce la premessa per un superamento di una unità fittizia e strumentale, e il tentativo di pervenire a un organismo nuovo, aperto, democraticamente fondato, con regole capaci di dare voce al pluralismo interno mantenendo unità d’azione e d’indirizzi. Indubbiamente un progetto ardimentoso, considerato lo stato attuale della sinistra, tenendo conto di una antropologia, quella del nostro tempo, devastata da un narcisismo individualistico che dissolve i legami, distrugge i rapporti umani, rode come un cancro il tessuto sociale. Ma bisogna riconoscere, a proposito della possibilità di successo e della necessità di questo tentativo, almeno due ragioni: 1) La situazione nazionale e mondiale, lo stato del pianeta, che chiedono drammaticamente la presenza di una voce radicale, anticapitalistica, ma non settaria, come quella di UP, soprattutto nello scenario italiano 2) Solo un progetto di formazione politica nuova, con le caratteristiche aperte di UP, può tornare ad attrarre all’impegno politico le persone deluse da vent’anni di fallimenti ed errori.  Deluse, aggiungo e spesso recriminanti e risentite per i torti e le delusioni patite.

Superare le resistenze

Constato tuttavia che gran parte dei dirigenti di RC e soprattutto di Pap non riescono ad abbracciare UP come nuovo soggetto politico in cui le loro componenti si fondano dando vita a una nuova soggettività organizzata. Le ragioni di tale resistenza sono varie, in parte comprensibili. Divide il loro approccio da quello delle altre forze di UP, una valutazione molto più pessimistica sulla possibilità di alleanze con le altre forze della sinistra. Qui mi limito a sottolineare solo un aspetto. Gran parte di essi non si curano della immagine che le loro sigle proiettano all’esterno, di come vengono percepiti dall’opinione pubblica. Un atteggiamento persino apprezzabile, sino a un certo punto, se rappresentassero delle formazioni solide ampie e influenti, giustamente paghi di essere stimati dai ceti popolari che vogliono rappresentare. Ma questo, purtroppo, non è il caso. In più resta il fatto, troppo trascurato, che viviamo nella società dello spettacolo, dove si consumano rapidamente le rappresentazioni e se ne chiedono sempre nuove. RC e Pap, checché ne possiamo pensare noi, vengono percepite come forze ininfluenti e persino vecchie, che è il marchio del fallimento nel mondo dominato dalla pubblicità, dall’obsolescenza accelerata delle merci e delle informazioni. Prendere atto di questa realtà, che è il frutto del grado di dominio del capitalismo sulle nostre società e sulle nostre menti, è una condizione di partenza inaggirabile, oggi, dell’agire politico. Il consenso si ottiene anche sulla base della immagine che si trasmette all’esterno. Le forze avversarie si servono di esperti della comunicazione, manager, personale che ha studiato una vita per manipolare l’opinione pubblica, e noi crediamo di arrivare alle orecchie di qualcuno urlando senza megafono le nostre amare denunce e agitando bandiere che soprattutto ai giovani non parlano più.

Oggi, dopo i risultati elettorali deludenti del 25 settembre, Unione Popolare è in una condizione di stallo e rivela tutti i suoi problemi di fondo. Siamo giunti all’appuntamento delle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia del tutto impreparati, come del resto impreparati siamo pervenuti alle elezioni politiche nazionali. Tuttavia bisogna riconoscere che la raccolta delle firme in piena estate per partecipare alla competizione è stato un fatto straordinario, che ha mostrato la capacità di mobilitazione, soprattutto degli attivisti di RC e Pap, e va anzi detto e sottolineato che il lavoro  per la campagna elettorale dell’estate scorsa ha mostrato la non comune potenzialità politica di questo insieme di forze. Ricordo che al suo interno ci sono esponenti politici di grande esperienza nazionale ed europea, ex parlamentari, ex dirigenti sindacali di primo piano, amministratori, qualche sindaco, militanti di tante battaglie, schiere di giovani attivisti capaci di sacrifici straordinari, come quelli di Pap che io ho conosciuto l’estate scorsa in Calabria. Intellettuali influenti che scrivono sulla stampa di sinistra. È un insieme di personalità che per onestà intellettuale, capacità di lotta, esperienza politica, potrebbe davvero fare la differenza nello scenario politico della sinistra italiana. 

No alle vecchie logiche

Sino a poco tempo fa, molti esponenti di RC, e soprattutto di Pap e di ManifestA, ritenevano che l’unica forma organizzativa realisticamente praticabile di UP fosse una federazione delle 4 forze fondatrici. Una scelta, a mio avviso conservatrice e perdente che io ho criticato con le seguenti motivazioni:

1) Presentarsi dopo un eventuale congresso costitutivo di UP con 4 sigle costituirebbe un evidente messaggio della nostra incapacità di passare da una semplice e strumentale lista elettorale a  una organizzazione più solida, in grado almeno di promettere un certo grado di unità. Non dimentichiamolo, non scordiamocelo mai: la colpa più grave che i ceti popolari ci rimproverano è la nostra disunione, che ci impedisce di rappresentarli e proteggerli

2) Un “partito federale”, come veniva  definito da chi lo proponeva, puzzerebbe di scissione imminente, proprio di una organizzazione pronta a scindersi al minimo disaccordo, formato da gruppi che non si fidano l’uno dall’altro, che   portano ancora in corpo il risentimento di antiche lacerazioni.

3) Un partito di separati in casa offrirebbe l’ immagine grottesca non di 4, ma di 5 forze che si federano, perché inevitabilmente gli aderenti a UP non provenienti dai gruppi fondatori apparirebbero come la quinta forza che si unisce a RC, Pap a Dema e ManifestA. Con quanta capacità di seduzione sull’opinione pubblica lascio immaginare. 

4) Questa soluzione federale moltiplicherebbe la lentezza e l’inagibilità decisionale di UP, quella stessa che ha finora reso lenta l’azione politica di questa formazione. Il dover sottostare, prima di prendere una qualche decisione importante, al parere dei vari organi dirigenti, centrali e periferici, di RC e Pap (comitati federali, comitati centrali, ecc.) renderebbe estremamente macchinosa, sfilacciata in lunghi tempi morti ogni iniziativa politica, ogni scelta d’azione, che oggi richiede spesso immediatezza e tempestività.

5) L’impraticabilità, segno di una scelta conservatrice, della proposta del partito federale, appare in tutto il suo splendore se si pensa alla sua alternativa, avanzata da molti esponenti, potenzialmente la maggioranza, di Unione Popolare. Lanciare una campagna di adesione a UP, nella quale una testa equivale a un voto, per eleggere ai vari livelli i suoi dirigenti. In questo modo – ferme restando le appartenenze di ciascuno alle proprie formazioni – coloro che a luglio hanno dato vita a una lista elettorale, con una operazione di vertice, si sottopongono alla legittimazione democratica degli iscritti e dei militanti e governeranno UP come singoli, rappresentanti né di RC, né di Pap, né di Dema, né di Manifesta, ma di un nuovo soggetto, aperto alla lotta e al confronto con le altre forze politiche, secondo meccanismi decisionali che saranno regolati da uno Statuto, ispirato alle logiche  non particolaristiche, né frazionistiche di Unione Popolare.

Di recente, tramontata l’ipotesi del partito federale, si è fatta strada una scelta  di compromesso più realistica; quello di una formazione politica con strutture più unitarie che affideranno a organismi democraticamente eletti e alle norme statutarie il compito di governare il ricco pluralismo di questo insieme di forze. Non un vecchio partito, dunque, ma un organismo agile, uno spazio politico
lo definisce qualcuno, che cercherà adesioni con un suo Manifesto programmatico e cercherà di essere presente nei territori per combattere contro il peggiore governo dell’Italia Repubblicana, contro la guerra, in difesa dei lavoratori e partecipando alla vasta campagna referendaria che si sta aprendo nel nostro Paese.

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