Piccola borghesia tra socialismo e fascismo

Paolo Ferrero

Davide VENDER, Piccola borghesia tra socialismo e fascismo, Odradek editore, Roma 2021

Il libro di Davide Vender, Piccola borghesia tra socialismo e fascismo (Odradek editore, 20 euro), è un libro da leggere. Un libro con una ricchissima documentazione che avanza un’ipotesi di lettura sulla nascita del fascismo, innovativa e convincente.

Inoltre, nell’affrontare il tema della nascita del fascismo allarga lo sguardo a elementi di lunga durata sui caratteri irrisolti della storia nazionale, con particolare riferimento alla classe borghese ed ai ceti spuri, la piccola borghesia. Come sappiamo, il contesto in cui nasce il fascismo è la crisi successiva alla prima guerra mondiale.

Una crisi dello stato liberale ma altresì degli equilibri sociali preesistenti, sia per quanto riguarda il movimento operaio che per quanto riguarda il mondo contadino.

È in particolare su quest’ultimo che Vender concentra la sua attenzione e vi rintraccia gli elementi costitutivi del nascente movimento fascista.I contadini hanno sostenuto il prezzo della guerra. Sono loro i fanti mandati a morire negli assalti suicidi nella terra di nessuno, con alle spalle puntati i fucili dei carabinieri.

Una volta finita la guerra, nelle campagne abbiamo avuto, da una parte, le proteste socialiste dei braccianti che chiedevano la collettivizzazione delle terre, e dall’altra la riproposizione della grande proprietà latifondista, in larghissima parte assenteista.

In mezzo la dinamica struttura dei mezzadri con la speranza di diventare piccoli proprietari. Una speranza che vedeva nelle rivendicazioni socialiste una minaccia e nella classe latifondista una mancata tutela.

Questo “ceto intermedio” dei mezzadri fu – secondo la ricostruzione di Vender – la struttura portante e militante del nascente squadrismo fascista che individua nei braccianti e nella struttura del socialismo militante i propri nemici mortali: se vincessero i socialisti, scomparirebbe il sogno di diventare piccoli proprietari.

Dall’altra, questo squadrismo fascista serve ai grandi proprietari terrieri per ripristinare l’ordine ma parimenti, rappresenta un’ “eccedenza” di protagonismo non solo militare ma sociale e politico rispetto alla grande borghesia assenteista.

La chiave di lettura del libro di Vender è che questa dinamica avvenuta nelle campagne italiane – in particolare nella Pianura padana – rappresenti la dinamica di nascita della struttura militante fascista. Poi il fascismo è diventato fenomeno metropolitano, con un ruolo significativo degli impiegati e della piccola borghesia contadina. Ma, nel suo atto di nascita di “rivoluzione conservatrice”, sono gli strati contadini che aspirano a diventare piccoli proprietari che ne costituiscono l’ossatura.

Che i contadini piccoli proprietari abbiano fatto la fame per tutto il ventennio, che la frammentazione della proprietà abbia determinato una produttività molto bassa del settore agricolo che ha danneggiato non solo gli stessi proprietari ma il complesso della popolazione italiana, e che questo abbia determinato uno dei caratteri più pesanti dell’arretratezza della struttura economica e sociale del Belpaese, mostra solo la grandiosa irrazionale demenza dell’ideologia e della politica fascista.

Ma con la forza di questa utopia negativa del fascismo occorre misurarsi, visto che larga parte della piccola impresa italiana nel dopoguerra nasce ricalcando le aspirazioni di quella piccolissima borghesia agricola, e che tratti simili li incontriamo oggi. I ceti sociali “spuri”, sovversivi e allo stesso tempo tranquillizzanti e popolari, li vediamo infatti all’opera quotidianamente.

Merito di Vender è quello di aver individuato una chiave di lettura della nascita del fenomeno fascista che non solo mi pare corretta, ma che nel suo carattere strutturale di intreccio tra debolezza della grande borghesia e aspirazioni del ceto medio, fornisce anche una chiave di lettura della longue durée della storia italiana.

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