Proteggere la vita. I diritti fondamentali alla prova della pandemia

Dmitrij Palagi

Jürgen Habermas, Proteggere la vita. I diritti fondamentali alla prova della pandemia (introduzione di Gustavo Zagrebelsky), il Mulino, Bologna, 2022

Quale è stata ed è la relazione tra SARS-CoV-2 e i diritti fondamentali riconosciuti nelle nostre democrazie? A questa domanda prova a rispondere una riflessione di Jürgen Habermas, a cui si aggiunge un’introduzione di Gustavo Zagrebelsky che occupa metà del libro, rappresentando una parte fondamentale della pubblicazione. Gli autori del volume sono quindi due, impegnati a misurarsi sullo stato di emergenza pandemico e su come abbiano risposto le democrazie occidentali, sul piano del rispetto dei diritti ritenuti fondamentali in queste società.

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Con forza emerge, in entrambi, la necessità della politica, intesa come pratica in cui ci si preoccupa della collettività e ci si fa carico dei bisogni non individuali. Di fronte a SARS-CoV-2 non era semplice calcolare il rischio e si è fallito nel definire in modo chiaro quali fossero gli obiettivi. Avere meno morti possibili o evitare il collasso di un sistema sanitario che è rimasto privo dei necessari investimenti ancora oggi, nonostante le promesse? Solo superficialmente si può pensare che ci sia sovrapponibilità tra le due cose: la restrizione delle libertà e la drammaticità delle tensioni vissute poteva essere alleviata da un migliore servizio pubblico?

Quanta capacità c’è stata di rendere trasparenti le logiche decisionali di chi ha governato tra il 2019 e il 2022?  

Il filosofo della Scuola di Francoforte si preoccupa di spiegare la legittimità delle decisioni prese in Germania, dove «lo stato di emergenza è limitato al caso della guerra e delle esigenze militari»: SARS-CoV-2 è descritto come un nemico, con un’esplicita metafora bellica pensata prima dell’invasione russa in Ucraina. Emerge il problema dell’equilibrio, tra dignità e vita. Chi muore non può tornare indietro, mentre il riscatto di una condizione migliore può sempre essere ottenuto: una sconfitta è reversibile, l’annientamento cancella ogni possibilità. Su questo le riflessioni di Habermas non risultano però totalmente efficaci. A chi spetta capire per cosa valga la pena vivere, quale sia una “vita degna”? 

Correttamente si sottolinea la necessità di vedere le persone concorrere alla salute pubblica, con comportamenti solo in parte imponibili. L’obbligo vaccinale è solo uno dei nodi critici. Si può prevedere un obbligo per legge, ma la richiesta di rinunciare a una parte della propria libertà, come gesto di solidarietà (evitare il contagio delle persone intorno), può essere efficace solo se ci si riconosce nella collettività. Nella lotta contro la polio ci sono state persone rimaste segnate dall’immunoprofilassi, ricevendo in cambio un riconoscimento. Complessivamente il pericolo legato ai vaccini era riconosciuto come significativamente minore, rispetto alla malattia. Nell’emergenza Covid-19 si è però registrato un fallimento totale di tutte le logiche non repressive, arrivano a polarizzare tutto il dibattito pubblico tra presunti schieramenti “sì vax” e “no vax”. 

Come bene evidenzia il costituzionalista italiano, in alcuni casi lo scientismo ha sostituito la scienza, cancellando il metodo scientifico e istituendo alcuni dati a verità indiscutibili, messe poi invece in discussione in fasi successive, come è normale avvenga nel campo della ricerca e delle scoperte. Oscurandosi l’orizzonte del futuro, fattosi inauditamente cupo, il dubbio è divenuto illegittimo, alimentando le teorie del complotto. Abusando delle parole, si è creata una immunità dal pensiero critico e dalla discussione pubblica, riempiendo la quotidianità di dibattiti televisivi male impostati, rendendo indecifrabili le logiche degli esecutivi. «Nelle situazioni di emergenza, non la quiete passiva e rassegnata, ma l’inquietudine è una virtù democratica».

In questo, Proteggere la vita può essere uno strumento utile per capire le conseguenze di lungo periodo di ciò che abbiamo vissuto. L’eccezione serve a cambiare i paradigmi della società, l’emergenza riguarda il tentativo di rientrare il primo possibile a uno stato precedente: non c’è però restaurazione possibile. Uscire dalla pandemia può vederci migliori o peggiori di come ci siamo entrate ed entrati, difficilmente il tutto si tradurrà in una parentesi avulsa dall’imminente futuro.

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