Qualche considerazione sul negazionismo
Paolo Ferrero*
Nella pandemia del Covid-19 è emerso in forme assai diffuse il fenomeno del negazionismo: da chi sostiene che il Covid non esista, a chi afferma che è molto meno pericoloso di quel che si vuol far credere, a chi denuncia che i provvedimenti di distanziamento sociale o le mascherine sono una inutile e inaccettabile messa in discussione della libertà personale.
Questo insieme di posizioni trova un punto di convergenza in quello che più che una posizione è uno stato d’animo: la denuncia dell’arbitrarietà di ogni provvedimento di riduzione della propria libertà individuale.
Questo stato d’animo trova la sua rappresentanza politica nelle forze della destra fascistoide. Queste non si pongono per nulla il problema di dare una spiegazione compiuta, e quindi una soluzione, al disagio che vivono le persone. Il loro obiettivo è entrare in sintonia e di rappresentare, amplificandolo, lo stato d’animo di insofferenza. Le giravolte del duo Meloni-Salvini, che noi leggiamo come incoerenza, sono in realtà un esercizio di sintonia con una parte della propria base elettorale, di sintonia con uno stato d’animo, non con un programma o una soluzione.
Mi pare che questa – e molte altre credenze destituite di ogni fondamento – ci pongano un problema preciso: capire perché nella società tecnologicamente più avanzata che la storia dell’umanità abbia mai prodotto (il problema non è certo solo italiano), il livello di credenze magiche tra la popolazione fa impallidire il medioevo. Capire cioè come convivano scienza, razionalità tecnica e magia. Non è un compito facile ma è necessario misurarsi con questo problema, cercare di capire, perché le cose che sembrano folli segnalano sovente fenomeni reali profondi.
Non analizzare il negazionismo con i criteri con cui i negazionisti giudicano il mondo
Innanzitutto, per fare una analisi sensata, occorre distinguere le milioni di persone che in buona fede pensano che il Covid non esista, o che il mondo sia stato creato come scritto nella Genesi, dai politici che agitano gli stessi concetti per attrarre consensi. Occorre cioè in primo luogo analizzare il fenomeno sociale, non i politicanti furboni che usano e alimentano le credenze popolari per ottenere consenso.
In secondo luogo occorre analizzare il complesso di questi fenomeni con l’attitudine di cui ci ha parlato Marx, che considerava la creduloneria il difetto umano verso cui essere più indulgenti. Proprio lui, che ha passato la vita a capire come funziona la società al di là delle apparenze, al di là delle ideologie, ci rende attenti al fatto che la diffusione di credenze infondate non è il lascito di un passato remoto, ma uno dei principali prodotti del capitalismo sviluppato. Il capitalismo, come giustamente sottolinea Loredana Fraleone nell’editoriale, produce fisiologicamente falsa coscienza e alienazione, cioè una percezione rovesciata del reale.
In terzo luogo occorre avere chiaro che gli elementi che esporrò qui di seguito vanno presi nel loro insieme di indicazione di tendenze, di ricerca di alcuni fili attraverso cui può maturare lo stato d’animo negazionista. Chiunque assolutizzasse le piste di ricerca sotto indicate non capirebbe nulla, trasformando il tutto in una caricatura. Non esiste alcuna spiegazione del negazionismo che sia monocausale, e non esistono soluzioni salvifiche. Esiste una serie di fattori che contribuiscono a determinare una clima in cui il negazionismo diventa dicibile, può diventare un “pubblico discorso”, così come esistono una serie di cose da fare che possono rispondere almeno in parte alle cause di questa – come di altre – credenze infondate.
Una forma religiosa?
Tutti ricordano l’affermazione di Marx sulla religione come oppio dei popoli. Leggiamo la frase integrale che permette di capire cosa Marx volesse dire veramente:
“La religione è il singhiozzo della creatura oppressa, è il sentimento di un mondo senza cuore, è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo significa esigere la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla propria condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni”.
Per Marx, in primo luogo la religione è una forma di consolazione rispetto ad una situazione di disagio percepita come non risolvibile, a una condizione che ha bisogno di illusioni. La credenza religiosa è un effetto; la condizione che ha bisogno di illusioni è la causa.
Sulla base di questa considerazione, Marx ha a lungo polemizzato con i giovani hegeliani che, dal loro punto di vista di atei, scrivevano libri su libri sul fatto che Dio non esiste. Marx, da buon materialista – ovviamente ateo – sosteneva cheporre al centro la discussione se Dio esistesse o meno, era puramente idealistica, senza senso. Per il Nostro, il problema era individuare le cause dell’alienazione (in primo luogo lo sfruttamento), e lottare per eliminarle. Il punto fondamentale è quindi lottare per eliminare le cause che rendevano la religione – e cioè la promessa di un risarcimento dopo la morte, col regno dei cieli – utile e per certi versi “necessaria”.
Oggi, possiamo polemizzare a lungo con i creazionisti, ma difficilmente riusciremo a convincerli, se la razionale spiegazione di come funziona il mondo non si accompagnerà al superamento dell’alienazione che ha prodotto quella credenza. E’ proprio l’alienazione, sovente percepita ma non riconosciuta, che rende il rifugiarsi nel mondo rassicurante del fondamentalismo religioso o in quello magico
delle credenze o in quello semplificato del complottismo, una condizione auspicabile rispetto al riconoscimento del reale.
Quali sono le condizioni che hanno bisogno di illusioni?
Oggi la deprivazione materiale più diffusa in Occidente è la condizione di insicurezza, il rischio e la paura di perdere il proprio status: ci si sente soli e impotenti. La paura di perdere il proprio status determina una condizione di stress per certi versi maggiore che avere un cattivo status. Non è un caso che i migranti che sbarcano scalzi e non possiedono nulla sono pieni di vita e di speranza, mentre i piccoli proprietari si sentono soli, spaventati e incarogniti. La percezione del futuro, con speranza o con paura, ha una grande rilevanza per l’oggi, è una “forza materiale” avrebbe detto Althusser.
Nei paesi occidentali, in assenza di un dispiegato conflitto di classe, larga parte del mondo del lavoro si sente sola ed indifesa esattamente come i piccoli proprietari. In mancanza di una efficace e generalizzata difesa collettiva e in presenza di una scarsa identità di classe, una parte dei lavoratori tende ad identificarsi sulla base della propria nazionalità o del fatto di essere proprietaria o risparmiatrice, anche quando le proprietà e i risparmi sono ridicoli, poco maggiori delle famose catene di cui parlava Marx.
Chi ha paura di perdere il proprio status ha bisogno di un responsabile con cui prendersela. Non funzionando oggi, a livello di massa, una banale analisi di classe che disveli lo sfruttamento e aiuti a individuare nell’avversario di classe il responsabile della propria condizione di disagio, la costruzione del nemico, segue percorsi fantasiosi e assume le caratteristiche del capro espiatorio.
Il capro espiatorio, come ci insegna la storia dei fascismi del secolo scorso, è sempre duplice. Uno verso cui si rivolgono pensieri di odio, l’altro verso cui si rivolge l’odio concreto. Il primo è il complotto giudaico massonico, il complotto plutocratico; quello concreto sono gli africani da gasare, gli ebrei da sterminare o gli slavi da assoggettare come schiavi. La coppia dei capri espiatori che ha caratterizzato il fascismo e il nazismo ne vede uno in alto, potente, e uno in basso, debolissimo. Quello in alto è “indicato” e serve a salvarsi l’anima (pensate all’anticapitalismo esibito dal nazismo e dal fascismo nella fase nascente), quello in basso è vigliaccamente agito: dall’olio di ricino ai comunisti alle camere a gas per ebrei e rom. In questa vicenda, se il complotto individuato è quello dei club che gestiscono la globalizzazione, il primo capro espiatorio con cui prendersela è lo stato che di quei poteri è servo e poi – contraddittoriamente – nonostante “il covid quasi non si sia”, con gli untori, i mitici migranti che ovviamente “continuano a arrivare indisturbati, incontrollati e ovviamente contaminati”.
In che modo la narrazione magica svolge però una funzione consolatoria di tipo religioso?
A me pare che in primo luogo svolga una funzione di conferma della propria identità, dei propri stili di vita e dei propri convincimenti. Prendere sul serio la vicenda del Covid chiede non solo una messa in discussione del nostro stile di vita e della società consumista. Chiede di riconoscere che non è vero che il mercato e la libera iniziativa degli individui risolvano tutti i problemi. Chiede di riconoscere l’enorme utilità dello stato, chiede di potenziare la ricerca pubblica, la sanità pubblica, l’istruzione pubblica e così via. Il Covid dimostra che il pensiero unico, l’ideologia liberista, è fondata unicamente su menzogne. Per chi questo questa ideologia l’ha subita può essere facile riposizionarsi. Per coloro che sull’ideologia del “privato è bello” hanno costruito la loro carriera ma anche la loro vita – ed in alcuni strati sociali sono numerosi – risulta assai più difficile. Viceversa se il Covid non esiste ed è solo un complotto, è sufficiente prendersela con lo stato che “oltre a rubare i nostri soldi con le tasse adesso vuole anche toglierci la libertà”. L’imprenditore convinto del liberismo, di fronte al fallimento della sua attività economica dovrebbe guardarsi allo specchio e dire : “è il mercato, bellezza”. Ovviamente questo non succede, e il negazionismo è uno degli elementi che forniscono l’ideologia di copertura per poter rivendicare l’assistenza dallo stato rimanendo liberisti integrali. Se non c’è il Covid, l’azienda – che sia una fabbrica o un negozio a un bar poco importa – chiude per colpa dello stato che fissa delle regole, mica perché il “mercato” non ha più bisogno di quella attività.
Condizione sociale e ideologia di legittimazione
Quest’ultima considerazione apre una riflessione su un possibile rapporto tra negazionismo e interessi materiali: gli imprenditori – dai più grandi ai più piccoli – i piccoli commercianti, gli artigiani e in generale chi vive del proprio lavoro autonomo non vogliono chiudere e non vorrebbero ridurre il loro volume di affari. Per i grandi è un problema di milioni da guadagnare, per i piccoli e piccolissimi è sovente questione di vita o di morte. Vi è quindi una spinta oggettiva, materiale e comprensibile, a tenere aperto tutto a prescindere dagli effetti che questo ha. Questo comportamento razionale rispetto ai propri interessi ma negativo nei confronti della società, difficilmente può essere espresso in questa forma, richiede una narrazione di supporto. In questa difficoltà, in questa contraddizione tra i propri interessi materiali e gli interessi generali, si fa in qualche modo strada una via di fuga: il Covid non c’è, e se c’è è poco più di una influenza e in ogni caso è indebolito, e comunque la sua trasmissione non dipende dal fatto di entrare in dieci nel mio negozio o di bere spritz gli uni attaccati agli altri nel mio bar…. Sia chiaro, non sto dicendo che la maggioranza dei lavoratori autonomi pensa questo. Dico che esiste una contraddizione materiale, reale, che evidenzia come il negazionismo possa esprimere una quadratura del cerchio che risponde a un bisogno reale.
Su un altro piano, con l’ideologia neoliberista propagandata dalle televisioni commerciali, incarnata da Berlusconi e praticata dal sistema delle imprese, ci è stato inculcato il diritto alla libertà irrresponsabile. La libertà intesa come onnipotenza del soggetto (individuo o impresa) di fare quello che vuole. Tutto quello che si riesce a fare, anche attraverso soprusi, è considerato legittimo proprio in quanto è stato fatto: è la legge del più forte, il Far West dove si può mangiare, bere, sfruttare il lavoro o il corpo altrui. In questa narrazione liberista, la libertà consiste nella pretesa di esercitare, in quanto adulti, il diritto al godimento narcisista e irresponsabile proprio del neonato.
Questa visione del mondo ipercapitalista, in cui ognuno si è fatto da sé e ognuno consuma e gode quel che si è guadagnato, fa il paio con il nazionalismo che propaganda l’idea secondo cui potremmo domattina chiudere le frontiere e vivere tutti meglio. Siamo di fronte a un delirio in cui, in un mondo che non ha mai visto una divisione del lavoro così accentuata e cioè una interdipendenza così alta di ogni individuo dal complesso degli altri individui, l’ideologia dominante è l’individualismo sfrenato e irresponsabile. È del tutto evidente che contando solo su noi stessi, non saremmo in grado di sopravvivere una settimana, altro che Robinson Crosue… Questo delirio di onnipotenza individuale considera la mascherina un indebito sopruso, perché l’individuo non deve avere alcun obbligo sociale: non ha quello di pagare le tasse, figuriamoci quello di mettersi la mascherina… Il Covid rende evidente la follia rapace dell’antropologia neoliberista.
Concludendo
Si potrebbero fare altri esempi – banalmente che si neghi il Covid per la paura di morire… – ma a me pare evidente che il diffondersi dell’ideologia negazionista in una fetta minoritaria ma non irrilevante della popolazione chieda di approfondire l’analisi e di avanzare una proposta politica che interagisca con il disagio di cui il negazionismo si alimenta. Senza alcuna pretesa di esaustività, mi permetto di indicare due filoni di iniziativa.
Il primo è la rivendicazione di una rete di provvedimenti che mettano in sicurezza la vita delle persone. Dal blocco dei licenziamenti a un reddito minimo decente per tutti e tutte coloro che non hanno il lavoro o che l’hanno perso, a misure concrete che permettano ai piccoli proprietari come ai lavoratori autonomi di non venire travolti dall’assenza di tutele sociali. Occorre cioè rivendicare un intervento pubblico universalistico che tuteli il complesso dei due terzi più poveridella popolazione, costruendo un conflitto che permetta a tutti di identificarsi e non sentirsi solo. Aprire una lotta durissima per l’utilizzo delle centinaia di miliardi di euro che lo stato italiano avrà a disposizione nei prossimi mesi ed anni, evitando che vengano semplicemente trasferiti ai ricchi per il tramite delle loro imprese, è il punto fondamentale per cambiare le cose e aiutare le persone a superare narrazioni infondate. Nell’individuare gli obiettivi da raggiungere, siamo consapevoli di dover operare per costruire un grande movimento di massa, ma non siamo in grado di prevedere le forme di conflitto che potranno emergere in questa situazione. Io penso che dovremo attraversarle tutte, senza ritrarci davanti alla possibilità che assumano anche il volto della rivolta. I “Gilet gialli” insegnano, e Napoli conferma.
Il secondo filone è la diffusione del sapere critico a tutta la popolazione. Questo significa in primo luogo il potenziamento dell’istruzione, cioè l’investimento sulla scuola e sull’educazione permanente, punto fondamentale di uno stato degno di questo nome. Per le ragioni sopra esposte non credo che la formazione culturale sia sufficiente, da sola, a scacciare le cattive idee dalle teste delle persone. E’ però una condizione necessaria. Oggi siamo in una situazione di analfabetismo di ritorno legata anche alle grandi difficoltà in cui versa la scuola, da anni fatta oggetto di tagli indiscriminati. Dalla vicenda del Covid emerge chiaramente il ruolo enorme e positivo degli insegnanti, ma a causa delle scelte governative la scuola nel suo complesso esce indebolita. Occorre quindi rivendicare che il governo italiano potenzi fortemente la scuola – investendo in personale e strutture – e dentro questo potenziamento avvii un progetto di educazione permanente che faccia perno sulla comprensione del reale. Comprendere in che mondo viviamo, sia dal punto di vista della realtà naturale che dal punto di vista dell’effettivo funzionamento delle relazioni sociali, è un punto decisivo. Non a caso l’ ideologia capitalistica, che serve ad occultare la realtà dello sfruttamento e le potenzialità della liberazione umana, ci presenta la realtà sempre in forme mistificate. Basta ascoltare un economista liberista…
Le credenze infondate sono un effetto della situazione che viviamo. Mentre contrastiamo con nettezza gli effetti negativi del negazionismo, lavoriamo a rimuoverne le cause, a partire dalla lotta frontale contro l’insicurezza sociale edall’impegno per diffondere il sapere critico.
* Paolo Ferrero, Direttore di “Su la Testa”.
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