Rocco Scotellaro e la questione meridionale

Marco GATTO, Rocco Scotellaro e la questione meridionale, Roma, Carocci, 2023

Domenico Passarelli

Chi si occupa oggi di questione meridionale sa bene come sia difficile recuperare una narrazione oggettiva e storicamente fondata di un territorio che è diventato, dopo anni di meridianismo a-dialettico, un contenitore senza contenuto, un brand per la promozione turistica, un’alternativa “orientalista” all’infernale spazio urbano regolato dal neoliberismo nelle nostre metropoli. Nel Sud dei borghi “autentici” e “più belli d’Italia”, dove dietro il mantra della rigenerazione urbana si nasconde spesso l’ideologia del decoro e dell’esclusione sociale, scompaiono le istanze di chi oggi, proprio come settanta anni fa il contadino cantato da Rocco Scotellaro, vuole semplicemente vedere riconosciuto il diritto di condurre una vita dignitosa prima, durante e dopo i flussi stagionali del turismo. Forse il sindaco socialista di quelle contrade è ancora lontano dal diventare un’icona pop, un arredo urbano da inserire tra le mille botteghe di artigianato fakeauthentic e gli improbabili intonaci delle vecchie case di paese messe a nuovo e fittate su Airbnb, eppure il libro di Marco Gatto si presta a essere un perfetto argine contro una deriva che non riteniamo affatto impossibile. 

Grazie a Gatto comprendiamo come rileggere politicamente Scotellaro significhi esattamente recuperare tutta la difficile necessità di mediazione propria di un qualsiasi processo di avvicinamento alle problematiche umane, civili e culturali del Sud Italia e di chi vi abita. Gatto ricostruisce finemente il percorso umano del sindaco-letterato leggendolo sinotticamente assieme al percorso politico e decostruendo l’etichetta leviana di “poeta-contadino”. È così che scopriamo in Scotellaro oltre che un ispirato traduttore di Mimnermo e Catullo anche un appassionato lettore di Omero, Esiodo ed Euripide. La lirica di Scotellaro risulta essere, in questa lettura, un complesso momento di mediazione tra il personale e il collettivo, tra l’autonomia e la determinazione, tra la cultura borghese e il folklorico. Allo stesso tempo la sua parabola politica appare essere molto meno lineare e, anzi, più tormentata di quanto non potesse emergere da una ricostruzione superficiale dell’attivismo senza risparmio per Tricarico. I diversi carteggi con esponenti più o meno in vista del Partito Socialista presi in esame, oltre che quelli con Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria, fanno emergere un militante “irregolare”, molto più attento alla prassi quotidiana e al processo di avvicinamento alle classi popolari della sua regione che non alla teoresi marxiana e ai politicismi di partito. Anche lo sviluppo del profilo letterario di Scotellaro vede una lenta e ragionata evoluzione che adombra forse il disagio di un intellettuale marxista (un problema che rievoca, evidentemente, alcune grandi tematiche lukasciane) di fronte ai generi della tradizione borghese. Partendo dalla lirica e dal teatro, passando per il romanzo L’uva puttanella, Scotellaro approda all’inchiesta con Contadini del sud facendo intravedere con decenni di anticipo una stagione di grande fortuna per la letteratura civile del nostro paese (si pensi, solo per esempio, al Milano, corea di Montaldi e Alasia e ad Africo di Stajano). 

Ciò che ci sembra emergere con forza da questa fresca lettura della figura di Rocco Scotellaro è il profondo rispetto e al contempo la grande intelligenza sempre mostrate dallo scrittore lucano nel rapportarsi con le classi popolari ed i contadini. Mai una facile e mistificatoria immedesimazione, sempre un perenne tentativo di analisi delle dinamiche culturali e materiali in divenire delle popolazioni rurali. Una sensibilità diremmo antropologica che faceva il paio con il progetto di “entocentrismo critico” di De Martino e che guardava alla cultura contadina come a un organismo vivente ed interagente in maniera sempre diversa con la cultura dominante. 

Rocco Scotellaro e la questione meridionale non può che essere un utile momento di riflessione per gli intellettuali che riflettono oggi sul Sud e sui Sud. Esso è uno strumento attraverso il quale Scotellaro, ripoliticizzato, può e deve parlare alla nostra contemporaneità. Un invito a trovare il difficile sentiero tra le tendenze consolatorie ed eterodirette del “mediterraneismo” e le fughe iper-letterarie e sterilmente soggettivistiche di tanti programmi letterari della contemporaneità.

Domenico Passarelli

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