Sanità pubblica addio

Nando Mainardi

I. Cavicchi, Sanità pubblica addio. Il cinismo delle incapacità, Castelvecchi, Roma, 2023

Il libro di Cavicchi è estremamente utile per fare il punto sullo stato drammatico e inquietante della sanità pubblica italiana, e su come ci si è arrivati. Per dirla con le parole dello stesso autore, Sanità pubblica addio è infatti un “inventario” ragionato delle diverse tappe che nei decenni hanno progressivamente smontato e sotterrato la spinta riformatrice contenuta nella legge 833 del 1978, che ha istituito il servizio sanitario nazionale. Detto che tale legge, per quanto importantissima, non è stata – come sottolinea sempre Cavicchi – una riforma compiuta e sufficiente, ma solo l’inizio di un possibile ciclo, a cui avrebbero dovuto fare seguito ulteriori e indispensabili passaggi e riforme. Se infatti la 833 ha avuto il grande merito di superare le mutue private, e quindi ha modificato strutturalmente e positivamente la dimensione “hardware” della sanità, attribuendone appunto la gestione allo Stato, viceversa tale legge non ha inciso significativamente sulla dimensione “software”. Ovvero, non ha messo in discussione gli obiettivi e le prassi del sistema sanitario preesistente, finendo così per ereditarli e assumerli. Per tutto questo Cavicchi afferma che, con l’introduzione del SSN, è cambiato “il proprietario del lavoro ma non il lavoro”, e che la 833 va considerata una “mezza riforma”. 

L’attenzione dell’autore va successivamente, come detto in premessa, al vero e proprio ciclo di “controriforme” in campo sanitario che ne è seguito, di segno ben diverso rispetto alla 833, finalizzato alla riduzione della spesa e al ritorno al privato. In particolare, il riferimento è al decreto legislativo 502/1992, con cui si è proceduto all’aziendalizzazione delle Usl, e al decreto 229/199, ovvero alla cosiddetta “riforma Bindi”. Tra le altre cose, Cavicchi osserva come l’introduzione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) abbia ribadito e rafforzato ulteriormente l’idea di una sanità minima e standardizzata, e non realmente orientata alla complessità dei bisogni; come l’intramoenia abbia sancito in modo inequivocabile la possibilità o meno di curarsi –  anche quando si ha a che fare con il SSN – in base alle condizioni economiche, alla faccia della Costituzione; come i fondi sanitari integrativi, a loro volta, abbiano rappresentato nei fatti un ritorno non dichiarato alle mutue private. 

Il fallimento della “sinistra di governo” di questi decenni ha riguardato, non a caso, anche la sanità: buona parte del ripetuto e massiccio attacco al sistema sanitario nazionale, avvenuto all’insegna delle compatibilità economiche e attuato con ricette tipicamente neoliberiste, è stato infatti firmato, spesso, da governi “riformisti”. Il centrosinistra, nelle diverse forme che ha assunto nel corso del tempo, ha cioè scelto di subordinare il diritto alla salute di cui parla l’articolo 32 della Costituzione alle esigenze di bilancio. Cavicchi ricorda, proprio in questa direzione, il danno strutturale provocato dalla riforma del Titolo V: un’esplosione “costituzionalizzata” delle disuguaglianze, attraverso la regionalizzazione del sistema sanitario. Sanità pubblica addio analizza infine le scelte politiche più recenti; in particolare, la grande occasione persa con il PNRR. L’impiego di consistenti risorse economiche negli ospedali di comunità, nelle case di comunità, nell’edilizia sanitaria, nel “territorio” a discapito degli ospedali, è in realtà un modo per proseguire in forma ancora più spinta con la controriforma della sanità. Paradossalmente perciò, anche quando ci sono le risorse, come in questo caso, si prosegue con la compressione dei diritti. A questo proposito, l‘autore evidenzia giustamente come obiettivi quali la deospedalizzazione e l’attenzione alla sanità territoriale – sulla carta certamente giusti – vengano appunto usati soprattutto per ridimensionare e chiudere gli ospedali, percepiti ormai come un’eccedenza antieconomica da eliminare. Qual è, per Cavicchi, la via di uscita? Il ritorno a una “creatività” riformatrice, che liberi la sanità da paradigmi e gabbie neoliberiste e compatibiliste, in grado di mettere al centro l’art.32 della Costituzione e la salute come moltiplicatore di ricchezza collettiva. Certamente Sanità pubblica addio, così come altre pubblicazioni e interventi di Cavicchi, ha il merito di sollecitare, stimolare e “chiamare” l’avvio di un dibattito a sinistra sulla sanità, più che mai necessario, vista la drammaticità della situazione e la scarsità di contributi in tal senso. Infine, il suo libro può essere certamente uno riferimento utile e prezioso – una “bussola” –  per tutte e tutti quelle/i che dal basso sono impegnate/i in vertenze e lotte a sostegno del diritto alla salute, contro chiusure e tagli. 

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