Se non è laico non è pubblico

Antonia Sani*

La raccomandazione di Tommaso d’Aquino: distingue frequenter è sempre un ottimo punto di partenza.

Una profonda distinzione fa da spartiacque su terreni in cui si intrecciano, per poi divergere, concetti fondamentali quali guide dei comportamenti umani.

È il caso del termine “pubblico”, che riguarda etimologicamente il popolo, cioè la collettività, per rischiare poi di soccombere a fronte dell’affermarsi tendenzioso del suo contrario: “il privato”.

Secoli di storia hanno tracciato percorsi contraddittori, segnati dal sangue e dall’oppressione, dal dominio del più forte, dalla ricerca da parte di menti umane illuminate verso l’apertura di un varco all’affermazione delle libertà. Un cammino percorso tra sordi ostacoli e una fame di conquiste nel XIX-XX secolo, che lasceranno il passo al riconoscimento globale dei diritti umani e all’uso dello spazio pubblico (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – ONU 1948), solo al termine della tragedia della seconda guerra mondiale.

Nella nostra Costituzione, il riconoscimento a tutti/e dell’uguaglianza dei diritti – alla Salute (Art. 32), all’Istruzione (Art. 33) apre la via al superamento delle disuguaglianze.

Tuttavia, il termine “ spazio pubblico” mette in evidenza due livelli.

1) Il diritto alla Salute e all’Istruzione non richiede ulteriori appelli, se non il richiamo alle istituzioni per la messa in opera di quanto la Costituzione ha previsto per i due settori (come ad es. avvenuto con la legge che ha istituito la Scuola media unica, e successivamente con la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale): lo spazio pubblico deve garantire a tutti/e i/le cittadini/e la possibilità di accedere (gratuitamente per gli indigenti) alla tutela della Salute e alla frequenza dell’Istituzione scolastica. Sappiamo che così non è! Ma il contenuto dei principi costituzionali impone questo cammino, sostenuto riguardo alla Sanità, in presenza del Covid-19, da comitati impegnati nel rafforzamento di una medicina democratica, affinché venga data la debita risposta alla pandemia; per quanto riguarda l’Istruzione, si dovrebbe fare fronte alle difficoltà in cui si dibattono le famiglie alle prese con la DAD, in buona parte sprovviste di supporti tecnologici e senza la possibilità di adeguati sostegni economici pubblici.

2) Oltre ai diritti umani citati, comuni a tutti gli esseri viventi, cui è riservato uno spazio pubblico, dobbiamo tener conto di un’altra serie di diritti costituzionali alla fruizione di spazi pubblici, che derivano da scelte personali: diritti sociali (Art. 2), diritto al lavoro (Art. 4), diritto alla libertà di coscienza (Art. 21), alla libertà di pensiero, di parola, di manifestazione, di stampa, di religione, cui si riferiscono altri articoli della nostra Costituzione.

Scorrendo le varie voci, risulta subito la differenza fondamentale: lo spazio pubblico non è “universalmente concesso” come nei due casi precedenti, ma in virtù di “richieste temporanee”.

Ogni richiesta ha un suo percorso. Gli articoli costituzionali richiamati sono garanzia dei contenuti di democraticità di volta in volta rivendicati.

Un punto che continua a lasciarci interdetti è la presenza costante dell’insegnamento della religione cattolica in “luogo pubblico”, quali sono le nostre scuole statali.

3) Il Concordato tra Regno d’Italia e Santa Sede del 1929 ha lasciato traccia evidente nell’Art.7 della Costituzione repubblicana.

Le gerarchie cattoliche, con la collaborazione di intellettuali credenti e laici, compirono un lavoro di anni per giungere al Nuovo Concordato (L. 121/1985), ossia all’Intesa Falcucci-Poletti (Dpr. 751 / 16.12.1985), che di fatto ricollocò l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali all’interno dell’orario scolastico curricolare, pur prevedendo una possibilità di scelta quasi sempre negata dall’assenza di risorse e spazi educativi alternativi.

Fu un grosso insulto alla laicità dello Stato, già tradita nell’Art. 7 della Costituzione (nonostante il tentativo di recupero nell’Art. 8: “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”..); ma finalmente valorizzata nella sentenza 203/1989, in cui la Corte Costituzionale definì la laicità principio supremo dell’ordine costituzionale.

La celebre sentenza, attesa con trepidazione dai laici italiani, precisava che laicità non significa indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma “garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. Avevamo una carta vincente, da lanciare e rilanciare in un clima in qualche modo favorevole. Pare incredibile che quel segno (o sogno ?) sia così rapidamente sfumato.

Verso l’abbattimento della laicità?

Tutto questo non è che la conseguenza del ruolo dei due poteri che dall’età medievale si sono confrontati e spalleggiati: Monarchia e Impero – Stato e Chiesa cattolica.

Va evidenziato che non si tratta dell’occupazione temporanea di uno spazio pubblico, come può essere per una qualsiasi manifestazione civile o religiosa: l’Intesa tra Stato e Chiesa cattolica rappresenta l’invadenza del potere ecclesiastico, sostenuto dalle istituzioni italiane, nella formazione educativa dall’infanzia alla giovinezza, in presenza di studenti appartenenti ad altre confessioni religiose, o a nessuna fede religiosa, costretti a dichiarare il proprio NO alla scelta dell’insegnamento della religione cattolica all’atto dell’iscrizione in una scuola statale. La beffa è contenuta nell’Art. 9 dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede: “All’atto dell’iscrizione, gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.

Le forme di discriminazione invece furono subito e sono tuttora dilaganti: permanenza dei non avvalenti nei corridoi o nei box dei bidelli, domande insinuanti da parte di docenti circa il motivo del rifiuto, domande ingenue di compagni e compagne sull’appartenenza ad altra religione…

C’è chi, nutrendo nel proprio intimo un’autentica fede religiosa, non ama farne parola, ma negli anni trascorsi erano proprio costoro che, intendendo il vero senso della laicità (distingue frequenter!) si astenevano dal seguire l’ora di religione (cattolica).

In questi ultimi anni, dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 7076 del 2010 sull’obbligo di un’attività alternativa, si è sempre più manifestata una sorta di indifferenza verso l’affronto subito dalla Repubblica italiana; se è “simpatico”, il sacerdote-docente attribuito alla classe sia benvenuto!; se “l’attività alternativa” è “attraente”, benvenuta la docente incaricata. Docenti di IRC delle attività alternative a volte escono insieme con le classi al completo per visite a luoghi religiosi presentati sotto il profilo artistico.

Considerazioni d’obbligo: i costi a carico dello Stato che i docenti di Religione cattolica e quelli dell’attività alternativa comportano! Il ruolo delle diocesi per le nomine e la possibilità di revoca!

Tutto ciò non può che rafforzare l’abbattimento della laicità, anziché rispettarla come principio fondativo, nel cui nome proseguire la battaglia per il collocamento dell’IRC al di fuori dell’orario scolastico obbligatorio; prendere posizione nei confronti della presenza del crocifisso nelle aule, imposta dalle autorità municipali (leggi e sentenze a livello internazionale si sono sovrapposte!); e infine opporsi alle benedizioni episcopali nello “spazio pubblico” degli istituti scolastici…

Il principio di laicità è di fatto affossato, oggi, nella sensibilità diffusa degli studenti, pronti a subire tutto quanto viene loro presentato nella propria classe come un “fatto normale”, distanti mille miglia dai vecchi cortei studenteschi in nome della laicità, in cui si andavano ripetendo affermazioni, dall’”interrogativo della propria coscienza”, allo “Stato di non obbligo” La ‘rivoluzione tecnologica’ e l’invasione pressante dei social media sta producendo ben altre aspettative, altri obiettivi.

Il distingue frequenter è davvero giunto sulla via del tramonto?


* Antonia Sani, già insegnante, è fondatrice dell’associazione La Scuola della Repubblica e fa parte di WILF-Italia.


Foto di Sergio D’Afflitto da wikimedia.org

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