Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra
GIULIA SPADA, Sono morto come un vietcong. Leucemie di guerra, Sensibili alle foglie, Roma, 2020
Recensione di Laura Tussi
Giulia Spada è autrice di un romanzo e – soprattutto – di un racconto di forte denuncia e coraggiosa presa di consapevolezza; di autentica decisione di assunzione di una grande responsabilità: la testimonianza per la pace. Una posizione netta, decisa e ferma contro la guerra. Giulia adesso scrive. Non si ferma, e scrive Sono morto come un vietcong. Giulia si considera giustamente un’orfana di guerra. Suo padre è stato ucciso da una malattia che ha contratto nella zona di Teulada. Un territorio dal 1950 teatro di guerre chiamate “simulate”. E lei è convinta che questo omicidio sia causato dall’inquinamento bellico. Si spara, si bombarda, dal mare, da terra, dall’aria proprio ‘come in Vietnam’, in una geografia e tipologia della morte che è allucinante, inverosimile, macabra. Un affronto, un’ingiuria atroce alla Sardegna e alla salute di chi è costretto a respirare le polveri cancerogene della guerra, nelle zone militari e non solo, in un nefasto odore di morte. Ma Giulia non si arrende. Giulia scrive e denuncia. Proprio la morte del padre, ucciso nel 2003 da una leucemia, ha ispirato l’ultimo libro dell’ autrice, da qualche tempo trasferita a Milano. Come tanti emigrati guarda con altri occhi una terra meravigliosa, la sua Sardegna, con tante potenzialità paesaggistiche, culturali, artistiche, turistiche, e un patrimonio ambientale e umano unico, che Giulia esprime soprattutto e in modo molto dettagliato e pertinente in questo suo romanzo. Giulia era una bambina, quando suo padre è morto. Nei discorsi nell’ambito della famiglia l’argomento provoca ancora troppo dolore, perché sembra ancora inverosimile morire di guerra, ma risulta sempre più una realtà spietata e più che mai di stringente attualità.
Sono morto come un vietcong è un romanzo, e soprattutto un autentico e vero racconto di denuncia e testimonianza che vorrebbe aiutare i sardi e tutti gli attivisti per la pace a prendere coscienza di quel che accade. Lo Stato ha deciso di sacrificare una parte del territorio dell’Isola, che da Roma magari è lontano, ma che dalla geopolitica è giudicato scarsamente popolato, e quindi utile per certi scopi. Che per adesso sono solo militari, ma in futuro, molto probabilmente, teatro di guerra, di lutti, carneficine, massacri, stragi.
Il rischio non è solo quello di depositi di scorie nucleari in Sardegna.
I poligoni militari sono stati il primo passo.
Le persone devono sapere, e soprattutto prendere coscienza, che l’Italia affitta a eserciti di tutto il mondo – soprattutto agli Stati Uniti e al Patto Atlantico – la terra di Sardegna con lo scopo che essa venga bombardata. Con tutto quel che ne consegue: soprattutto, le polveri della guerra che provocano tumori, leucemie e molte altre patologie mortali e tanta sofferenza.
Il caso di Quirra è sconcertante.
Sono morto come un vietcong è un viaggio di coraggio. E’ soprattutto un racconto di decisa e ferma denuncia nella Sardegna contemporanea, militarizzata e colonizzata da eserciti di tutto il mondo, che testano le armi utilizzate nei vari teatri di guerra della Terra. La voce narrante è il padre dell’autrice. E’ un professore in un piccolo centro nel sud dell’Isola, che racconta ciò che accade intorno a lui: persone che muoiono di leucemia e tumori, animali che nascono deformi, a causa dell’attività della base militare vicina. L’autrice sceglie la forma del racconto e del romanzo per sollecitare una partecipazione sociale, al fine di dare un segnale di allarme alla comunità; per testimoniare la pace; per prendere, anche in prima persona, posizione netta contro la guerra, proprio intorno agli orrori della guerra nel nostro bel Paese, e per riflettere sul fatto che in questi luoghi non si muore solo di leucemia e tumori, ma di guerra appunto. Chi rimane e continua a vivere nel dolore e nella terribile assenza, nel lutto, nell’odio, sono orfane, orfani, vedove e vedovi di guerra.