Stato di eccezione e conflitti sociali

Giovanni Russo Spena

Si è aperta una stagione di ulteriore stretta emergenziale, acuita dal “populismo tecnocratico” dell’impianto euroatlantico draghiano. Un impianto pericoloso, non banale, dinamico, reazionario: Parlamento reso superfluo; governabilità dettata dalla monarchia repubblicana del presidente Mattarella; stabilità sociale declinata attraverso il binomio repressione/omologazione. Se non ti omologhi, ti reprimo. La “nuova” Unione Europea è rigidamente inserita nella gabbia euroatlantica, che detta la geopolitica ma incide fortemente sugli assetti sociali. Si delinea una democrazia del controllo a partire dal processo produttivo, dai modi di produzione, che condiziona gli stessi luoghi di produzione, materiali e immateriali. Si espande, quindi, la tendenza al capitalismo “della sorveglianza”, molto pervasiva e diffusa.      

DISPOTISMO DI CLASSE                                                                                      

Marx, ancora una volta, ci guida nella ricerca, per evitare le paccottiglie liberiste. Marx valutò che, con lo sviluppo della società moderna, il “potere dello Stato aveva assunto sempre più il carattere di potere nazionale  del capitale sul lavoro, di una forza pubblica organizzata di asservimento sociale”, di uno strumento del dispotismo di classe. Nella Critica al programma di Gotha, Marx scrive che la “libertà consiste nel mutare lo Stato da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa”. In un mondo in cui le diseguaglianze diventano una voragine di infami ingiustizie, “il diritto avrebbe dovuto essere diseguale, invece che eguale”. Un percorso che sfida l’immonda ipocrisia (cosiddetta “egualitaria”) dell’ideologismo liberale. Marx ritenne sempre fondamentale la libertà individuale. Il suo comunismo non fu livellamento, grigia uniformità politica ed economica . “Nella società borghese è possibile soltanto un libero sviluppo su base limitata, sulla base del dominio del capitale”. Il nucleo fondativo dell’alternativa è nella partecipazione, nell’autorganizzazione, nella “cooperazione”. Anche dopo la presa del potere. Contro la deriva verso un socialismo di Stato. L’operaio ” deve camminare da solo”. Non a caso, come primo punto degli Statuti dell’Associazione internazionale dei lavoratori, nel 1864, Marx aveva posto  “l’emancipazione della classe lavoratrice come opera dei lavoratori stessi”. La loro lotta, ci ricorda lucidamente Marcello Musto, non doveva tendere a costituire nuovi privilegi e monopoli di classe , ma a stabilire diritti e doveri uguali per tutti. Come agisce, oggi, il capitale (lo Stato del capitale, l’ordoliberismo) per prevenire e sterilizzare il conflitto sociale , riducendolo a patologia da reprimere?  Alcune operazioni globali in corso:

a) la guerra, che è “costituente” distruzione e ricostruzione, nuova accumulazione di capitali. Le sanzioni sono parte integrante dell’economia di guerra; metafora di un’aspra guerra valutaria . La quale impone sacrifici inenarrabili alle masse sfruttate. Ci ricorda Fumagalli che già Giovanni Arrighi, nel suo Adam Smith a Pechino , aveva anticipato che il secolo che si apriva si configurava come il “secolo cinese”, che sostituiva il “secolo americano”. Le guerre servono agli USA e al complesso militar/industriale globale per compensare il declino dell’egemonismo economico, assediando la Cina (anche con la “nuova Nato” del Pacifico e dell’Australia) e riducendo la Russia a potenza regionale (ma con le testate nucleari, contraddizione che non sarà facile gestire). L’U.E. sarà assorbita nell’area euroatlantica, guidate dagli USA e dal suo vassallo britannico (la Brexit non è servita anche per saldare il blocco anglosassone?). Avremo una nuova Bretton Woods, a maggiore trazione asiatica e a valuta plurima? Sarà questa la nuova guerra “fredda”? La lotta di classe saprà sfuggire alle sirene dei nazionalismi? Sarà all’altezza della sfida?  

b) Il secondo fattore globale è, a mio modesto avviso, la centralizzazione capitalistica. Scrive Emiliano Brancaccio:” la centralizzazione capitalistica spinge verso un accentramento del potere, non solo economico ma a lungo andare anche politico… La tendenza verso la centralizzazione del capitale  ha due caratteristiche: da un lato accresce i rischi di catastrofe democratica e dei diritti, ma dall’altro determina anche la polarizzazione tra le classi sociali e la uniformizzazione della classe lavoratrice”. I processi decisionali subiscono una forte torsione autoritaria e oligarchica. E sappiamo che la libertà politica è forte  solo quando si estende il conflitto sulle condizioni sociali. La globalizzazione neoliberale, in crisi, alimenta il populismo penale e il securitarismo giustizialista. Diventa evanescente lo “Stato di diritto”; viene massacrato lo “Stato sociale”. Il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione è, quindi, sempre più il nostro riferimento valoriale e politico.    

c) Diventa soffocante, contro i conflitti sociali, l’architettura sistemica della “sorveglianza” : digitalizzazione forzata, sorveglianza biometrica, più rigido controllo, a partire dai luoghi di produzione , da tutti i luoghi e le forme di erogazione della forza lavoro. La crisi della democrazia costituzionale vive anche , in misura decisiva, nella dissoluzione sostanziale dei canali della rappresentanza( partiti politici, sindacalismo confederale). Il sistema elettorale maggioritario è l’espressione istituzionale della tendenza oligarchica: frantuma diritti, abbatte le minoranze e le criticità , inibisce partecipazione ed autogoverno.        

LE LOTTE NON SI PROCESSANO                                

Ripropongo qui una campagna di identità delle organizzazioni comuniste contro la repressione dei conflitti, che ridiventa attuale (potremmo portarla avanti insieme ai Giuristi Democratici, all’Osservatorio contro la repressione). Un impegno permanente contro le misure poliziesche (e, spesso, anche giurisdizionali) cosiddette di “prevenzione”. Esse si sono, infatti, diffuse , negli ultimi anni, quale strumento del potere per “insorgenze di ordine pubblico”. Cioè per colpire gli attivisti politico/sociali. Il Potere, insomma, delega all’ordinamento penale , saltando ogni mediazione istituzionale, la regolazione dei conti con il conflitto sociale. E’ sempre più frequente l’erogazione di misure cautelari  applicate per il pericolo di “reiterazione criminosa”; essa viene, dagli organi del Potere, dedotta proprio dalla rilevanza politica pubblica dei soggetti destinatari delle ordinanze.  Il che significa che i militanti più noti, quelli che coordinano le iniziative conflittuali, vengono incarcerati o sottoposti ad altre misure cautelari (domiciliari, firma quotidiana, fogli di via, obbligo di residenza, eccetera) Misure quasi tutte tratte dall’armamentario fascista o utilizzate, fino a ora, per i mafiosi. L’esecuzione delle misure coercitive, che impediscono l’attività militante, diventa anticipazione della pena comminabile  eventualmente come esito del giudizio. Ma cosa si intende con l’odiosa espressione “pericolosità sociale”? La deriva securitaria ha amplificato i criteri in forza ai quali la custodia in carcere può essere disposta: in tal modo la personalità del soggetto viene indagata anche in base ai carichi pendenti o sulla scorta, addirittura, di semplici denunce di polizia (chi di noi non ne ha?). Così gli attivisti sociali  vengono considerati come “proclivi alla reiterazione” E’ stata colpita la libertà personale di centinaia di militanti, imputati di lotta di classe. Dove è finita la presunzione costituzionale di non colpevolezza fino al passaggio in giudicato della sentenza? Viene, invece, messa al centro la presunta personalità “antagonista”.  Le misure preventive sono utilizzate come strumenti di  controllo  del dissenso e del conflitto sociale, travolgendo lo stesso principio di legalità. Vi è uno “sviamento” del potere. Chiediamo l’applicazione dell’importante sentenza 177/80 della Corte Costituzionale :” il materiale probatorio ritenuto insufficiente per accertare la responsabilità penale lo è pure per le misure di prevenzione”. Ne deriva anche il nostro massimo impegno per abrogare le leggi liberticide, a partire dalla legge Minniti-Orlando e dalle leggi Salvini (solo parzialmente abrogate dalla Lamorgese). Dimentichiamo, credo, troppo spesso che, di controriforma in controriforma, sostanzialmente la giurisdizione del lavoro non esiste più. Lotta per la democrazia costituzionale e lotte sociali , per i diritti sociali e civili, sono connesse dalla storia della lotta di classe. Lo abbiamo veramente compreso? 

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