Un altro mondo è (urgentemente) necessario

Vittorio Agnoletto* e Antonio Bruno**

Il “Popolo di Genova” non nasce dal nulla. L’insurrezione zapatista, le resistenze sociali e sindacali al liberismo, l’impegno a livello locale e globale per la tutela del territorio e la vivibilità, la solidarietà maturata nel Sud del mondo, ma anche in Europa coinvolta in disastrosi conflitti armati come nella ex Jugoslavia, trovano un punto di coagulo nella contestazione ai potenti del mondo riuniti nei vertici del G8, soprattutto dopo le contestazioni al WTO di Seattle (1999) e l’inizio della stagione di Porto Alegre: i Forum Sociali Mondiali che iniziarono a fare da controcanto ai vertici economici di Davos e svilupparono molte energie trasformatrici.

In quelle giornate vengono riprese le lotte dei movimenti di liberazione nazionali, ma anche di genere, in contrasto con le politiche liberiste portate avanti anche dalle socialdemocrazie, cresce l’impegno a creare una narrazione alternativa a quella della “fine della Storia”, dopo la caduta del muro di Berlino.

L’attualità del movimento altermondialista

A distanza di tanti anni è impressionante confrontarsi con le analisi e le proposte nate all’interno dei forum; quasi tutte sono attualissime e, possiamo ben dirlo, se la Politica le avesse ascoltate, anche solo in parte, il Pianeta avrebbe evitato la crisi finanziaria e sociale del 2008 e la Pandemia, i cui disastrosi effetti sanitari, finanziari e sociali si stanno manifestando in questi mesi.

Uno degli aspetti più innovativi di quel movimento fu che, pur in assenza di un soggetto politico organizzato a livello globale, molteplici iniziative, luoghi e spazi di lotta maturarono la consapevolezza che il loro impegno per la giustizia in un ambito specifico non era altro che una delle tante facce di un prisma che riassumeva in sé la lotta verso un Mondo migliore.

Le associazioni della cooperazione internazionale contestavano sia il Fondo Monetario Internazionale, che condizionava i prestiti ai Paesi più poveri alla realizzazione di pesanti tagli alla sanità pubblica e all’istruzione, sia la Banca Mondiale, che in nome del pareggio di bilancio imponeva draconiani tagli alla sanità e all’istruzione pubblica. 

Le realtà che si occupavano di agricoltura agivano per costruire una “filiera corta”, cioè un rapporto stretto tra quello che si produce e quello che si consuma, scontrandosi con le grandi multinazionali del settore agricolo, impegnandosi contro gli Ogm, ma anche contro le monoculture finalizzate all’esportazione.

Anche in questo caso il conflitto era ed è con l’Organizzazione Mondiale del Commercio, che permette all’Europa di finanziare le multinazionali europe, ma non permette ai Paesi africani di proteggere, attraverso i dazi, le loro colture. Chi allora praticava la solidarietà verso i migranti non solo denunciava l’assurdità di un mondo nel quale le merci e la finanza attraversavano liberamente il pianeta mentre gli esseri umani venivano respinti alle frontiere, ma aveva già la piena consapevolezza che sarebbero stati proprio loro le principali vittime di quel modello di sviluppo che era messo sotto accusa. 

E oggi, con il Mediterraneo trasformato in un cimitero, sappiamo che purtroppo, anche in questo caso, avevamo ragione.

Associazioni che agivano in campi molto diversi uno dall’altro e lavoravano su temi specifici, compresero che, per ottenere risultati, dovevano imparare a lavorare insieme ad altri: avevamo gli stessi avversari, ci scontravamo con i medesimi interessi economici e con la medesima logica di dominio: nacque una convergenza e una piattaforma comune. 

Individuammo nei “G8”, i rappresentanti delle nazioni più potenti, il luogo politico da contestare, la cabina di regia che guidava le scelte di FMI, BM e WTO.

Così nasce il GSF, Genoa Social Forum, dove le decisioni vengono assunte per consenso e dove 1300 realtà di tutto il mondo, delle quali quasi mille italiane, imparano a lavorare insieme facendo confluire i mille rivoli delle loro differenti storie. 

“Voi G8 noi 6.000.000.000” Altro che “No global”! Eravamo il primo movimento globale della Storia. Genova vuol dire anche Seattle, Porto Alegre, Forum Sociale Mondiale. Un movimento fortemente propositivo che contestava “questa” globalizzazione in nome di un’alternativa altermondialista. 

I potenti della terra impauriti dell’impetuosa crescita di un movimento che da Seattle, novembre 1999, si diffonde in tutto il pianeta, organizzano la repressione. Praga settembre 2000, Napoli marzo 2001, e infine quel luglio di Genova: migliaia di persone pacifiche picchiate, Carlo Giuliani ucciso, “macelleria messicana” alla scuola Diaz, torture a Bolzaneto, menzogne sottoscritte nei verbali da alti dirigenti di polizia, prove false costruite ad arte come le molotov collocate nella scuola Diaz….

Successivamente i tribunali ricostruiranno l’accaduto, verrà riconosciuta la tortura (reato allora non previsto in Italia); saranno condannati vari dirigenti di polizia, anche ai massimi livelli, ma nessuno di loro farà un solo giorno di carcere. 

Molti reati di piazza non saranno mai discussi davanti ad un giudice, non ci sarà alcun processo per l’uccisione di Carlo Giuliani.

Il filo rosso che non si è spezzato

Il Genoa Social Forum dura fino al 15 febbraio 2003 quando – nonostante le manifestazioni di massa – scoppia la guerra dell’Iraq. È il segnale che l’esperienza era finita. 

Con l’inizio del conflitto il movimento perde la sua unità, il suo bene più prezioso, il suo punto di forza; la repressione di piazza è stata accompagnata da una non meno forte delegittimazione mediatica alla quale ha partecipato la quasi totalità dei media mainstream.

Il movimento non è scomparso, si è inabissato è brace sotto la cenere. Rimane carsico per dieci anni, ma riemerge nel 2011 coi referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare, che rilanciano i “beni comuni”, concetto elaborato nel 2001 dal movimento dei movimenti. C’è un filo rosso che, pur nell’autonomia e nell’originalità di ogni esperienza, lega i movimenti degli ultimi due decenni all’esperienza del movimento dei movimenti sviluppatosi a cavallo dei due millenni.

In Occupy Wall Street ritroviamo la critica alla finanza che si mangia e sostituisce l’economia reale. 

Le tematiche ambientaliste anticipate a Genova da Walden Bello, sociologo fondatore di Focus on the Global South (“La crisi è relativa al capitalismo e alla sua tendenza a trasformare ogni risorsa in un prodotto da vendere, un sistema antitetico all’interesse della biosfera. La crisi dei cambiamenti climatici si è acuita drasticamente e la contrapposizione tra economia capitalista ed ecologia è evidente.”), vengono riprese e approfondite da Fridays for Future. 

Black Lives Matter attualizza le tematiche del corteo in solidarietà dei migranti del 19 luglio 2001.

Oggi fanno scalpore i blocchi delle navi che portano armi in situazioni di conflitto (Yemen, Palestina, …) da parte dei portuali genovesi, come quelli di Livorno, come quelli di New York, che rilanciano le lotte antimilitariste degli anni settanta, riprese a Genova nel Luglio 2001.

I protagonisti della lotta per la casa a Barcellona, del movimento degli Indignados, di Podemos e SYRIZA hanno attraversato le giornate di Genova 2001.

In Europa forze sociali, sindacali e della sinistra politica lanciano la petizione www.noprofitonpandemic.eu per chiedere la moratoria sui brevetti per il Covid19 in modo da poter garantire a tutto il mondo un diritto effettivo alla cura e alla prevenzione.

Nella enciclica “Laudato si’” (del 2015) papa Francesco sottolinea come la questione ambientale non sia separabile da quella sociale: non si può lottare per la cura della Terra senza impegnarsi per la giustizia.

La sfida posta dall’emergenza climatica si intreccia dunque con le pulsioni di un sistema economico che concentra ricchezza e potere in poche mani, nella spasmodica ricerca di sempre nuovi profitti, mercificando i beni comuni (acqua, terre, minerali) e servizi di base come la sanità e l’istruzione.

La lezione di Genova 2001 è importante perché, mai come oggi, c’è un gran bisogno di costruire momenti di convergenza.

La pandemia è una cartina tornasole: è il prodotto di un modello di sviluppo, che ha travolto tutto e non ha lasciato fuori nessuno.

In questo “nuovo mondo” condizionato dalla pandemia, è emersa con forza – soprattutto nei paesi più industrializzati – la debolezza dei sistemi sanitari risultato delle politiche di privatizzazione che hanno contribuito alla distruzione della medicina preventiva e dei servizi territoriali.

Il Covid-19 è stato imprevisto, ma non imprevedibile. Altri virus, nel recente passato, erano transitati dagli animali selvatici agli esseri umani provocando epidemie limitate ad alcune regioni del pianeta. Disboscamenti, allevamenti intensivi, urbanizzazioni incontrollate favoriscono il salto di specie di agenti infettivi che s’insediano negli esseri umani che a loro volta li portano in giro per il pianeta.

Su questo i movimenti indigeni hanno qualcosa da insegnare. Il rispetto per Madre Terra, fonte di vita e di senso e quindi degna della tutela più alta, è un caposaldo della propria visione del mondo. E non è un caso se Madre Terra, con un impegno solenne di protezione, è entrata nelle carte costituzionali di paesi come la Bolivia e l’Ecuador che hanno vissuto processi di cambiamento politico radicale sostenuti dai movimenti sociali.

Ma il mondo appare sempre più uno spazio segnato da profonde ingiustizie, da spazi di libertà sempre più ridotti e da un tragico e incipiente destino. Gli affamati nel mondo sono 690 milioni (l’8,9% della popolazione mondiale, 2020). Nessuna regione del mondo è immune dalla fame. 

Una nuova dimensione del potere ha aumentato a dismisura il proprio dominio sul Pianeta e sulle persone; il capitalismo digitale, con la vertiginosa ascesa di aziende come Facebook, Apple, Google, Amazon… ha accentuato la polarizzazione oligarchica. Il capitalismo dei Big Data ha mercificato la nostra vita digitale approfittando della diffusa ignoranza sul mondo digitale e sulle sue sfuggenti logiche. I dati personali, i percorsi di navigazione in rete, le ricerche compiute, i contatti stabiliti e i consumi sono una nuova materia prima, che viene estratta, accumulata e trasformata in profitti enormi (venduti per campagne di manipolazione personalizzate) in cambio di modesti servizi in apparenza gratuiti: un’app, una casella di posta elettronica, un sito, un social network.

La sfida odierna (analoga a quella per il commercio e la finanza etica) è quella di usare e sostenere le alternative libere alle applicazioni proprietarie che vendono le nostre abitudini (e i nostri contatti) a chi costruisce campagne pubblicitarie economico-politiche personalizzate. 

I cambiamenti veri e duraturi viaggiano su due gambe: da una parte le scelte collettive, compiute per via democratica, in grado di incidere sui grandi numeri dei consumi e delle produzioni; dall’altra parte le condotte individuali, in coerenza con gli obiettivi generali e come forma di cittadinanza attiva, indispensabile per ottenere risultati concreti.

Un altro mondo è possibile” dicevamo allora. Oggi chiunque guardi con occhi onesti il mondo che ci circonda, non può che unire la sua voce alle nostre: “Un altro mondo è (urgentemente) necessario.”


* Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum nel 2001, già Parlamentare Europeo.

** Antonio Bruno, membro del Genova Social Forum nel 2001, già consigliere comunale a Genova


Foto in apertura pagina di Ares Ferrari da wikimedia.org

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