Un nuovo pubblico

Antonello Patta*

Si è già detto e scritto molto su come la crisi del 2008-09 e la crisi sistemica connessa alla pandemia, con i loro effetti distruttivi, abbiano dimostrato il fallimento di un sistema che, in nome del profitto, mette a repentaglio le stesse basi della vita.

In ambedue i casi si è levato un coro unanime a favore dell’intervento pubblico per salvare l’economia. Poco è importato se così si smentiva la favola che “i soldi non ci sono” e si aumentava il debito contro il quale si è inveito per anni richiedendo tagli.

Con la pandemia è apparso altrettanto necessario rafforzare gli investimenti pubblici nella sanità, nella scuola e nelle amministrazioni locali; ambiti che, nonostante il ridimensionamento prodotto da decenni di politiche neoliberiste, si sono rivelati l’unico insufficiente argine alla devastazione sociale prodotta dalla crisi in atto. Con ciò si è svelato il carattere ideologico dei miti sulle capacità autoregolatorie del mercato, sul primato del privato rispetto al pubblico, sulla concorrenza come motore di “efficacia ed efficienza” contrabbandati per anni dalle classi dominanti.

Di fronte alla devastazione sociale, economica e culturale in atto, è crollata anche la menzogna della sinistra neoliberale secondo cui tagli al welfare, riduzione dei salari, precarietà e individualismo competitivo avrebbero risollevato l’economia, aumentato l’occupazione e risanato il debito. Si è prodotto esattamente il contrario: aumento del debito, economia in progressivo declino, divari crescenti con il resto d’Europa e tra il nord e il sud del Paese.

L’esito rovinoso del recente ciclo neoliberista riafferma la crisi del capitalismo e riconferma la necessità di un nuovo modello economico e sociale in cui l’economia sia funzionale al benessere sociale, in cui il prendersi cura diventi il tratto prevalente delle relazioni umane e del rapporto con la natura.

Diventa a tal fine centrale la ricostruzione del pubblico, non un semplice ampliamento quantitativo che mantenga l’intero sistema così come è stato in gran parte plasmato dall’offensiva neoliberista, e neppure un ritorno tout court al modello precedente, le cui tare hanno favorito l’attacco contro di esso.

L’offensiva neoliberista…

Un’analisi dei caratteri e degli obiettivi dell’offensiva neoliberista verso il pubblico mi sembra necessaria per capire cos’è accaduto, e individuare la strada da intraprendere per progettarne la ricostruzione in forme nuove.

Certamente si è operato, purtroppo con successo, per ridurre la spesa, ridimensionarne le funzioni di protezione e riequilibrio sociale, privatizzare le attività più remunerative e liquidare tutto ciò che permetteva una guida e un intervento pubblici nell’economia.

Ma l’obiettivo del ridimensionamento è andato di pari passo con quello della complessiva trasformazione della macchina pubblica per renderla funzionale alle esigenze e agli interessi delle imprese, sia a livello centrale sia periferico.

Così, mentre si approvavano controriforme su pensioni, collocamento, scuola, sanità, urbanistica e territorio, privatizzazione dei beni comuni, tutti i settori pubblici subivano un attacco teso a eliminare quanto di positivo era stato prodotto dalle lotte degli anni ‘70.

Una stagione in cui le lotte per le riforme sociali che ampliavano la sfera dei diritti nel pubblico sono andate di pari passo con un rivoluzionamento dei ruoli, una messa in discussione delle gerarchie, lo sviluppo della democrazia interna, la crescita di un forte senso del ruolo pubblico dei lavoratrici e lavoratori, la democratizzazione delle relazioni con i cittadini.

È tutto questo che è stato preso di mira dal neoliberismo con un attacco durissimo alle lavoratrici e ai lavoratori pubblici che, mentre produceva decurtazione di salari e stipendi, e riduzioni degli organici e impoverimento di professionalità, negava la contrattazione dell’organizzazione del lavoro, introduceva rapporti gerarchici di comando di tipo aziendale, incentivava al massimo la competitività fra lavoratori, con scarsa o nessuna considerazione per la qualità del lavoro e dei servizi.

Intanto procedeva lo smantellamento di tutte le forme di controllo e partecipazione democratica, per esempio nella scuola, dove la riduzione dei poteri del collegio a vantaggio del preside-manager è stata un passaggio della subordinazione del sistema dell’istruzione alle imprese; nella sanità, dove l’attacco alle forme di partecipazione democratica nella medicina territoriale è andata di pari passo con lo smantellamento della prevenzione; nei Comuni, dove la riduzione dei poteri delle assemblee elettive e della partecipazione dei cittadini hanno accompagnato la fine della pianificazione democratica del territorio, della gestione pubblica diretta dell’acqua e di tutti i servizi locali economici.

Abbiamo visto come è finita: altroché maggior efficacia, maggior efficienza e maggior qualità dei servizi! Anzi! La realtà odierna mostra ben altro: maggiori costi per gli utenti, minor qualità dei servizi erogati, grandi diseguaglianze nell’accesso.

….e i vizi che l’hanno favorita

Non possiamo però sottacere che l’attacco neo- liberista è stato favorito dal fatto che, nel pubblico, si erano sedimentate situazioni negative: malfunzionamenti, arretratezze, inutili rigidità burocratiche, incurie, sprechi e corruzione connessa a forme di gestione clientelare alimentati dalla gran parte dei partiti che per decenni hanno utilizzato il pubblico per coltivare le proprie clientele e accrescere il proprio bacino elettorale. È una grave responsabilità nostra, in quanto sinistra, e della stessa Cgil non aver combattuto con la dovuta forza degenerazioni che hanno coinvolto anche parte delle lavoratrici e dei lavoratori, completamente assecondate dai sindacati corporativi legati ai partiti di governo nella completa indifferenza per la qualità della prestazione lavorativa e dei servizi.

I media hanno potuto amplificare a dismisura questi fenomeni perché avevano una base reale che ha prestato il fianco all’indicazione del Pubblico come luogo di tutte le inefficienze a favore delle virtù salvifiche del privato, del mercato, della concorrenza e della competitività tra lavoratori travestita da merito. Ciò ha permesso di fare di ogni erba un fascio, collegando la narrazione dei fannulloni all’enfasi sui privilegi utilizzata ripetutamente per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, e livellare verso il basso salari, tutele e diritti.

Col governo Draghi, nonostante l’accantonamento dei tagli necessario per fronteggiare l’emergenza, si rafforza l’ispirazione neoliberista, e con essa l’intenzione di utilizzare le insufficienti risorse del Recovery Plan per portare a termine quella trasformazione neoliberista del pubblico rimasta incompiuta per le persistenti resistenze sociali e delle lavoratrici e dei lavoratori dei settori sotto attacco.

Per un nuovo pubblico

La blindatura del quadro politico intorno al “banchiere commissario” dice chiaramente che, per rimettere in discussione le politiche fin qui seguite, sconfiggere l’ideologia dominante e avviare il cambiamento, è necessario un grande e unitario movimento di lotta sui temi sociali, culturali, ambientali. Compito della sinistra è promuovere e sostenere le lotte avanzando proposte riformatici unificanti e credibili. Dobbiamo avanzare una proposta di nuovo pubblico che si metta alle spalle sia i guasti storici sia quelli prodotti dal neoliberismo, e riacquisti i ruoli di garanzia verso i diritti dei cittadini, la tutela dell’ambiente, dei dati, della sicurezza nei luoghi di lavoro, della legalità, della giustizia fiscale, di indirizzo dell’economia.

Occorre un grande piano in cui un consistente aumento degli organici con una sostanziosa leva di giovani, stipendi dignitosi e nuova formazione concorrano a rimotivare un personale invecchiato, malpagato, insufficiente, oltre a un generale potenziamento e ammodernamento delle strutture in grado di garantire una diffusa presenza sul territorio e servizi di qualità.

Un ruolo decisivo in questa direzione lo può assumere l’istituzione di forme strutturate di partecipazione dei cittadini, delle lavoratrici e dei lavoratori da coinvolgere nelle scelte e dotati di poteri di controllo reali. È indispensabile la ricostruzione delle forme democratiche e partecipative, la cui affermazione negli anni ‘70 è stata decisiva per l’estensione dei diritti, nella scuola come nella psichiatria, nella sanità come nella giustizia.

Bisogna ripartire allora su basi nuove, non riproponendo pedissequamente ciò che è stato, ma avanzando proposte alternative. Ad esempio, nella scuola bisogna porsi l’obiettivo della rivalutazione delle funzioni degli Organi Collegiali, della partecipazione dei territori, del personale e degli studenti, cancellando l’idea stessa del “dirigente-manager”, da sostituire con una figura elettiva, per il coordinamento didattico, da parte del collegio docenti. Nella sanità, l’obiettivo della ricostruzione del sistema della prevenzione è inscindibile dal rilancio del tessuto partecipativo territoriale, con poteri reali ai comitati di partecipazione e controllo, dalla restituzione del ruolo di indirizzo ai comuni, ai cittadini, alle lavoratrici e ai lavoratori con poteri reali.

Negli Enti Locali sono necessarie la riappropriazione del territorio e una pianificazione democratica, la ricostituzione dei beni comuni, l’estensione e la riqualificazione dei servizi, che devono procedere con quelle per la ricostruzione dei processi partecipativi e democratici, restituendo ai Consigli comunali, ovvero alle assemblee elettive, i poteri sottratti a favore di quelli esecutivi. Infine, perché il pubblico, sia a livello centrale che periferico, possa svolgere il ruolo di indirizzo e programmazione, indispensabile per risolvere le fragilità strutturali dell’economia, realizzare la riconversione ambientale e avviare un nuovo modello economico e sociale che anteponga l’interesse generale, è necessario:

  1. ricostituire, attraverso un grande piano mirato di assunzioni, sia a livello centrale che periferico, strutture dotate di competenze progettuali, manageriali e gestionali perse da tempo, assumendo il meglio di ciò che fu l’IRI;
  2. rafforzare il controllo e la presenza pubblica diretta nelle attività produttive strategiche, che non possono e non debbono essere lasciate al mercato e alla proprietà privata;
  3. mettere in campo un forte sistema nazionale della Ricerca a guida pubblica, con una for- te rivalutazione di quella di base;
  4. costituire un forte Polo pubblico del credito.

Siamo consapevoli che solo un nuovo ciclo di lotte potrà imporre la costruzione di un nuovo spazio pubblico.

Deve essere altrettanto chiaro che il migliore dei progetti sarebbe destinato a naufragare se insieme alle strutture e alle regole non si trasformano anche i soggetti che quelle proposte devono tradurre in vita reale.

Vuol dire, è questa la lezione degli anni ‘70, che un pubblico nuovo potrà sorgere davvero solo coinvolgendo nelle lotte l’insieme dei dipendenti pubblici; non solo per accrescere la forza del movimento, ma perché nelle lavoratrici e nei lavoratori cresca nelle lotte la coscienza del ruolo sociale del pubblico, la tensione al prendersi cura, la percezione di sé come garanti dei diritti dei cittadini senza il quale non si dà un nuovo pubblico.

Per tutto questo, nella nostra iniziativa, la proposta di un nuovo modello di pubblico deve avanzare insieme con quelle per restituire salario, diritti e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori, perché qualità del lavoro e qualità dei servizi procedano insieme.

Questa mi pare la natura del cambiamento necessario perché al fallimento del mercato si possa rispondere non solo che ci vuole più pubblico, ma che Pubblico è meglio.


* Antonello Patta è il responsabile nazionale Lavoro del Partito della Rifondazione Comunista.


Immagine in apertura da pxhere.com

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