Un partito tra i movimenti: a Genova fu vera Rifondazione

Alfio Nicotra*

Genova 2001 era la tappa di un lungo cammino. Partito da Seattle, inverato nelle mobilitazioni di Praga e di Napoli, lanciato dal primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre e destinato ad aprire una lunga primavera di gigantesche mobilitazioni nel nostro Paese, in Europa e nel mondo. Rifondazione Comunista fu una delle colonne di quel processo perché ebbe la capacità e l’intuizione di mettersi a disposizione di una rete di movimenti con la quale interloquiva da pari a pari. L’internità ai movimenti non ci fu concessa per decreto, ma ce la conquistammo con la pratica dell’ascolto, con il tessere le fila della rete unitaria e per essere stata la sola forza del panorama politico italiano ad aver contrastato senza ambiguità l’orribile guerra “umanitaria” contro la Jugoslavia.

Per un partito po litico non sarebbe bastata però la collocazione all’opposizione dei poteri nazionali e sovranazionali dominanti, bisognava aver dimostrato con i fatti di avere la stessa pelle e la stessa attitudine dei movimenti sociali.

In questo 2021 in cui celebriamo i nostri primi 30 anni di vita e i 20 anni dai fatti di Genova, forse, è opportuno provare a spiegare anche le radici di quello che, almeno per me che ebbi l’onore di rappresentare il Prc nel Genoa Social Forum, fu il primo atto concreto di quella rifondazione di un pensiero e di una pratica della liberazione per cui eravamo nati.

Il “Camminare domandando” del Prc

C’è una data che segna il lento ma inesorabile cambio di fase: è il 1 gennaio 1994. La rivolta degli indigeni zapatisti nelle montagne del sud/est messicano. Insurrezione dei senza nome e volto in una storia finita e pacificata con la glorificazione del capitalismo neoliberista. Al Dipartimento Internazionale del Prc, a quel tempo già guidato dal compagno Ramon Mantovani, intuimmo da subito la modernità di quel messaggio che rompeva la sacralità del pensiero unico del mercato turbando la festa per l’entrata in vigore del trattato di libero scambio, il Nafta, tra Usa, Messico e Canada.

Nel mercificare i beni comuni e le risorse naturali, nel precarizzare il lavoro e cancellare le economie di sussistenza c’erano già allora tutti i temi che ritroveremo al G8 del 2001. Per questo, in quegli anni, iniziammo una fitta relazione con l’Ezln e con il subcomandante Marcos con l’invio di delegazioni, di parlamentari, con la partecipazione di tantissimi compagni e compagnie, in larga parte giovani, agli “accampamenti per la pace” nei villaggi indigeni, interponendoci tra la popolazione e le truppe di occupazione dell’esercito federale messicano. Ci furono due incontri intercontinentali “per l’umanità e contro il neoliberismo” e il Prc fu tra le poche formazioni partitiche a essere accettata e a parteciparvi attivamente. In quella palestra della solidarietà internazionale imparammo a “camminare domandando” e a marciare insieme ad altri diversi da noi.

Qui si costruiscono i legami con i centri sociali poi tute bianche (portiamo insieme a Venezia una delegazione dell’Ezln con un corteo nazionale) e con un pezzo di mondo cattolico legato al vescovo di san Cristobal de Las Casas, don Samuel Ruiz Garcia. Fu un legame, quello con questi settori più radicali del mondo cattolico, che ci portò a sostenere la campagna di boicottaggio della Nike per i mondiali del 1998 per le terribili condizioni di sfruttamento del lavoro minorile in Asia e la campagna “Abiti puliti” che denunciava il medesimo sfruttamento a favore dei marchi “made in Italy” e delle multinazionali occidentali. E ancora, anche grazie a una rete di collegamenti sempre più internazionali, la campagna contro la violazione dei diritti sindacali da parte della Coca Cola in Colombia e la relazione che avevamo avviato con il movimento dei Sem Terra del Brasile motore a sua volta di una rete mondiale di contadini: la “Via Campesina”.

Il Popolo di Seattle e quello di Porto Alegre

Queste campagne e reti si ritrovarono tutti a Se- attle nel 1999 al vertice del WTO e si somma- rono alle contestazioni dei sindacati statunitensi in manifestazioni così popolari e determinate da costringere governi e funzionari dell’organizzazione a sospendere i negoziati e il summit. La nascita del “popolo di Seattle” è il salto di qualità: la contestazione antiliberista è arrivata finalmente nel cuore del sistema del capitalismo contemporaneo. Il Prc è presente a Seattle con una delegazione inviata comunemente dall’Ufficio di Programma e dal Dipartimento Internazionale. C’è anche un salto di qualità nel nostro dibattito interno. I temi dell’altermondialismo prendono sempre più campo e impongono di modificare la vecchia concezione di internazionalismo: non più semplice solidarietà con i popoli oppressi ma occorre contrastare il neoliberismo da noi, nel nostro continente. L’Europa come spazio politico e sociale minimo dentro il quale provare a resistere e rovesciare le politiche di spoliazione dei diritti, del pianeta e dell’umanità. Seattle significa anche incrocio tra il movimento operaio tradizionale e i nuovi movimenti, una fucina fondamentale in cui forgiare le fondamenta del “movimento dei movimenti”.

Quando a Porto Alegre nel gennaio 2001 si svolge il primo Forum Sociale Mondiale, la delegazione del Prc composta da Graziella Mascia, Sara Fornabaio, Peppe De Cristoforo e chi scrive, si trova davanti a una babele di lingue ed esperienze di lotta. Si costituiscono e si allargano ovunque nuove reti internazionali: quella sulla scuola, dei lavoratori dei trasporti, del diritto alla salute, delle donne, della gioventù. È una università a cielo aperto dove l’intellettualità critica del pianeta si confronta in un centinaio di plenarie ed in almeno un migliaio di workshop. Il libro degli eventi è stampato fitto come un giornale e distribuito agli oltre 50 mila delegati provenienti dai 5 continenti.

A Porto Alegre si riunisce la delegazione italiana e rompe gli indugi: a luglio a Genova, non ci saranno solo gli otto grandi ma ci saremo anche noi.

Allargare la rete, tenere insieme i pezzi

Tornati da Porto Alegre ci portiamo dietro una agenda fittissima. In cima ad essa c’è la necessità di allargare la rete e tenere insieme il vasto fronte che potrebbe assediare il G8. È un lavoro che dobbiamo fare anche nel partito, impegnato in una campagna elettorale delle politiche, le prime dopo la scissione dei cossuttiani. Il segretario Bertinotti, larga parte della segreteria e della direzione nazionale sostengono questa linea. Sono centinaia i dibattiti su Genova, Porto Alegre, il nuovo movimento dei movimenti nelle Feste di Liberazione e non solo. Il dibattito non è sempre univoco. Ci sono impostazioni più tradizionali che insistono sulla centralità del partito; si avanza il timore di voler svendere la nostra identità comunista sull’altare di un generico movimento antiliberista.

Ma per la prima volta dalla nostra nascita abbiamo la possibilità di avviare la rifondazione non con una realtà sociale stagnante ma in un fermento culturale e politico che si sta radicalizzando. La rifondazione questa volta sarà vera e non la faremo solo nel chiuso delle nostre discussioni congressuali ma misurandola in piazza, nella lotta. Il mondo cattolico si è andato aggregando nella Rete Lilliput; in Italia viene fondata Attac; a Genova per iniziativa anche dei compagni e delle compagne del Prc è sorta la Rete contro il G8.

Il sindacalismo di base (Sincobas, Cobas e Cub) sono dentro il Genoa Social Forum ai quali si aggiunge la Fiom. Anche il mondo delle Ong, il più tentato dal dialogo istituzionale con il G8, è chiamato a scegliere e la maggioranza sceglie di stare con il Gsf. Il mondo dei centri sociali è in fermento: con i Giovani Comunisti è nato il movimento delle “tute bianche” e dei disobbedienti. Al Sud si sono aggregati nella “Rete No Gobal”. C’è la Lila di Vittorio Agnoletto, una vita a battersi per l’accesso ai farmaci e la cancellazione dei brevetti per le medicine salvavita come quelle contro l’Aids. Ci sono gli ambientalisti di Legambiente, ma anche il WWF (nella sua sede, poco lontano da Palazzo Ducale, si svolgono innumerevoli incontri preparatori del consiglio dei portavoce del Gsf). C’è l’Arci di Tom Benettollo, rappresentato nel Gsf da Raffaella Bolini che è impegnata ventre a terra a espandere l’internazionalizzazione del Gsf. Ci siamo noi, il Prc nazionale e quello genovese, a cui tutti guardano con rispetto e si affidano alla nostra capacità di tenere insieme un mondo così variegato. C’è Il Gue, il gruppo parlamentare al parlamento europeo, che arriva in forze a Genova con i propri esponenti ma anche con migliaia di militanti. Nelle giornate di Genova il Prc decise di stare in tutte le piazze tematiche: quelle fatte dalla Rete Lilliput, dalla Rete contro il G8, da Attac, dai Cobas, dai disobbedienti acquartierati allo stadio Carlini.

Decidemmo di stare ovunque

Non scegliemmo una nostra piazza, ma decidemmo di stare ovunque. I nostri parlamentari subirono le violenze della polizia come gli altri manifestanti. Avevamo la consapevolezza di funzionare da collante dei vari pezzi, senza apparire troppo e sempre con spirito di servizio. In seguito, dopo la disastrosa esperienza della Sinistra Arcobaleno e la condizione di extra-parlamentari a cui siamo stati costretti, Fausto Bertinotti e altri compagni hanno posto il tema che era necessario sciogliere a Genova il Prc per costruire con i movimenti un nuovo soggetto politico. Posso testimoniare che questo dibattito a Genova non esisteva proprio. Non so se l’assenza di questo tema fu un bene o un male. 

So che in quei giorni, poi connotati da una terribile repressione, il Prc dimostrò tutta la sua generosità e utilità sociale. La proseguimmo anche dopo, a Firenze e negli altri Forum Sociali Europei e nelle grandi mobilitazioni contro la seconda guerra all’Iraq. Poi il movimento rifluì, e in Italia non aiutò la nostra collocazione in un governo che era prigioniero dell’ideologia neoliberista. Errori a parte, Genova rimane per la storia del Prc forse l’ esperimento più avanzato sulla strada della rifondazione, e la lettura di quel processo può sicuramente aiutare anche oggi a una nuova ripartenza.


* Alfio Nicotra, giornalista, è stato responsabile nazionale Pace e Movimenti del Prc dal 1994 al 2013. Attualmente è co-presidente nazionale di Un Ponte Per.


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