Una storia di luce e tenebra

Renata Puleo*

“La politica è essenzialmente un’attività che consiste nel «prendere parte» alla deliberazione, l’attività di mettere in comune le parole e i pensieri […] è solo tramite l’attività che le cose possono veramente essere rese comuni […] è comune ciò che è preso in carico in comune” P. Dardot, C. Laval

Comune, collegiale

L’ottica che assumo, nel commentare la vicenda degli Organi Collegiali della scuola (OOCC), è che il pubblico e il comune non sono riassorbibili nel concetto di statale, dunque dell’istituito mediante la legge. La storia e lo stato attuale degli OOCC, interrogano il possibile in-comune, ciò che si delinea in quel prendere parte, di cui scrivono i due studiosi francesi. 

Partecipare, nel suo significato, spesso oscurato dall’uso, richiama: i) l’essere una parte, ovvero una parzialità ritagliata per differenza (di status, di interesse, di spinta valoriale, ecc.) in una platea più ampia di soggetti; ii) la possibilità di giocare tale parzialità in un contesto in cui essa si misura con altre per il raggiungimento di scopi superiori, che le sovrastano e le orientano diventando comuni. L’attuale decadenza degli OOCC, sia dal lato dei poteri esercitati che della rappresentanza espressa, è emblematica dei problemi che attraversano le istituzioni democratiche, e della messa in crisi dei principi della nostra Costituzione.

Ieri

Gli OOCC vennero istituiti con il DPR 31/05/1974 n. 416, e il loro perimetro normativo è delineato in disposizioni successive, di cui le più significative sono: il Dlsg 16/04/1994 n. 297; il Testo Unico in materia di istruzione; la legge 15/03/1997 n.59, che ha sancito e normato i principi dell’autonomia, e il DPR 08/03/1999 n. 275 (Regolamento in materia di autonomia). Disposizioni e regole confluite nei diversi contratti collettivi di lavoro per gli effetti dei loro poteri sui diritti e sui doveri del personale della scuola e divenuti oggetto di innumerevoli note esplicative e interpretative emanate dal MIUR (oggi Ministero Istruzione).

Potremmo grossolanamente suddividerli in organismi interni alle singole istituzioni scolastiche (Consiglio di Istituto, Collegio Docenti, Consigli di Classe), aperti alla partecipazione di rappresentanze territoriali (Consiglio Scolastico Distrettuale e Provinciale), consulenti (Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione). Senza carattere deliberante, ma significative in quanto espressione diretta di volontà e giudizio, sono le assemblee dei genitori e, nella scuola superiore, degli alunni1.

È importante ricordare ciò che fece, negli anni ’70, da terreno di coltura dei Decreti Delegati del 1974, per non perdere di vista il collegamento politico e giuridico fra immaginario collettivo immaginario istituente, la relazione, non sempre virtuosa, fra ciò che matura dal basso, in forma creativa e ancora indeterminata, e quel che la classe dominante accoglie, elabora e sancisce, trasformando gli istituti spontanei in istituzioni normate (C. Castoriadis). Riporto qualche esperienza personale vissuta in contesti storici e geopolitici differenti.

Torino

Nel quartiere Mirafiori di Torino, agli inizi degli anni Ottanta, il tessuto operaio degli insediamenti a ridosso della Fiat, l’attivismo del sindacato metalmeccanico, la presenza fortissima della sezione del Partito Comunista e dei movimenti alla sinistra del PCI, i collettivi femministi nella doppia militanza con sindacato e partito, favorirono una particolare attenzione verso la scuola, soprattutto quella elementare e media. Apposite sezioni di discussione, nei contesti su citati, erano centrate sulla necessità di esercitare una partecipazione attiva nei luoghi di istruzione dei figli, in una visione dell’educazione dei piccoli che era tutt’uno con il disegno politico di una società più giusta, più libera.

L’esperienza di questi spazi di discussione, il formarsi di veri e propri consigli di scuola costituiti da genitori e insegnanti, furono un esempio del succitato immaginario collettivo. In virtù di queste esperienze, la nascita degli OOCC venne vista da molti come un restringimento della partecipazione, una sterzata verso la definizione burocratica di funzioni e compiti, effetto che il meccanismo democratico del voto non poteva evitare.

A cose fatte: una rivoluzione passiva?

Agli inizi degli anni Novanta, mentre già era evidente il progressivo processo di svuotamento dei compiti degli OOCC nello spirito funzionalista che si andava consolidando, a Primavalle, borgata romana di epoca fascista trasformatasi in un eterogeneo quartiere multietnico, si delinearono due scenari. Negli organismi interni, in Consiglio di Istituto, in Collegio Docenti, si manteneva stabile la volontà di essere partecipi, di interrogare un territorio difficile, complesso, la necessità di fare della scuola il suo presidio, un luogo di incontro, conflitto, cooperazione, uno spazio in cui giocare le contraddizioni facendone elementi di crescita politica.

Per contro, nel Consiglio di Distretto, in cui afferivano tutti gli ordini di scuola, ma soprattutto sedevano i delegati di una classe di amministratori in disfacimento, ogni decisione appariva bloccata fin dal primo delinearsi dei problemi. Soprattutto la partita dei dimensionamenti, con le pressioni dall’alto a ridurre, eliminare, accorpare scuole, e quella degli investimenti che l’Ente Locale progressivamente smetteva di destinare alle attività scolastiche, mostrarono l’impossibilità di far convergere le istanze territoriali verso il decisore politico.

Così, nonostante l’attivismo e lo spirito cooperativo di molti, crebbe il disincanto, e si consolidò la conferma di qualcosa di previsto a suo tempo. Nel cambio di passo nel governo della scuola, sotto i colpi di mannaia della Moratti e della Gelmini, gli OOCC presero le forme di quel che resta di una rivoluzione passiva. Le istanze dal basso, l’utopia del cambiamento radicale del modello sociale dominante proprio a partire dalla scuola, vennero progressivamente meno, sussunte nel rassicurante paradigma burocratico.

L’azienda autonoma

Il volto della reazione, del ridimensionamento della partecipazione, dopo le controriforme citate sopra, è apparso in tutta la sua chiarezza di lineamenti con l’Autonomia Scolastica: la Dirigenza diventa un organo monocratico-manageriale, unico effettivo governo dell’istituzione. Si portano così a compimento molte delle criticità su descritte. Con la Legge 107/2015 si realizza pienamente il processo di aziendalizzazione, si sancisce la dimensione produttivistica dei processi di apprendimento, il legame con il tessuto produttivo viene letto come necessità di risposta al mercato del lavoro.

Se, come auspicato dai rottamatori/riformatori, oggi non si è ancora fatta la riforma degli OOCC interni, è perché la verticalizzazione delle decisioni è già un’evidenza. Del resto, il Consiglio di Distretto è stato abolito, il Consiglio Superiore ridimensionato a organo privo di ogni significato istituente (i suoi pareri obbligatori non sono vincolanti, aspetto molto chiaro al MI che, pur chiedendoli, li ignora sistematicamente).

La lunga decadenza degli OOCC ha accompagnato, inevitabilmente, il precipitare della partecipazione alla vita politica del paese, la perdita di identità dei partiti storici e degli organi di intermediazione, l’emorragia dei diritti al lavoro e all’istruzione. Nelle scuole, il Dirigente usa il Consiglio di Istituto come un consiglio di amministrazione di cui è l’onnipotente CEO, i suoi consiglieri, ormai completamente distaccati dalla loro base elettiva, costretti a una presenza ecolalica.

L’Era Covid

Ma il peggio doveva ancora venire. L’attuale situazione di funzionamento a distanza degli OOCC è stata dettata dal Dpcm 8 marzo 2020 all’art 1 lettera h, come misura di contenimento della sindemia da Covid-19. Le incertezze del primo periodo, le difficoltà organizzative, lo smarrimento collettivo, i problemi di connessione hanno fatto saltare tutte le regole e consolidato la verticalizzazione delle decisioni. Sono spesso venuti meno importanti passaggi procedurali: la predisposizione dell’ordine del giorno nei tempi stabiliti, l’accertamento della presenza di 2/3 dei membri; la redazione del verbale (atto in cui sia rinvenibile oggetto e andamento della discussione), l’obbligatoria trascrizione integrale delle mozioni, la regolarità delle espressioni di voto, la pubblicazione delle deliberazioni.

Dopo un anno alcune situazioni si sono regolarizzate, eppure il colpo inferto alle forme della democrazia (non solo in ambito scolastico, purtroppo) sembra favorire la lunga agonia degli OOCC.

Concludendo

Il quadro delineato in queste righe è parziale. La storia degli OOCC è metaforica. I consigli di classe in ogni ordine di scuola affogati nella compilazione dei format per la valutazione delle competenze, le assemblee studentesche e gli spazi istituzionali negati, per la verità già prima dell’emergenza, a genitori e a presenze esterne, sono un altro aspetto della scuola sfigurata dalle chiusure, reali e simboliche.

Il neo Ministro Patrizio Bianchi auspica il superamento dell’attuale ritualità burocratica degli OOCC, inadatta ad avallare i Patti di Comunità, all’insegna di una autonomia solidaristica che non deve più distinguere il pubblico dal privato, il territorio non essendo altro che la pletora degli interessi privati, offerti alla scuola come contributo al suo rinnovamento.

La parabola storica torna al suo inizio: ora, come negli anni Settanta, solo la capacità di reinterpretare la partecipazione, la presa in carico in comune del bene-conoscenza dal basso, può costituire un modo per capire quali organismi di rappresentanza possono essere ancora ricchi di senso politico.


Note

1 Mi limito a uno sguardo d’insieme, e, per ragioni di spazio, rinvio per funzioni, compiti, composizione alle fonti e agli innumerevoli contributi di letteratura.


* Renata Puleo, già Maestra di scuola elementare, Direttrice Didattica, Dirigente Scolastica, formatrice sui temi della formazione, nello specifico della valutazione. Svolge l’attività politica nel Collettivo NiNaNd@, che si oppone ai processi di aziendalizzazione della scuola e alle attuali derive della didattica digitale.

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