Unione Popolare nel quadro della sinistra (radicale) europea

Marco Damiani* e Fabio de Nardis**

Introduzione

L’esperienza di Unione popolare in Italia ci impone una riflessione che possa assistere una fase costituente complessa, dove i soggetti aderenti siano messi nelle condizioni di condividere un percorso organizzativo reale in direzione di una convergenza unitaria virtuosa, oltre che sentita come necessaria dal popolo della sinistra. In questa sede, cercheremo brevemente di collocare il caso di UP all’interno del quadro più ampio della sinistra europea, consapevoli che nel nostro Paese vi siano due elementi che condizionano negativamente qualunque processo di riaggregazione della sinistra radicale: da un lato, la presenza del Movimento 5 Stelle che, soprattutto dopo la sua ricollocazione all’opposizione e in autonomia rispetto al Partito democratico, rischia di fagocitare qualunque esperienza aggregativa a sinistra; dall’altro lato, la presenza di un sistema elettorale che comprime la rappresentanza politica degli interessi, imponendo alleanze aritmetiche in direzione di una sorta di bipolarismo imperfetto. Per questa ragione, premettiamo che nessuna reale esperienza unitaria a sinistra può a nostro avviso avviarsi senza la contemporanea costruzione di un fronte ampio di mobilitazione per la riaffermazione di un sistema elettorale compiutamente proporzionale.     

Quello dell’organizzazione è uno dei principali problemi che interroga i partiti politici in questa epoca post-ideologica (de Nardis 2020). Il superamento dei partiti di massa a ideologia dominante apre la strada a un cambiamento profondo verso la comparsa di soggetti nuovi che si affermano attraverso modelli organizzativi peculiari. Tra i partiti della sinistra radicale in Europa si riconoscono (almeno) cinque diversi modelli di organizzazione politica che chiameremo partito tardo-ideologico, partito plurale, partito-fronte, fronte e partito-movimento (Damiani 2016).

Il partito tardo-ideologico

Il partito tardo-ideologico riguarda quei soggetti che non si sono arresi alla crisi sociale del partito di massa. Questo tipo di partito si ispira ai modelli tradizionali di stampo novecentesco, nella convinzione che quella sia l’unica forma di organizzazione possibile, o quantomeno la più nobile. Nell’ambito della sinistra radicale spagnola e francese questa fattispecie può riscontrarsi nei partiti comunisti, nella Pds in Germania e, in parte, nel PRC in Italia. Questi soggetti sono organizzati attorno a una forte identità politica e, seppur attraverso un’intensità non paragonabile ad altri tempi, cercano di mantenere la struttura organizzativa di quello che Duverger aveva definito partito di sezione, cioè organizzato in modo capillare sui territori. Si tratta di un modello organizzativo che possiede una storia gloriosa, ma che si scontra oggi con alcune trasformazioni sociali, culturali ed economiche che rendono sempre più difficile mantenere livelli di militanza territoriale all’altezza della sfida. Al netto di questo modello di partito, sono state messe in campo diverse altre nuove formule organizzative, sperimentate spesso con successo dai partiti di sinistra in Europa.   

Il partito plurale

Il partito plurale, seppur con caratteristiche diverse rispetto a quelle del partito tardo-ideologico, da cui in genere trae origine, è un’organizzazione che presenta i tratti dell’unità politica, intesa come fusione di diverse componenti, che – allo scopo di superare lo schema del modello federato – preferiscono fondersi in un attore unitario. In questo caso, tutte le parti confluite all’interno del soggetto decidono di convergere in un’unica organizzazione politica. Tipici esempi di partiti plurali sono quelli della sinistra radicale tedesca e greca. In entrambi i casi, sia Die Linke sia Syriza racchiudono al proprio interno diverse esperienze storiche, che tuttavia trovano un accordo, promuovendo una vera e propria fusione politica. La forma organizzativa dei partiti plurali della sinistra radicale nasce, nei casi citati di Germania e Grecia, per spinta delle regole elettorali. La legge elettorale tedesca, quanto meno a livello di Bundestag, obbliga i partiti a presentarsi in veste unitaria. Quello tedesco è infatti un tentativo volto a conferire maggiore stabilità al sistema politico. Molto simile è il caso greco, dove le regole istituzionali favoriscono l’unità delle forze in campo, riconoscendo un premio di maggioranza al partito più votato, nel caso in cui nessuna formazione raggiunga la maggioranza assoluta. È in ragione di questo che nel 2014, in vista delle elezioni politiche dell’anno successivo, Syriza dismise le vesti della coalizione per diventare partito plurale, assommando in sé diverse componenti in un unico soggetto politico. A seguito di tali trasformazioni, nel 2015, il partito di Alexis Tsipras riuscì ad accedere al premio di maggioranza, conquistando il governo del Paese.

Il partito-fronte

Il partito-fronte assomma in sé diverse componenti politiche che, a differenza di quanto indicato per il caso precedente, decidono di confluire in un contenitore unico senza rinunciare alla propria identità organizzativa. Al soggetto unitario sono demandate solo alcune funzioni (tra cui quella elettorale). I partiti aderenti mantengono i propri simboli, le rispettive sedi e gli organi dirigenti, normalmente costituiti e operanti in parallelo rispetto a quelli del soggetto unitario. Questo modello descrive esattamente la forma organizzativa di Izquierda Unida in Spagna. In questo caso, dentro IU confluiscono diverse componenti, la più importante delle quali è quella rappresentata dal Partito comunista che, pur conservando la sua struttura organizzativa, decide di non partecipare alle elezioni, contribuendo a costituire un soggetto politico più ampio, che presenta a sua volta nome e simboli propri. Nel caso spagnolo è in vigore il doppio tesseramento, permettendo ai militanti di area la possibilità di aderire sia a Izquierda Unida sia ai soggetti affiliati.

Il fronte

Il fronte è una modalità di organizzazione politica più soft rispetto ai modelli presentati finora. Rappresenta poco più di un cartello elettorale a bassa strutturazione, ma con un’immagine esterna non riconducibile alla somma delle singole parti. Nelle esperienze della sinistra europea, tutti i soggetti che costituiscono fronti continuano a rappresentare autonomamente l’identità della coalizione, conferendo l’immagine di un contenitore sempre a rischio di sopravvivenza per la maggiore forza rappresentata dalle singole componenti rispetto all’intera coalizione. Il modello frontista, sia nel nome sia nella sostanza dei fatti, è quello che fu interpretato in Francia dal Front de gauche, costituito per appoggiare la candidatura di Jean-Luc Mélenchon in occasione delle elezioni presidenziali del 2009. Il Front proponeva una bassa strutturazione e forte conflittualità interna (soprattutto tra PCF e Parti de gauche), che ne hanno determinato lo scioglimento. Nella declinazione francese, il Front non ha mai posseduto un patrimonio immobiliare esclusivo ed era costretto a riunirsi in una delle sedi dei partiti membri. Inoltre, non è mai esistita una campagna di tesseramento autonoma. Per aderire al soggetto bisognava tesserarsi a una delle sue singole parti costituenti. Dopo l’esperienza frontista, sempre in Francia e sempre animata da Mélenchon, l’Union popular può ricondursi al medesimo modello frontista, in attesa di comprendere quale sarà il suo futuro e se sarà capace o meno di intraprendere un percorso di istituzionalizzazione politica.

Il partito-movimento

Il movement-party è l’ultimo dei modelli organizzativi che consideriamo. Questa forma partito qualifica, per esempio, il caso spagnolo di Podemos, in parte quello francese di France Insoumise e quello italiano di Potere al Popolo (Damiani 2020). Sul piano organizzativo anche il PRC, attraverso la teorizzazione del “partito sociale”, per un periodo sembrava voler approssimarsi a questo modello (de Nardis 2009a, 2009b). Nessuno di questi due esempi può definirsi un fronte e tanto meno possono ascriversi alla fattispecie dei partiti tardo-ideologici o a quella dei partiti plurali. Sono casi molto particolari, che danno origine a formazioni politiche giudicate a metà tra partito e movimento. Il movement-party, pur presentandosi a regolari tornate elettorali, assumendo quindi le vesti di un vero e proprio partito politico, continua a mantenere alcuni tratti distintivi dei movimenti sociali.

La politica istituzionale è sempre stata permeata dai movimenti sociali (Goldstone 2013, 4). Le relazioni tra partiti e movimenti possono avere tratti diversi: «I movimenti competono con i partiti. I movimenti si infiltrano nei partiti […] i movimenti diventano partiti» (Garner, Zald 1985, 137). La maggior parte dei partiti classici sono nati come movimenti (si pensi al movimento operaio che ha prodotto i partiti socialisti e comunisti, e al movimento ambientalista che ha prodotto i partiti ecologisti). 

Il rapporto tra movimenti sociali e partiti di opposizione (soprattutto di sinistra) è sempre stato intenso (della Porta 2009). Con la crisi delle democrazie rappresentative e la debolezza elettorale dei partiti politici della sinistra radicale, alcuni movimenti hanno perso i propri riferimenti (o alleati) istituzionali e hanno fatto la scelta di trasformarsi in partiti ibridi che fondono organicamente aspetti dei partiti classici e dei movimenti sociali. Essi sono quindi coalizioni di attivisti politici che cercano di applicare l’organizzazione e la pratica strategica dei movimenti all’interno dell’arena politico-partitica (Kitschelt 2006, 280). Complessivamente, i partiti-movimento sono un risultato della restrizione nella struttura delle opportunità politiche che le liberaldemocrazie contemporanee offrono ai movimenti sociali. Questo processo è diventato molto evidente dopo le crisi economiche degli anni 2000 e 2010, come prodotto dei movimenti sociali che interpretano le richieste conflittuali dei cosiddetti “perdenti” del neoliberismo, di fronte a una crisi di responsabilità da parte dei partiti classici di centro-sinistra (Damiani 2022). Podemos in Spagna, e, in modo diverso, Potere al Popolo in Italia sono, con le dovute differenze, l’espressione di questo fenomeno. In ogni caso, i partiti-movimento hanno successo dove i movimenti sono stati in grado di determinare mobilitazioni massicce su nuove fratture sociali.

Sul piano organizzativo, questi soggetti sono reti di attivisti che sostengono una visione partecipativa della democrazia. Fanno molto affidamento sui nuovi media digitali, sollecitando spesso nuove pratiche di democrazia elettronica (Gerbaudo 2019). Generalmente assumono una forma di organizzazione orizzontale, rizomatica, che combina cioè una struttura simile al party-on-the-ground, con un forte radicamento territoriale, e una più legata a una sorta di comunità online. Cercano di combinare la logica partecipativa e di protesta dei movimenti sociali con quella istituzionale dei partiti politici. Dal punto di vista dell’inquadramento, questi soggetti reagiscono alla crisi delle vecchie fratture sociali, cercando di creare nuove soggettività e nuove linee di conflitto.

Il caso di Unione popolare

In Italia, l’esperimento di Unione popolare rappresenta un caso studio ancora diverso rispetto a quelli considerati finora, forse più simile al fronte, ma con differenze peculiari non irrilevanti. Dopo l’esperienza di Potere al popolo del 2018, UP, per come è apparsa alle elezioni politiche del 2022, si propone come un rassemblement radicato attorno a esperienze spesso virtuose di mutualismo sociale. In considerazione della sua caratteristica di origine, però, l’UP italiana, a differenza di altre esperienze frontiste, è obbligata a intestarsi un obiettivo ambizioso che equivale a fare un salto di scala, non scontato, dal locale al nazionale e dal sociale al politico. Portare le pratiche mutualistiche all’interno di un progetto politico che si candida a governare il Paese può rappresentare una sfida tanto fascinosa quanto ambiziosa. La sfida sta nel trasformare le singole, frazionate, differenti, plurali e spesso contraddittorie istanze di rivendicazione sociale in coerenti, compatte, unitarie e forti istanze di rivendicazione politica che possano tenere insieme interessi, bisogni, domande e forme di lotta non necessariamente connesse tra loro. Si tratta quindi di un esperimento complesso, la cui realizzazione non può prescindere da due snodi fondamentali: 1) elaborare un modello d’inquadramento teorico che sappia costruire una coscienza collettiva coerente con un unico schema interpretativo di riferimento e che sappia perciò trasformare le istanze di rivendicazione sociale in istanze di rivendicazione politica; 2) perseguire e realizzare il proprio obiettivo nei tempi medio-corti della politica contemporanea, abituata a marciare a velocità crescente e con cambiamenti rapidissimi.

In una fase storica affatto diversa da quella attuale, il conflitto crescente tra le forze del capitale e quelle del lavoro, seppe creare le condizioni per convincere le leghe contadine e operaie dei primi del Novecento a farsi promotrici del processo costituente dei partiti social-comunisti. Attualizzare almeno in parte quella lezione sarà il difficile compito che spetta a chi oggi accetta la sfida di Unione popolare. A questo riguardo, pensare che a Unione popolare sia demandata la sola dimensione elettorale, mentre la proposta politica sia invece affidata ai singoli soggetti proponenti è una prospettiva che in realtà indebolisce il progetto, perché lo colloca dentro una dimensione frontista che, come dimostra la storia francese del Front de gauche, è fragile e resiste solo in caso di successi elettorali, mentre rischia di sgretolarsi nei momenti di maggiore difficoltà sotto la morsa delle identità organizzative dei soggetti aderenti. Chi scrive è consapevole che non vi siano attualmente le condizioni storiche immediate per la trasformazione di UP in “partito plurale”, e forse un’eccessiva blindatura organizzativa non sarebbe in questa fase storica neanche auspicabile, perché agirebbe da disincentivo all’ingresso per molte soggettività sociali attualmente esterne al processo. Crediamo però che tra “cartello elettorale” e “partito plurale” esistano formule organizzative intermedie che potrebbero funzionare come salvaguardia del progetto, conferendogli un’identità potenziale che, in caso di buona riuscita, arrivi a superare la mera somma dei soggetti aderenti. Per questa ragione crediamo che, al di là delle formule organizzative verticali, ovviamente necessarie (coordinamento, consiglio, rappresentanze territoriali, ecc.), possa essere importante lavorare alla costruzione di circoli territoriali di UP, garantendo l’adesione individuale anche a donne e uomini che attualmente non si riconoscono in nessuno dei soggetti promotori. Solo così, in questa delicata fase intermedia, si potrà provare a costruire una reale unità popolare, valorizzando comunque la storia, le tradizioni e le pratiche dei soggetti plurali che oggi hanno avuto il coraggio di accettare questa sfida.     


* Marco Damiani è professore di sociologia politica all’università di Perugia.

** Fabio de Nardis è professore di sociologia politica all’università del Salento, membro del coordinamento nazionale provvisorio di Unione Popolare.


Per approfondire

Damiani M. (2016), La sinistra radicale in europa. Italia, Francia, Spagna, Germania, Roma: Donzelli.

Damiani M. (2020), Populist Radical Left Parties in Western Europe, London: Routledge.

Damiani M. (2022), Sinistra senza classi, Milano: Mondadori Università (in corso di pubblicazione).

de Nardis F. (2009/a), La Rifondazione comunista, Milano: FrancoAngeli.

de Nardis F. (2009/b), “The «Social Connective Party» as alternative way to the «Cartel Party»: The Case of The Refoundation Communist Party in Italy in its relationship to the Social Movements”, unpublished paper presented during the roundtable organized by the Instituto de Ciências Sociais da Universidade de Lisboa, 4th September.

de Nardis F. (2020), Understanding Politics and Society, London: Palgrave McMillan.

della Porta D. (2009), I partiti politici, Bologna: Il Mulino, II edizione.

Garner R., M.N. Zald (1985), “The Political Economy of Social Movement Sectors”, in Suttles D.G. and M.N. Zald (eds.), The Challenge of Social Control: Citizenship and Institutions in Modern Society, Norwood (NJ): Abblex Publishing Corporation, pp. 119-145.

Gerbaudo P. (2019), I partiti digitali, Bologna: Il Mulino.

Goldstone J.A. (2013), “Introduction: Bringing Institutionalized and Nonistitutionalized Politics”, in J.A, Goldstone (ed.), States, Parties, and Social Movements, Cambridge: Cambridge University Press, pp. 1-24.

Kitschelt H. (2006), “Movement Parties”, in Katz R. and W. Crotty (eds.), Handbook of Party Politics, London: Sage, pp. 278-291.

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