Uno spettro populista si aggira per il mondo

Francesco Campolongo*

Introduzione

Cosa c’entra il populismo in un numero dedicato al comunismo? Parlare di populismo oggi vuol dire contribuire a cogliere le possibilità istituzionali e simboliche delle attuali post-democrazie in crisi di consenso, individuare alcune caratteristiche della sfera pubblica attuale, della comunicazione e delle organizzazioni. Significa, insomma, provare a capire se il populismo possa essere una strategia funzionale ad agevolare la ricomposizione soggettiva e a favorire un avanzamento per le forze comuniste.

Una definizione di populismo

Ormai da anni leader, discorsi, partiti ed eventi inaspettati e fuori dagli schemi vengono accomunati dall’appellativo/epiteto di populista: da Trump a Sanders, da Podemos al Front National della Le Pen, da Chavez a Orban, da Berlusconi al Movimento 5 Stelle.

Un calderone di fattispecie fenomeniche diverse e ideologicamente molto differenti che rendono difficile una definizione più o meno condivisa di un fenomeno che sembra tanto indefinito quanto popolare. Nel senso comune si è radicata un’accezione di populismo negativa, adoperata come sinonimo di destra radicale, demagogia e autoritarismo. La politologia in questi anni ha provato a definire con maggiore chiarezza il concetto offrendo una varietà di interpretazioni del fenomeno che hanno in parte complicato le cose, alimentando una disputa scientifica tutt’ora in corso.

In questo contesto Kriesi e Pappas adottano una definizione composta da tre dimensioni, che rappresentano tre diverse interpretazioni non necessariamente tutte presenti nei casi concreti.

La prima dimensione è il populismo come “un’ideologia sottile” che descrive la realtà sociale in maniera dicotomica e antagonistica: da una parte il popolo, unitario e organico, e dall’altra un nemico, un’élite, che può variare nella sua natura, colpevole di aver sottratto la sovranità al suo legittimo destinatario causando la crisi sociale che i populisti denunciano. Un’ideologia “sottile” proprio perché basata su pochi significanti dell’ideologia democratica, che trovano completezza solo articolandosi con altre ideologie per definire concetti tanto centrali quanto indefiniti poiché la loro definizione è sempre il risultato di una partita egemonica. Le èlite e il popolo invocato possono essere differenti, in base all’ideologia dell’attore politico, invocando una linea economica e sociale di sinistra come “il 99% contro l’1%” e “il basso contro l’alto”, una linea etnica di destra come “prima gli italiani” oppure un registro maggiormente antipolitico, come “la casta dei politici contro i cittadini”, oppure presentarsi in forma ibrida. Tendenzialmente, però, l’idea di sovranità evocata è critica rispetto ai meccanismi rappresentativi e favorevole a forme decisionali dirette e partecipate, mentre il popolo risulta organico, omogeneo e positivamente connotato.

Il populismo, come seconda dimensione, può essere una semplice strategia retorica di demonizzazione dell’avversario, di appellazione al popolo e al suo protagonismo finalizzato al compito storico di inaugurare una nuova era segnata, appunto, dalla riconquista della sovranità. Un linguaggio emotivo e semplificato, che si caratterizza per popolarizzazione e immediatezza, richiamando sempre al “buon senso” e alle persone comuni. 

Infine, la terza dimensione attiene al populismo come strategia di mobilitazioni personalistica per cui un leader si connette direttamente con la sua base, elettorale o partitica, scavalcando la mediazione delle organizzazioni. Quest’ultima sarebbe possibile e risulterebbe efficace trovando fondamento in una serie di trasformazioni sociali e politiche basate, principalmente, sul fenomeno della disintermediazione inteso come quell’insieme di discorsi, tecnologie e modelli organizzativi che promuovono forme di partecipazioni individualizzate, dirette e senza mediazioni organizzative.

Un populismo, dunque, si può presentare con queste tre dimensioni oppure solo con alcune di queste, può essere di destra o di sinistra evocando idee di popolo e di sovranità molto diverse.

Laclau e Mouffe per un populismo di sinistra.

Tra i principali riferimenti teorici del populismo di sinistra e progressista vi sono sicuramente Ernesto Laclau e Chantal Mouffe. Nella sua traiettoria politico filosofica Laclau supera il suo iniziale marxismo, ritenuto essenzialista e meccanicista, aprendo ad una prospettiva emancipatrice basata filosoficamente su un paradigma postrutturalista e discorsivo.

Grazie alla rielaborazione di alcuni concetti Gramsciani, come il concetto di egemonia, Laclau offre un’articolata interpretazione del populismo come logica di articolazione di “domande” diverse, in un contesto di crisi, capace di sfidare l’egemonia dei governanti. Per Laclau le “domande” sono l’unità minima che plasma il campo sociale e sono alla base della costruzione delle “identità popolari”. Quando il governo non è più capace di rispondere esaustivamente alla maggioranza delle domande si apre una crisi e queste divengono “popolari”, ovvero iniziano ad articolarsi tra loro per formare una catena di “domande” (chiamata “equivalenziale”) sotto l’ombrello di una maggiormente identificante.

Grazie alla logica populista, dunque, questa “catena equivalenziale”, spesso rappresentata da un leader, offre una articolazione contingente di domande diverse per la formazione di un soggetto politico capace di sfidare l’egemonia dominante. Semplificando, permette di unire lotte diverse grazie all’opposizione contro un nemico comune. In questo contesto la lotta discorsiva si basa principalmente sulla capacità di ridefinire i “significanti fluttuanti” ovvero concetti cardine della dimensione politica, come democrazia e popolo, il cui significato ultimo è sempre il prodotto dei rapporti di forza politici e simbolici, in sintesi dell’egemonia.

Il populismo permetterebbe al movimento popolare formatosi secondo la sua logica di rendere socialmente maggioritaria una determinata “equivalenza”, una specifica declinazione di popolo antagonistica alla formazione egemone. Il “popolo”, così, diventa una rappresentazione della società, un particolare che si presenta come universale, capace di emergere solo nel conflitto antagonistico con una determinata configurazione del potere e di assumere una fisionomia concreta nella specifica articolazione egemonica della fase.

Chantal Mouffe, nel suo Per un populismo di sinistra, tira le fila di un percorso filosofico condiviso con Laclau collocando la riflessione nell’attuale contingenza. Un percorso che sarebbe iniziato negli anni 70 per favorire l’articolazione di movimenti diversi da quello operaio, come quello femminista e ambientalista, permettendo al marxismo di andare oltre la classe stessa ma che oggi, secondo l’autrice, servirebbe proprio per ritornare ad includere la dimensione di classe. Per l’autrice gli effetti della “post-democrazia” neoliberista producono uno svuotamento delle istituzioni rappresentative favorendo la logicapopulista.

In particolare, l’affermazione di un regime “post-politico”, inteso come processo di tecnicizzazione e neutralizzazione della politica che supera destra e sinistra verso un orizzonte unico neoliberista, avrebbe favorito la percezione di qualsiasi proposta alternativa come estremista e irrealizzabile. Questo regime discorsivo, inoltre, ha costituito la base che ha legittimato il radicale trasferimento della sovranità da luoghi elettivi ad autorità terze e sovranazionali. La conseguente perdita di “sovranità popolare”, dovuta all’erosione dei principi di “uguaglianza” e “libertà”, ha favorito un’oligarchizzazione della società, ormai segnata da enormi diseguaglianze economiche e asimmetrie di potere.

In questo contesto la rappresentazione di una divisione antagonistica e manichea della società, tipica del populismo, permette di ridisegnare i confini partigiani della politica, ridando senso alla destra e alla sinistra ripercorrendo la frattura tra vincitori e vinti del regime neoliberista. Inoltre, la perdita progressiva della sovranità popolare fa della rivendicazione stessa della sovranità, in un contesto in cui il significante vuoto “democrazia” rimane centrale nell’immaginario collettivo, il perno di qualsiasi contesa egemonica.

Per chiudere, il processo di oligarchizzazione sociale dovuto all’incremento delle diseguaglianze facilita una rappresentazione manichea della realtà sociale come quella del 99% contro l’1%, che ricorre in quasi tutti i movimenti post 2008, oppure, da destra, la guerra allo straniero. In questo quadro la resistenza popolare prodotta dalla crisi egemonica si sviluppa in un contesto privo di un’ideologia critica di riferimento che possa orientare la trasformazione sociale, com’era stato il socialismo per tutto il secolo scorso, trovando nel populismo la forma ambivalente e contraddittoria di canalizzazione del dissenso.

Comunisti che attraversano il momento populista

L’analisi fin qui condotta ci ha permesso di individuare un “momento populista” per cui il populismo non sarebbe altro che la traduzione di alcune condizioni strutturali della sfera politica neoliberista segnata da de-politicizzazione, personalizzazione e dall’egemonia dell’immaginario democratico nella contemporanea crisi di consenso dei partiti e delle istituzioni. Seguendo Laclau e Mouffe, se pur da presupposti teorico politici diversi dai nostri, troviamo una chiave per un’articolazione dell’attuale soggettività frammentata, che da dignità alla molteplicità dei conflitti e delle fratture sociali (razza/ classe/genere/ambiente), unendoli grazie alla comune opposizione contro un nemico.

Questo soggetto popolare, articolato in forma populista, può rivendicare una sovranità che per i comunisti non può che corrispondere ad una radicalizzazione della democrazia stessa, insostenibile per il capitalismo come sosteneva Erik Olin Wright, partendo dalla possibilità di autodeterminazione materiale e politica di tutti gli individui.

Il popolo può essere, nelle sue ambiguità e contraddizioni, il guscio simbolico della ricomposizione, dividendo in maniera antagonistica la società attraverso linee sociali capaci di risignificare concetti centrali come patria e democrazia, articolando i volti differenti del movimento anticapitalista.

Come hanno fatto le forze progressiste in sud America o Podemos in Spagna, i comunisti possono rappresentare uno “strumento della sovranità popolare”, contrapponendo il “99% dei cittadini contro l’1% che detiene la ricchezza” per garantirne la redistribuzione e la partecipazione diretta dei cittadini e delle cittadine.

In particolare, se guardiamo al partito spagnolo, questo ha usato il populismo per irrompere nelle istituzioni, approfittando di una radicale crisi di consenso del sistema partitico, rivendicando di essere oltre la destra e la sinistra ma proponendo misure di sinistra, frutto del “buon senso”. Poco prima, in Italia, il bipolarismo era stato superato grazie ad una forza politica che richiamava alla democrazia diretta, denunciava la casta e parlava di reddito di cittadinanza. Il Movimento 5 Stelle, infatti, ha rappresentato un’articolazione variegata e contradditoria capace di incarnare la rottura occupando uno spazio disponibile in una specifica fase di crisi.

Potrei continuare, perché nel contesto europeo è pieno di soggetti populisti, di destra e sinistra, che hanno fatto irruzione nello scenario istituzionale.

Per i comunisti oggi vi è la necessità di assumere il “populismo” come una condizione strutturale dell’attuale fase neoliberista e il suo attraversamento come una condizione necessaria per cambiare i rapporti di forza attuali.

Un populismo di sinistra, dunque, serve per favorire la costruzione di un movimento popolare che acuisca le contraddizioni delle attuali postdemocrazie, invocando una democrazia sostanziale che decida su produzione e redistribuzione della ricchezza, e capace di unire in maniera intersezionale contro un’élite di parassiti che succhiano ricchezza dalle nostre vite.

Se l’egemonia rimane una partita a scacchi, una guerra di posizione, il populismo è la politica i tempi della sfiducia generalizzata, un incontro di boxe in cui si possono mettere i guantoni oppure guardare gli altri lottare.


Riferimenti utili

Fraser, Nancy. “Progressive neoliberalism versus reactionary populism: a Hobson’s choice.” The great regression (2017): 40-48.

Olin Wright, Erik. Come essere anticapitalisti oggi. Punto Rosso, 2017

Laclau, Ernesto, and Davide Tarizzo. La ragione populista. Laterza, 2008.

Mouffe, Chantal. Per un populismo di sinistra. Gius. Laterza & Figli Spa, 2018.

Kriesi, Hanspeter, and Takis S. Pappas, eds (2015).

European populism in the shadow of the great re- cession. Colchester: Ecpr Press

Cacciatore, Fortunato Maria. “Il momento populi- sta.” Ernesto Laclau in discussione. Mimesis, 2019

Caruso, Loris. “A Response to Comments. The Structural Mobilization Factors and the” Populist Cleavage”: Searching Connections between Social Change, Economy and Politics.” Sociologica 9.3 (2015): 0-0.

Anselmi, Manuel. Populismo: teorie e problemi. Mondadori education, 2017.


* Francesco Campolongo è ricercatore di sociologia politica all’Università di Padova. Si è occupato di populismo, democrazia e classi popolari. È segretario del circolo di Rifondazione Comunista di Cosenza e componente del “Cantiere delle idee”


Immagine in apertura da www.pxfuel.com

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