Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo. PuntoG, il femminismo al G8 di Genova

Monica Lanfranco*

“È il femminismo il vero umanismo, e il pensiero politico che unifica tutte le grandi utopie: quella socialista, quella pacifista, quella nonviolenta, quella anticapitalista. Il vero obiettivo comune da raggiungere è la solidarietà tra le donne, una solidarietà politica nella quale si esaltino le cose che ci uniscono e si continui a lavorare su ciò che ci divide”. Nawal Al Sadawi

“Mi sembra di poter rivolgere agli uomini un caldo appello perché finalmente vadano oltre il loro triste, monotono, insopportabile simbolico di guerra, che trasforma tutto in militare: l’amore diventa conquista, la scuola caserma, l’ospedale guardia e reparti, la politica tattica, strategia e schieramento. In questo modo non si va oltre lo scontro fisico in uniforme ed è chiaro che la parte non bellicosa della popolazione non partecipa, il movimento diventa sempre più militarizzato, e si va incontro a un sicuro insuccesso: i poteri forti si rafforzano sulla nostra stupidità”. Lidia Menapace

Sono le parole di due grandi intellettuali politiche, attiviste e femministe morte durante la pandemia e che, in modi diversi, sono state di ispirazione, venti anni fa, per chi ha partecipato, un mese prima delle iniziative del luglio 2001, alle giornate di riflessione e incontro realizzate a Genova a PuntoG-genere, globalizzazione. Sono passati 20 anni, da quel giugno e quel luglio che, nel 2001, cambiò le vite di centinaia di migliaia di persone: il G8 di Genova, infatti, è stato un evento spartiacque sia a livello personale che politico, proprio all’inizio del nuovo secolo.

Ci lamentiamo, con ragione, del rischio e del pericolo di perdita di memoria da parte delle giovani generazioni. Eppure, nonostante la pandemia e le relative emergenze che questa ha portato con sé la sorpresa è stata che, sin dai primi mesi del 2021, mi sono arrivate molte richieste da parte di giovani donne e uomini, dai vent’anni in su, che mi hanno domandato su Genova 2001, con il bisogno del racconto reale di chi c’era e il G8 l’ha vissuto sulla propria pelle. Nel 2001 sono stata una delle venti persone portavoce del Genova Social Forum, in rappresentanza del movimento femminista allora riunito nella Marcia mondiale delle donne. Per provare a rispondere alle tante domande di chi non c’era, vent’anni fa, ho scritto “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo. Punto G. Il femminismo al G8 di Genova (2001-2021)”. Il libro è il racconto, personale e politico, non solo degli eventi, ma anche di elaborazioni politiche e progetti femministi purtroppo occultati dai fatti di luglio 2001. La morte di Carlo Giuliani, la violenza della polizia, quella dei black bloc, il sangue, gli abusi, la ferita inferta alla democrazia hanno seppellito a lungo, inevitabilmente, i contenuti dello sguardo femminista di allora, che furono fortemente profetici, un mese prima, a giugno, sui pericoli della globalizzazione neoliberista nell’impatto sulle nostre vite e sul pianeta. Questo sguardo, allora premonitore, è ancora oggi limpido, attuale e più che mai necessario. Con oltre 1500 attiviste pacifiche riunite a Genovada tutto il mondo, quei giorni di giugno 2001 fecero vivere l’illusione che l’intelligenza collettiva di donne tanto diverse come storia, età, retaggi e allo stesso tempo così in sintonia sul desiderio di trasformare il mondo potesse avere la meglio sull’ottusità della violenza.

L’inizio del racconto del mio percorso di nove mesi di avvicinamento alla settimana di iniziative di luglio, e soprattutto dei giorni di PuntoG a giugno 2001, si può datare da qui: dall’incontro con un’attivista del popolo Uwa, una giovane donna non ancora trentenne di nome Daris Christanco.

Occhi tristi, sguardo accusatorio e composta dignità, indigena del popolo Uwa, circa diecimila persone che tentavano di sopravvivere in una piccola zona boschiva a nord di Bogotá, in Colombia, uno dei paesi più violenti dell’AmericaLatina, teatro di scontri per il possesso delle due ricchezze principali: il petrolio e la produzione di coca, dalla quale poi si raffina la droga della iper-produttività. Ricordo nitidamente la ferocia della globalizzazione racchiusa nel suo racconto di giovane madre di cinque tra bambini e bambine: «La Madre Terra sta morendo» ci disse nell’incontro che avemmo in un gruppo ristretto di giornaliste e giornalisti, «è una terra offesa e violata dalle ruspe e dalle trivelle della Oxy, la compagnia petrolifera usa che da dieci anni, senza che il mondo muova un dito o quasi, sta demolendo uno degli ultimi territori vergini sul pianeta, che è anche casa mia».

Gli indigeni Uwa erano allora stretti tra il colosso del petrolio e le bande paramilitari mercenarie, spesso utilizzate anche dallo stesso governo per sgombrare il territorio con la forza: in queste occasioni vengono uccisi bambini, bambine, persone anziane, chiunque si frapponga sulla strada lucida del cancro nero, come i popoli indigeni chiamano il petrolio. In quel pomeriggio, davanti alle nostre telecamere, ai registratori digitali e ai taccuini, Daris parlò di aria che manca, di alberi secolari che spariscono, di diritto alla vita non solo per loro Uwa, ma per tutte le persone che sulla terra rischiano di non ereditare che morte e malattie a seguito della deprivazione del territorio. Il loro territorio, ma anche il nostro territorio, l’intero pianeta. Lei, l’indigena che rischiava di estinguersi, alla domanda su cosa pensasse dell’Occidente rispose senza esitazione nel documentario Genova, giugno-luglio 2001: le donne, terminato in tempo record nell’agosto di quello stesso anno: «Mi sembrate una cultura triste, perché tutta la vostra ricchezza deriva in gran parte dall’avere saccheggiato il vostro ambiente e quello di altri popoli e terre, come nel nostro continente. Come si può essere felici e in pace se si distrugge ciò che abbiamo di più prezioso?».

Ad atterrirmi non fu soltanto quella limpida denuncia, la stessa che, vent’anni dopo, riecheggerà nelle parole di Greta Thunberg, ma il segreto che Daris ci rivelò e contemporaneamente ci proibì di divulgare negli articoli che avremmo scritto. Ci disse che, se entro il settembre dell’anno in corso non si fossero arrestate le operazioni di deforestazione sui loro terreni, il popolo avrebbe commesso un suicidio collettivo, come estrema misura affinché il mondo intervenisse a difesa dell’ambiente.

Daris parlava di suicidio collettivo e già solo il nominare in astratto un gesto così apocalittico risultava inaccettabile da ascoltare. Ma c’era di più. La tremenda, indicibile verità era che davanti a me non c’era soltanto una giovane donna che sapeva in anticipo la data della sua morte, ma una giovane donna che prima di uccidersi avrebbe tolto la vita ai suoi cinque bambini e bambine. Non accadde, perché grazie alla pressione sulla stampa e sulla diplomazia internazionale la deforestazione fu bloccata. Come la storia di questi vent’anni insegna, l’aggressione alla ricchezza ambientale delle ultime foreste del pianeta e a chi le protegge non è finita. Sarà in questo intreccio tra consapevolezza, assunzione di responsabilità e visione radicale trasformativa che avrà origine la decisione di dare luce, e visibilità, allo sguardo politico femminista sulla globalizzazione con l’evento Punto G-Genova Genere Globalizzazione nel giugno 2001.

Il decennale di Punto G

Dieci anni dopo la rete della Marcia mondiale delle donne era scomparsa, ma in compenso erano andati emergendo nuovi gruppi di donne, esperienze collettive cresciute e stimolate anche a partire da quell’appuntamento, assieme a molte singole donne interessate non solo a partecipare, ma anche a portare contributi in eventi collettivi di tipo artistico, letterario e politico.Il decennale era senza dubbio una sfida nuova, nella quale eravamo chiamate a coinvolgere anche donne (e uomini) che non facevano parte di gruppi costituiti, o non particolarmente vicine a realtà di movimento.

C’era poi la questione generazionale. Poco, troppo poco era arrivato alle nuove generazioni dei contenuti che avevano portato centinaia di migliaia di persone a Genova, per seguire i dibattiti offerti dal GSF a luglio e un mese prima a Punto G dalla rete femminista. Ecco perché il decennale venne improntato alla costruzione di un insieme di eventi che coinvolgessero un pubblico il più vasto possibile e intergenerazionale, con attenzione sia ai momenti di parola (plenaria, tavole rotonde, seminari) sia a quelli di piazza, artistici e d’impatto emotivo. La ricchezza era così tanta che come rivista Marea producemmo ben due dvd con oltre sei ore di materiale che raccontano le tre giornate del 2011 e danno conto anche del 2001. Punto G aveva aperto il Social Forum, nell’assolato giugno 2001, non senza polemiche per il suo carattere anticipatorio e precisamente focalizzato sul genere; quell’incontro di donne, così diverse tra loro, organizzato con la pressione mediatica addosso per l’imminenza del G8 era stato un evento, perché accanto alla disamina tradizionale di temi come lavoro, salute, diritti ed economia si era declinata la globalizzazione attraverso uno sguardo inedito ponendo una domanda: come ci cambia, nei sentimenti e nelle relazioni, l’impatto con questa mutazione che è anche antropologica?

Ne avevano discusso suore comboniane e ragazze dei centri sociali, femministe storiche e sindacaliste, donne del nord e del sud del mondo: era un quesito che appariva laterale e un po’ intimista, appunto quelle “cose da femministe” guardate con sufficienza dentro e fuori i movimenti misti, e invece quell’analisi dal sapore cassandresco fu profetica e illuminante. L’imminente ferocia della crisi economica, l’incipiente guerra globale delle armi e quella della violenza maschile sul corpo delle donne (anche attraverso la macelleria mediatica dell’Italia berlusconiana, e poi dall’onda dell’hate speech della rete): tutto questo era stato previsto, e predetto, a Punto G. Non “cose da femministe”, ma la politica delle donne come politica tout court.

PuntoG, sia nel 2001 come nel 2011 sono state occasione di riflessione sui lati oscuri della globalizzazione, per condividere le visioni e le pratiche nonviolente di resistenza e di cambiamento di questi due decenni pensati dal femminismo.


* Monica Lanfranco è giornalista e formatrice sui temi della differenza di genere e sul conflitto. Ha fondato il trimestrale di cultura di genere “Marea”. Ha scritto vari libri, tra cui recentemente “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo. PuntoG. Il femminismo al G8 di Genova (2001 – 2021)”.


Immagine in apertura da www.mareaonline.it

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