Lo “spirito” di Genova 2001

Giovanni Ferretti*

Esistono intere pagine relative alla costruzione di quello che è stato definito “lo spirito di Genova”, quello che, per intenderci, ha fatto sì che organizzazioni, partiti, sindacati e singoli cittadini si accordassero sul cosa fare in quella città, nel luglio 2001 e, cosa di non poco conto, sul come farlo, che sono conosciute solo in una cerchia ristretta di attivisti.

In un altro articolo della rivista, Norma Bertullacelli racconta come il Social Forum 2001 ebbe una madre, la Rete Contro il G8. Io mi soffermerò sul come, a pochi mesi dalla nascita, tut- ta genovese, di quella Rete, noi tutti sentimmo il dovere di allargare contenuti e adesioni… e di partire per Porto Alegre, Rio Grande do Sul, Brasile. Primo Forum Social Mundial.

Porto Alegre

Assieme a Giordano Bruschi, il partigiano Giotto, entrambi consiglieri comunali per il PRC, abbiamo aderito e partecipato al Forum sociale delle Comunità, che affiancava il primo Forum, organizzato principalmente da Attac France e Brasil, PT, Sem Terra e Forum Mondiale delle Alternative. Vennero con noi, per la Rete, Norma, Giusy e Aldina: intento di tutt* era quello di tessere una rete di relazioni che permettesse di inserire l’appuntamento genovese, dichiarato da D’Alema e sostenuto successivamente da Berlusconi, nel calendario delle realtà altermondiste internazionali.

Perché Porto Alegre? Perché il PT aveva vinto le elezioni sia nello Stato del Rio Grande do Sul che nella Municipalità, in un Brasile ancora dominato dalla destra e dal suo liberismo, dove ancora la sinistra non era certo trattata con i guanti di velluto: a un incontro riservato alla “delegazione italiana”, Tarso Genro, sindaco di Porto Alegre, poi ministro di Lula, ci accolse con un emblematico “La sinistra unita? Qui da noi succede solo in carcere!”.

“Sinistra unita”: eh sì. Perché di quella delegazione facevano parte anche Alfio Nicotra per il PRC, Vittorio Agnoletto per Lila, Piero Bernocchi dei Cobas, Raffaella Bolini di Arci, e diversi altri esponenti di quella sinistra sentitamente altermondista, quella che non aveva ambiguità nei confronti della condanna dei centri di comando ademocratici quali Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio e dei loro figli: i Trip’s, la privatizzazione dei beni comuni, il landgrabbing, gli OGM, etc.

Come “genovesi”, non siamo riusciti a goderci granché il clima di entusiasmo che trasudava dai muri dell’Università Cattolica Champagnat, sede ospitante il Forum Social Mundial, (per inciso, presente con scuole anche a Genova e qui famosa per essere uno dei centri più esclusivi e conservatori della città), impegnati come eravamo a rincorre i diversi esponenti internazionali per spiegare chi eravamo e chiedere loro di aderire alla nostra Rete.

Alla fine, nomi di rilievo riuscimmo ad avvicinarli, viste le adesioni di Samir Amin, famoso economista franco-egiziano, recentemente scomparso; di José Bové, leader no global francese, noto per aver bloccato la costruzione di un McDonald e saldamente collegato ai Sem Terra brasiliani nella loro opposizione agli OGM, presente anche al luglio 2001 genovese; di Francois Hautart, allora segretario del Forum mondiale delle Alternative; Josè Del Rojo, sempre del Forum delle Alternative, e di molti altri.

Genova

Iniziarono, ovviamente, i nostri contatti con “i nazionali”, e anche qui non trovammo differenze sull’idea di pensare a Genova 2001 come momento importante di contestazione alle politiche liberiste e colonialiste, né sull’impegnarsi da subito nella creazione di una rete internazionale no global.

La Rete Contro G8 non divenne, però, il punto di riferimento di quel movimento: nonostante avesse già ottenuto anche in Italia tantissime adesioni, anche di loro strutture locali e di loro parlamentari, di centri sociali e di associazioni legate al mondo cattolico, di verdi e ambientalisti, “i nazionali” la considerarono una semplice espressione locale, diventando così una semplice costola del futuro Social Forum, con portavoce utili per i media genovesi.

Cosa si perse in quel passaggio? Da un punto programmatico, poco: le parole d’ordine e i concetti delle “due” reti erano sovrapponibili, soprattutto dopo che il Social Forum si espresse chiaramente sulle diverse forme di presenza in piazza. Dal punto di vista “operativo”, sul “come bloccare pacificamente ma con determinazione i G8 per far fallire il loro vertice e in ogni caso rendere visibile il dissenso” qualcosa di diverso è successo, dato che la Rete Contro G8 voleva cingere d’assedio, pacificamente ma risolutamente, la zona rossa dove si stava svolgendo il G8, cercando di bloccare lì, al suo interno, i vari potentati di turno.

La scelta di fare dei cortei è stata sicuramente legittima (e autorizzata) e non abbiamo controprove che la stessa repressione non si sarebbe scatenata anche sui pacifici sit-in. Anzi, visto cosa era successo poco prima a Napoli, lo stesso 20 luglio in piazza Corvetto, al presidio della Rete Lilliput, e il giorno successivo in Corso Italia, dove vennero caricati anziani e bambini, tutto fa propendere per una repressione preordinata, voluta a prescindere, necessaria a lorsignori per dare un chiaro segnale di intolleranza verso qualsiasi forma di dissenso che abbia una possibilità di far breccia nella testa della gente comune.

È quindi con spirito unicamente storico che faccio questa precisazione.

Se proprio devo fare qualche appunto, lo faccio sul modo, tutto trasversale alle organizzazioni nazionali coinvolte, di rapportarsi con chi sul territorio si trova a lavorare quotidianamente. Ma questo è un problema di lunga data e di lontana soluzione: per tornare a Porto Alegre, ho assistito a un dibattito sugli OGM organizzato dai Sem Terra, quelli che occupano le terre lasciate incolte dai latifondisti, nel quale trapelava evidente il loro orgoglio per essere l’ultimo baluardo sudamericano OGM-free; ho assistito anche all’entusiasmo di decine di migliaia di brasiliani acclamanti l’intervento di Lula alla chiusura del Forum, un Lula di lì a poco Presidente e di lì a poco accondiscendente verso le prime coltivazioni brasiliane transgeniche. Non sono cieco: so ben distinguere la pagliuzza dalla trave (anche se quello più che una pagliuzza, forse, era un ramoscello).

Diciamo che il movimento dei Social Forum, come quello degli Indignados e di Occupy Wall Street, stava contaminando la sinistra con un diverso modo di intendere la progettazione dei “percorsi rivoluzionari”, un modo molto centrato sulla costruzione dal basso e sull’empowerment. Un metodo difficilmente digeribile da chi parte con l’idea di non mettersi in discussione, in quanto già strutturato intorno a un proprio progetto politico o sociale. E tante erano, agli albori del terzo millennio, le realtà interne al Social Forum che piegavano in quella direzione.

Depotenziato il flusso progettuale che partiva dal basso per giungere ai vertici, complice l’impotenza del movimento nell’arrestare gli interventi bellici in Medio Oriente e nei Balcani, il Social Forum si è via via sgonfiato nelle sue articolazioni territoriali, rimanendone solo le vestigia, incarnate nelle sporadiche riunioni di strutture nazionali, sempre più inadeguate per la costruzione di quell’egemonia culturale che aveva contraddistinto almeno un quinquennio di vita politica italiana e internazionale. Probabilmente questo luglio saranno a Genova esponenti della Gira Zapatista. Al di là della retorica che da sempre li accompagna, proviamo a farci spiegare in base a quali criteri hanno scelto i sentieri sui quali hanno poi camminato, e quali domande hanno posto, e quali riposte hanno dato alle loro comunità native.

Le nostre realtà sono ben diverse dalle loro ma, forse, i criteri alla base di quelle loro scelte potrebbero avere molte cose da insegnare anche agli abtanti sfruttati e alienati del primo mondo.


* Giovanni Ferretti, coordinatore Federazione di Genova del Partito della Rifondazione Comunista; nel 2001 era consigliere comunale Prc a Genova e uno dei portavoce locali del Genoa Social Forum.


Immagine in apertura articolo di Movimento dos trabalhadores Rurais Sem Terra, da flickr.com

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